Da “vulgus” (= volgo, plebe, popolo) deriva l’aggettivo vulgaris (= volgare).
Con il desueto lemma “volgo” di solito s’intende la popolazione socialmente, culturalmente ed economicamente “svantaggiata”.
Ma cos’è la volgarità, da tenere a distanza ? Essa non dipende dalla classe sociale di appartenenza né dallo stile di vita. La volgarità può dimorare in chiunque ed è un indice di maleducazione, come tale disapprovato nell’ambito delle relazioni sociali.
Lo spettatore guarda, ascolta, si tiene a distanza dal chiassoso e rissoso urto, dal vocio confuso della piazza.
Lo scrittore e poeta austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874 – 1929) nel suo libro titolato: “Il libro degli amici”, scrisse: “E’ un arte sgradevole ma necessaria quella di tenere a distanza con freddezza gli individui volgari”.
La volgarità è tracotante e invasiva, usurpa eguaglianza e parità, tenta di trascinare sul suo proprio fangoso terreno. Tocca il grado più alto congiungendosi con il potere, politico o amministrativo o economico: non l’autentico potere, amante di riserbo e pudore, nascosto all’occhio indiscreto e profano; ma il “volgare” potere dell’avere, la labile autorità di uffici pubblici.
La volgarità ha un suo inconfondibile e percepibile odore: si avverte da sùbito, tradito da inattesa familiarità o da un tratto del volto; non è timida dinanzi alla porta, ma irrompe con oscura pervicacia o con vezzo di falsa signorilità. E talvolta induce anche coloro, che sùbito l’hanno fiutata e riconosciuta, a contegni disdicevoli e scontrosi, assunti per difesa o per istintiva repulsione del gusto. Questo rifiuto – osserva Hofmannsthal – è un’arte, un modo abile di stabilire la distanza, ma spesso non può esprimersi con sollecita prontezza, ha bisogno di tempo per studiare l’offensiva della volgarità.
Intervalli penosi e imbarazzanti, tra il dire e il non dire, tra provvisoria apertura di dialogo e sprezzante diniego. Se ne esce insoddisfatti di sé, con fastidio: non aver scorto sùbito le tracce della volgarità, aver concesso credito di simpatia o di stima, un rimprovero alla nostra credulità e ingenua fiducia.
Faticosa e necessaria è, dunque, la distanza, l’allontanamento dalle persone volgari mentre si esibiscono sul palcoscenico della vita, mentre lo spettatore si rifugia in un angolo laterale dell’ombrosa e silenziosa platea.
Né di contro possono levarsi gli argomenti dell’uguaglianza, di trovarsi fisicamente insieme in un luogo.
Bisogna ammetterlo: siamo disuguali, non l’uno all’altro superiore, ma l’uno dall’altro diverso.