Qualcuno li chiama “pensieri”, altri preferiscono “ricordi” o “ricordanze”, altri ancora “memorie” o “memoriali”, oppure “rimembranze”.
Quei moniti incessanti dell’imperatore Marco Aurelio a non spazientirsi, non sdegnarsi, non meravigliarsi, non attendersi nulla dalla vita e dagli altri, è bene titolarli con le parole che forse l’autore preferiva: “A se stesso” (in greco: “Tà eis heautòn”). Restano un modello per chi cerca di conservare con la scrittura qualcosa della sua esistenza.
Pensieri, divagazioni, i ricordi che “indossano la maschera delle memorie" sulla pagina, sono un tentativo per aiutare se stessi a chetare le voci del tempo passato, svanito nel nulla.
“… Passiamo, passiamo poichè tutto passa. / Indietro io mi volterò sovente. / I ricordi sono corni da caccia / il cui clamore muore nel vento”, scrisse Guillaume Apollinaire nella sua poesia titolata “Corni da caccia”, compresa nella raccolta di poesie denominata “Alcools”.
La “chiusa” di questa poesia rimane impressa come un aforisma, come un pensiero che assilla con la sua eco, e sembra di sentirlo quel suono prolungato e cupo dei corni che si perde nella campagna.
Il tempo va e “non tornano amori né passato” scrisse ancora Apollinaire nella poesia titolata “Le Pont Mirabeau”, anche questa compresa nella raccolta “Alcools”.
Il “Mirabeau” è uno dei ponti di Parigi che oltrepassa la Senna. Il poeta vi si recava spesso nel periodo in cui amava la pittrice Marie Laurencin, un amore “immerso” in quel flusso del fiume come un sogno: “Tu mio dolore e attesa mia vana / Odo il suono morente di un flauto lontano”.
Il ponte Mirabeau
“…Giornate e settimane il tempo corre
Né più il passato
Né più l’amore torna
Sotto il ponte Mirabeau la Senna scorre
Venga la notte rintocchi l’ora
I giorni se ne vanno io non ancora”.