La gente mi guardava; Si fermava e con lo sguardo attento ed il respiro lento, mi guardava.
Qualcuno indicava di me i punti più disparati e commentava o, più umilmente, taceva contemplando in un vortice di sguardi, la mia bellezza ed il mio esser qui a mostrarmi con regale dignità e soffuso narcisismo.
Ed io regalavo emozioni e scambiavo i miei doni con i loro occhi aperti come finestre in un giorno di sole. Ero felice di essere, di esistere per dare e ricevere essenza di vita come solo l’arte può fare.
C’era chi mi chiamava con il nome del mio creatore e chi invece, lo faceva parlando del tempo in cui sono nato; qualche raffinato mi attribuiva il nome di uno stile ma in ogni caso, era di me che tutti parlavano ed era di me che tutti chiedevano.
Mi sentivo importante e di conseguenza, importante è stata la mia vita finché non arrivò quel giorno e quell’uomo che con passo sicuro, si avvicinò senza limitarsi ad osservare.
Commentava ad alta voce la rarità dell’incanto delle mie luci e di quanto fosse necessario proteggermi in maniera più adeguata.
Alzò le braccia, le protese allargandole verso i miei confini e portò via l’illusione della mia esistenza facendomi scoprire, di quel quadro, d’esser solo il chiodo rimasto conficcato al muro…
IL CHIODO