Eugenio Montale:
“Non recidere, forbice, quel volto”Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.In questo mottetto in due strofe Montale descrive la dolorosa perdita dei ricordi, che non riesce a contrastare.
Nella prima quartina il poeta dice alla forbice di non tagliare l’immagine del volto della donna amata, l’unico rimasto nella sua memoria, ormai labile; di non staccare dalla sua mente quel viso “grande” (nel senso che lo domina) che sembra protendersi ancora in ascolto delle parole dell’amato, mentre la metaforica forbice (= nebbia) elimina impietosa il ricordo.
Nella seconda quartina il poeta allude all’arrivo del freddo autunnale, al colpo d’accetta (metaforicamente è la forbice della prima strofa) che scuote l’albero di acacia, gli fa perdere le foglie (corrisponde al poeta, privato dei suoi ricordi più belli) e fa cadere dal ramo il vuoto guscio della cicala (simbolo della stagione estiva) sul terreno fangoso, bagnato dalla prima pioggia di novembre.
Il rischio di perdere i ricordi più cari è anche nella poesia di Montale titolata “
Cigola la carrucola del pozzo”.Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.La carrucola gira e stride mentre solleva dal pozzo il secchio con l’acqua in una giornata di sole, il poeta vede un bagliore di luce.
Il pozzo rappresenta l’incertezza del poeta, sapendo che il passato non è più recuperabile.
Il secchio tirato verso l’alto simboleggia il ricordo che torna nella mente.
Quando l’acqua si fonde con la luce, il ricordo diventa più nitido, ma subito svanisce nel passato.
Montale immagina di rivedere per un attimo sulla superficie dell’acqua il viso della persona amata (“un’immagine ride”, dice Montale, accostando le labbra, gli “evanescenti labbri”, al volto che gli appare, ) ma avvicinando il suo viso e toccando appena la superficie dell’acqua, essa muta e diventa qualcosa di così diverso. E' l’inutile tentativo di un contatto più concreto con il passato.
L’acqua sfiorata dalle labbra si increspa, l’incantesimo svanisce, l’immagine si deforma, il volto si corruga, sembra quello di un vecchio in cui non si riconosce: “appartiene ad un altro”.
Tutto dura pochi secondi, il secchio ridiscende nel pozzo, la carrucola cigola, e lui pensa di aver solo immaginato.
Lo scorrere del tempo è simboleggiato dall’acqua, che s’increspa. L’illusione, durata solo alcuni secondi, scivola lentamente verso il fondo oscuro della memoria (“l’atro fondo”, che evoca Dante) e il poeta rimane deluso, interiormente diviso.
La mente, sembra dire Montale, tende a dimenticare, anche i ricordi più belli, e questi, quando riemergono, sono fugaci, un’illusione che subito si spegne.
L’uomo vive diviso perché sente di non possedere veramente il suo passato, chiedendosi se tutto quello che ricorda sia mai veramente accaduto.
Tutto è effimero, vuol dirci Montale, non riusciamo a trattenere nella memoria neppure i volti amati e gli istanti di gioia: essi sono solo un barlume, un’illusione che si spegne.