Autore Topic: UNA RAGAZZA “LIBERA”. (Si consiglia la lettura ad un pubblico adulto). 12.  (Letto 773 volte)

victor

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I miei capelli.

Un giorno mio padre mi disse che doveva tornare in città perché doveva incontrare un dirigente dell’azienda, sarebbe andato con l’elicottero. Gli chiesi se potevo accompagnarlo. Precisò che non avrei potuto partecipare al suo colloquio. Gli dissi che se c’era un negozio di parrucchiere avrei voluto farmi sistemare i capelli. Mi disse che l’avremmo sicuramente trovato.

Questa volta fu il giovane ingegnere a fare da primo pilota.

Cercammo un negozio di parrucchiere, entrammo e mio padre disse loro di fare quello che chiedevo, lui sarebbe tornato dopo un paio d’ore ed avrebbe pagato il conto.

Il parrucchiere mi fece accomodare su una poltrona davanti ad uno specchio e cercava di capire quello che io gli dicevo. Lui non parlava inglese ed io non capivo la sua lingua. Io dicevo che volevo tagliati i capelli a zero come un maschio e lui continuava a lisciare e accarezzare i miei lunghi capelli, e, da quello che mi sembrava capire, continuava a lodarli.

Ad un certo punto disperata per il fatto che non riuscivo a farmi comprendere presi un paio di forbici che erano sul banco davanti a me e zac con un taglio netto tagliai un ciuffo dei miei capelli sul davanti. Lui fece un grido di spavento e tutti si voltarono a guardarci. Per tutta risposta afferrato un altro ciuffo di capelli tagliai anche questo di netto.

Tutto tremante prese un catalogo di pettinature e sfogliatolo mi mostrò una pettinatura con il taglio quasi a zero. Dissi a parole, ma principalmente a gesti e ripetutamente di sì. Anche lui assentì: aveva capito. Ma continuava a parlare con accento nettamente contrariato anche se io non capivo cosa dicesse. Ripresi le forbici in mano e feci cenno di tagliare ancora i miei capelli. Mi tolse delicatamente le forbici dalle mani e faceva ripetutamente cenno di “sì” con la testa.

Nel frattempo una ragazza del negozio, con in mano un cestino di paglia intrecciato, aveva raccolto i miei capelli da terra e ve li aveva riposti religiosamente ordinati. Il parrucchiere cominciò a tagliare i miei capelli e a deporli con grande cura nel cestino che la ragazza teneva.

Mentre tagliava borbottava e scuoteva la testa. Immagino che fosse in completo disaccordo con quello che stava facendo. Quando i capelli furono tagliati corti prese nuovamente il catalogo e mi mostrò diversi tagli. Io indicai quello a spazzola e lui si mise a parlare, ma io non riuscii a capire nulla di quello che voleva dirmi. Mi passai una mano sui capelli tagliati. Notai che erano belli rigidi, quasi ispidi e tornai a indicare la figura del taglio a spazzola. Finalmente fece cenno di sì. E si mise a rifinire il taglio.

Quando completò tutto mi guardai allo specchio. Il mio viso era completamente trasformato: era libero e luminoso, i capelli cortissimi mi davano un aspetto da maschio impertinente, ebbi immediatamente la sensazione che la mia personalità ora risaltava nella sua reale essenza. Mi piacque moltissimo il mio nuovo aspetto, la mia nuova fisionomia, compresi che adesso il mio aspetto esprimeva pienamente la mia personalità. Mi girai verso di lui e gli strinsi ripetutamente la mano in segno di ringraziamento. Mi fece un gran numero di inchini.

Ero molto soddisfatta. Finalmente anche lui appariva soddisfatto. Prese una macchina fotografica e mi chiese il permesso di fotografarmi. Acconsentii. Poi arrivò la ragazza con un pacchetto trasparente confezionato: erano i miei capelli. Feci cenno che non li volevo. Tornò il parrucchiere. Prese il pacchetto e me lo porse con un inchino. Io lo presi in mano e poi glie lo restituii. Gli feci capire che erano suoi poteva tenerli. Si mise a fare inchini di ringraziamento.

Quando arrivò mio padre e mi vide rimase impietrito, esterrefatto, poi si scosse, ma non disse niente. Parlò con il parrucchiere e lui andò a prendere il pacchetto con i miei capelli. Mio padre parlò nuovamente. Lui prese una piccola ciocca dei miei capelli, ne fece una piccola confezione che consegnò a mio padre. Poi porse anche il pacco grande, ma mio padre gli fece cenno che poteva trattenerlo. Pagò ed andammo via.

Andammo al ristorante a pranzare e poi con il taxi ci recammo all’aeroporto. La prima persona che incontrammo fu l’ingegnere che appena mi vide restò anche lui impietrito senza profferire parola. Notai che gli tremavano le mani. Poi lo vidi confabulare con l’altro pilota. Questo poi chiamò in disparte mio padre e parlarono tutti e tre. Si perse ancora altro tempo e poi finalmente partimmo.

Quando rientrammo gli operai erano a cena nel salone. Appena io e mio padre apparimmo sulla porta ci fu di colpo un silenzio assoluto: tutti guardavano me sbalorditi. Poi uno si alzò e cominciò a battere le mani. Scoppiò un applauso generale e molti si avvicinarono per complimentarsi. Quella sera mio padre offrì spumante a tutti e io divenni ufficialmente la mascotte della Trivella n.29.

La sera a letto mio padre mi disse “Non era più in condizione di pilotare l’elicottero per lo shock. Hanno dovuto modificare il piano di volo ed attendere l’ok della torre di controllo. Gli tremavano le mani. È proprio cotto di te!”

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor

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Mascotte della Trivella N. 29.

Da quel momento divenni una di loro, non ero più la figlia del capo, ma una come loro, anzi una di loro. Li aiutavo nel loro lavoro, aprivo e chiudevo le valvole, aiutavo ad avvitare i tubi ed a collegare le flange. Mi davo con tutti del tu. Solo il capocantiere mi chiamava “signorina” e continuava a darmi del lei. Ed anche io davo del lei a lui.

Il giovane ingegnere mi guardava da lontano e non parlava. Alcuni giorni dopo finalmente si avvicinò, ero sola e mi disse “Sei meravigliosa … sei ancora più bella di prima!” e si allontanò.

Un giorno mentre eravamo sulla piattaforma si avvicinò a me e mi disse:

- Ti devo parlare.

- Dimmi.

- Non qui. È una cosa piuttosto lunga e importante. Andiamo al bar.

Ci avviammo e mentre lo seguivo notai che era molto nervoso.

Al banco ordinò due caffè e appena pronti li prese e si diresse al tavolo più isolato che c’era. Ci sedemmo e mi guardava. Io aspettavo.

- È arrivato il trasferimento – disse tutto ad un tratto – tra una settimana devo prendere lavoro alla Trivella n.13. Dista da qui oltre 350 chilometri.

- Mi dispiace – dissi io sorpresa per la notizia.

Lui rimase ancora un poco in silenzio e poi, tutto ad un tratto disse:

- Mi vuoi sposare? Sì, ci possiamo sposare subito. Qui una ragazza si può sposare a 16 anni. È sufficiente recarsi all’ufficio e firmare i documenti. Accetto tutte le tue condizioni. Tutte, tutte. Sarai anche libera di fare l’amore con chi vuoi. Te lo giuro. Possiamo metterlo anche per iscritto nel contratto di matrimonio. Allora, mi vuoi sposare?

Se la prima notizia era stata per me una sorpresa quest’ultima fu per me addirittura sconvolgente.

- No … no … - balbettai – non capisci che non è possibile … che è sbagliato! …

- Ne parlerò con tuo padre. Sono sicuro che dirà di sì … E poi tu mi hai detto che ti lascia libera … ti prego … ti supplico – e si mise a piangere.

Mi alzai di scatto e fuggii via. Entrai nell’appartamento e mi buttai sul letto. Mi misi a piangere anch’io.

Dopo un poco entrò mio padre. Mi aveva vista passare di corsa e agitata in quanto si trovava nell’ingresso e parlava con alcune persone. Mi chiese cosa fosse successo. Gli raccontai tutto. Quando finii lui disse:

- La comunicazione del suo trasferimento l’ho ricevuta anche io stamattina e il mio dispiacere era dovuto al fatto che perdevo una persona in gamba. Ora il mio dispiacere è molto più grande. Non pensavo che lui fosse preso fino a questo punto. E sono dispiaciuto anche per te che ti trovi impelagata in questa faccenda. Perché anche tu l’ami … non è vero che l’ami? Parla, sii sincera, innanzitutto con te stessa!

- Non lo so se l’amo. Lui per me è un amico … un caro amico … ma io non voglio assolutamente sposarmi … né con lui … né con nessun altro … io non mi sposerò mai …

- Guarda con onestà dentro te stessa … esamina la situazione con calma e poi decidi. Io sarò sempre vicino a te, dalla tua parte.

- Si è un caro amico … e anche la sua compagnia mi piace … ma non voglio sposarlo. No! non voglio sposare nessuno. Non mi sposerò mai!

Il giorno dopo mentre eravamo sulla piattaforma il giovane ingegnere mi fece un cenno e si diresse verso la sala comune. Lo raggiunsi e ci sedemmo in un posto isolato. Stavolta il discorso lo cominciai io.

- Mi dispiace – dissi, avevo riacquistavo la mia lucidità mentale– io non posso e non voglio sposarmi. C’è un altro uomo nella mia vita.

- Sei fidanzata?

- Sì, sono fidanzata – mentii – o meglio … è come se fossi fidanzata.

- Ma io … io ti amo … - insistette lui – ti amo dal primo momento che ti ho vista … sei una donna meravigliosa … per me sarà un inferno vivere senza di te …

Poggiò i gomiti sul tavolo e si mise la testa tra le mani. Restava in silenzio. Ad un certo punto vidi delle gocce. Aveva ripreso a piangere

Allungai la mia mano e la posai sul suo braccio.

- Restiamo amici – dissi – credimi … non posso sposarti …

Non parlava. Anche io lo osservavo in silenzio. Ad un certo punto si alzò e si asciugò gli occhi.

- Devo tornare al lavoro – disse e si allontanò, mentre io restai seduta al tavolo.

Nei giorni che seguirono cercava di evitarmi. Era molto triste. Tutti pensavano che gli dispiacesse trasferirsi in un altro posto di lavoro. Ogni partenza è sempre triste.

Una sera dopo che finì di cenare si avvicinò al nostro tavolo. Ringraziò mio padre per tutti i suoi consigli e per la disponibilità che aveva dimostrato nei suoi confronti. Disse che era dispiaciuto del trasferimento e che sarebbe partito il giorno dopo all’alba. Salutò anche me ed anche se il saluto fu solo formale lessi la profonda tristezza che traspariva dai suoi occhi e mi commossi anch’io. Poi girò per i vari tavoli e salutò tutti. Molti si alzavano quando lui si avvicinava.

Quando andammo a letto mio padre mi disse:

- Hai visto che l’ami anche tu?

Non risposi nulla e mi strinsi a lui. Mi abbracciò stretta stretta.

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor