Dal romanzo “I tre moschettieri”, scritto dal francese Alexandre Dumas (padre).
il moschettiere Aramis dice a d’Artagnan: “La vita è piena d'umiliazioni e di dolori, tutti i fili che la legano alla felicità si rompono in mano all'uomo uno dopo l'altro, soprattutto i fili d'oro.
Caro d’Artagnan, continua Aramis dando alla sua voce un tono di amarezza, cercate di nascondere bene le vostre ferite quando ne avrete. Il silenzio è l'ultima gioia degli infelici; fate attenzione a non mettere nessuno sulle tracce dei vostri dolori: i curiosi bevono le nostre lacrime come le mosche succhiano il sangue d'un daino ferito" (capitolo XXVI).
Suggestiva è l’immagine iniziale della vita considerata come un tessuto in cui ai fili d’oro s’intrecciano anche i fili neri. Infatti, secondo il teologo francese Henri de Lubac: “la sofferenza è il filo con cui la stoffa della gioia è intessuta”.
Della sofferenza siamo tutti testimoni, come vittime o come artefici.
Alcuni, che si ritengono amici, ascoltano le disgrazie altrui con la segreta soddisfazione di non esserne colpiti. E le parole di conforto che esprimono hanno “il timbro” dell’ipocrisia, il loro ascolto è soltanto curiosità e la solitudine del sofferente è più amara.