Psychés iatréion: questa frase in lingua greca è solitamente tradotta in italiano come “luogo dell’anima”, anche se “iatréion” significa ospedale.
La locuzione era scritta sopra il portale d’ingresso nella biblioteca del “Ramesseum”, il celebre mausoleo fatto costruire a Tebe nel XIII sec. a. C. dal faraone Ramesse II.
Un’antica storia narra che mentre in Egitto regnava Tolomeo I Sotere (323-285 a.C.), generale di Alessandro Magno, dalla Grecia, più precisamente da Abdera in Tracia, partì per visitare l’Egitto uno storico di nome Ecateo. Questo risalì il Nilo fino a Tebe, l’antica capitale faraonica, per visitare il “Ramesseum”,
Ecateo attraversò il portale d’ingresso lungo sessanta metri e alto venti, superò i peristili, stanze e passaggi, e giunse stupito davanti a un portale su cui campeggiava una scritta che egli aveva tradotto in greco così: “psychès iatréion” (luogo di cura dell’anima). Che cos’era ? La risposta Ecateo l’ebbe quando vi penetrò: era la Biblioteca sacra di Ramesse, della quale non resta nulla Ci rimane solo una trascrizione posteriore della “guida” di Ecateo e del suo messaggio: “leggere, studiare, approfondire è una cura spirituale”.
Nel nostro tempo nella biblioteca, se considerata come ideale “luogo di cura” per l’anima, s’intrecciano due dimensioni che spesso la scuola dissocia o semplifica. Da un lato, la lettura come dovere, impegno, esercizio, persino fatica: si pensi solo alla strumentazione linguistica e letteraria che si deve acquisire per intuire tutte le sfumature e le allusioni di un testo. D’altro lato, la lettura come piacere per la mente e lo spirito, che permette di “viaggiare” con l’immaginazione.
Lo scrittore francese Daniel Pennac nel suo saggio pubblicato nel 1992 col titolo “Come un romanzo”, afferma che “Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere”.