Autore Topic: Tirannicidio  (Letto 592 volte)

Doxa

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Tirannicidio
« il: Aprile 21, 2019, 20:06:41 »

 
Saffo che ascolta Alceo, di Sir Lawrence Alma-Tadema, 1881
La letteratura antica favoleggia di un rapporto sentimentale fra il poeta  Alceo e Saffo, sua conterranea, o più propriamente dell'amore di Alceo per Saffo, non si sa se ricambiato.

Anche Saffo  scriveva poesie, ma nell’isola di Lesbo era  sacerdotessa  in  un thiăsus (associazione religiosa) dedicato al culto di Afrodite. Nel tiaso educava e preparava le ragazze dell’aristocrazia alla vita coniugale, insegnava loro il canto, la danza, come vestire in modo elegante, come dedicarsi alle cure del corpo e all’amore, anche omoerotico. 

Pure il poeta Alceo nacque a Mitilene, località  nell'isola di Lesbo,  circa nel 630 a.C., da una famiglia nobile. Come tutti gli aristocratici che vissero tra il VII e il VI secolo, sperimentò il terribile periodo della stàsis, il rallentamento  o la fermata dello sviluppo economico, il declino del potere nobiliare, sostituito dai tiranni.

Partecipò fin dalla giovinezza, alle lotte contro i tiranni locali, sebbene fra questi annoveri impropriamente Pìttaco, uno dei Sette Sapienti greci e suo compagno di eteria, qualificandolo come traditore.

Nel nostro tempo la condanna della violenza politica è quasi unanime,  ma il tirannicidio ha ancora consensi.

Cosa s’intende per tiranno ? Chi usa in modo dispotico del potere, chi usa l’apparato statale contro la popolazione, o parte di essa, per violare i diritti umani.

Il tirannicidio è l’azione letale compiuta da individuo o da un gruppo che non vuol prendere il posto del governante ucciso. In caso contrario è “colpo di Stato”.

Può essere accettabile il tirannicidio del despota, ma qual è il criterio oggettivo per individuare i suoi crimini ?  E’ necessario un criterio universale, applicabile in qualunque luogo o epoca storica. Soltanto così si può legittimare un atto omicida, evitando il rischio di aggressioni in ogni sistema politico.

Penso che sia  giustificabile il tirannicidio se il despota è sicuramente il mandante di crimini che giustificano la reazione violenta. Un criterio accettabile è quello dell’autodifesa, fondato sull’analogia tra la violenza di Stato e quella interpersonale di un’aggressione delittuosa.

Il tirannicidio lo si può legittimare, come sosteneva il gesuita spagnolo Juan de Mariana, se produce il miglioramento nelle condizioni di vita della popolazione sottoposta al regime dispotico.

Tra i sostenitori del tirannicidio, in casi gravi, c’era anche Tommaso d’Aquino, padre del pensiero scolastico cattolico, ma avvertiva di  esaminare le situazioni caso per caso, perché non è facile definire il tiranno.

Nell’antichità i “tiranni” dell’isola di Lesbo (contro i quali inveisce il poeta Alceo, che nei suoi versi gioisce quando vengono uccisi) cercavano di sedare i conflitti tra le famiglie aristocratiche.

Ad Atene il tiranno Pisistrato era un capo popolare.

A Roma Bruto e Cassio eliminarono Giulio Cesare  perché lo consideravano un tiranno, ma come conseguenza innescarono anni di guerra civile.

C’è chi sostiene la legittimità del tirannicidio, anche con argomenti teologici, con teorie  che attrassero cattolici e protestanti, compreso il cardinale Roberto Bellarmino, protagonista dei processi a Giordano Bruno e a Galileo Galilei.

Dire che chi viola i diritti umani è un tiranno serve fino ad un certo punto.  In Arabia Saudita, pilastro delle alleanze occidentali, la popolazione femminile è oppressa e umiliata.

Per il filosofo Thomas Hobbes il tiranno è un re dal punto di vista dei suoi nemici.

Il problema non è eliminare fisicamente il despota, ma sconfiggere politicamente il sistema di potere  che lo sorregge.

Quando il potere minaccia la libertà personale e l’esistenza dei governati, si può parlare di tirannide, e si afferma il diritto di resistenza del popolo.

Non è la violenza fisica ma il discredito politico l’arma più efficace contro la tirannia.

I diritti umani internazionalmente riconosciuti segnano il confine oltre il quale si può definire con sufficiente precisione la manifestazione del dispotismo.

Oggi la figura del dittatore va vista nel contesto del suo regime. Non bisogna concentrarsi sull’antropologia del tiranno, o sulla personalità del singolo dittatore, ma sul sistema politico che lo esprime.

L’intervento militare di solito non facilita la transizione democratica ma accentua il rischio di guerra civile. L’uso delle armi non è efficace. Se si vuole espandere la democrazia bisogna ricorrere alla mediazione politica: sostegno alle opposizioni, aiuti economici condizionati, tentativi di sviluppare la società civile.

Etienne de la Boétie (amico di Montaigne e morto a nemmeno 33 anni) nel suo “Discorso sulla servitù volontaria” s’interroga sul paradosso apparente  della tirannide: sul potere di un uomo che gli è conferito da moltitudini sottomesse per pavidità, interesse, conformismo.

Tale paradosso ha  motivato il neuro-scienziato francese Jean-Didier Vincent ad effettuare delle ricerche ed i risultati li ha pubblicati nel suo libro titolato “Biologia del potere”.

Questo ricercatore fa confluire le relazioni di potere dell’Homo Sapiens Sapiens (dominanza e soggezione, paura indotta e subita) a correlati neuroanatomici e neurobiologici, al conflitto tra l’homo homini lupus di Hobbes e il “contratto sociale di Rousseau, l’effettiva influenza di istruzione, educazione e diritto in rapporto a dinamiche di potere alla base di ingiustizie e ineguaglianze.