Amo le donne e le osservo. Ne catturo gli sguardi e da uno sguardo so quello che la donna che mi sta davanti mi chiede. E io glielo do’. Da un gesto, una mano nei capelli, un’accavallar di gamba, colgo il loro stato d’animo, intuisco le tribolazioni o le gioie. Questo perché le ammiro e invidio loro quella capacità di dedizione che noi uomini non possediamo. Tutto ciò ha come fine la conquista. E la conquista di una donna è un’arte sottile che io, in tutta modestia, posseggo.
Ricordo che quando ero ragazzo, mentre gli amici giocavano a pallone o si facevano le canne, io approfittavo per insidiare le loro pupe; niente di più facile se paragonavo il mio corteggiamento raffinato al loro tacchinare insulso. E pensare che non sono proprio bello: non alto, non muscoloso e perfino poco dotato nelle parti intime. Il mio sesso è come il mio pollice: piccolo e un po’ ricurvo. In compenso ho due magnifici occhi verdi che scrutano inquieti e sanno far sentire una donna nuda e indifesa, tanto da caderti fra le braccia come una pera matura.
E sono elegante. Non un’eleganza affettata, non esattamente alla moda, ma come dovrebbe vestire un uomo: camicie di Oxford inglese o a righe sottili, maglioncini di cachemere girocollo e pantaloni tenuti da belle cinture di cuoio grasso. Calzettoni blu, mocassini o polacchine in caso di pioggia. Slip bianchi e mai una canottiera né niente che abbia un marchio in evidenza. Fino a qualche anno fa la mattina indugiavo dal barbiere, un po’ di pettegolezzi, panni caldi, pelo e contropelo per la mia barba dura. Oggi ho semplificato: usa e getta e un dopobarba cremoso. Vanitoso, ma senza darlo a vedere, per non far soffrire l’alto tasso di testosterone che fluisce nel mio sangue.
Quella domenica mattina avevo appuntamento con la donna che sarebbe stata la mia compagna per sei anni, ma ancora non lo sapevo. Solo sapevo che mi ero stufato del lungo corteggiamento e che sarei arrivato al dunque. Oggi o mai più. Avevamo pranzato nel centro storico di Salerno, pesce e vino bianco, un ottimo viatico per le faccende di sesso. Dopo pranzo mentre passeggiavamo un po’ brilli mano nella mano, lei si volle fermare a dare un’occhiata al mercatino di anticaglie, tipico della domenica e dei centri pedonali. In un piccolo stand si vendevano prodotti a base di canapa; portamonete di tessuto, saponette e gadget dal gusto discutibile. Lei volle comprare una bottiglia di olio di canapa; abbassa il colesterolo mi disse, ed è un antiradicali liberi. Mah pensai, questa si beve tutte le fesserie che legge.
Avevo solo fretta di metterla in posizione orizzontale. Non vedevo però insegne di alberghi e così le proposi una passeggiata sul litorale. In macchina ci dirigemmo verso Paestum e infatti lì fra i tanti alberghi chiusi (eravamo in novembre) trovai quello che faceva al caso mio. Era imbarazzata nella hall, mentre dava i documenti e ancora di più una volta saliti in camera. Quando uscii dal bagno (sono un tipo pulito e non sopporto gli odori corporali), la trovai già a letto con le coperte tirate fino al collo. Capacità di seduzione: zero! Avevo avuto centinaia di donne, tutte diverse, ma costei sembrava una suora. Mi infilai anche io sotto le coperte pronto all’esibizione delle mie qualità erotiche. Cominciai con casti baci e languide carezze, tanto per buttarla sul romantico, ma la signora continuava a tenere le cosce serrate; cercavo un varco con la mano, già mi stava passando la fantasia. Era rigida, ingessata, la sapevo reduce da un lungo matrimonio monogamico, ma checcazzz, apri le gambe.
Il miracolo avvenne mentre le ciucciavo un capezzolo; eh eh ogni serratura ha la sua chiave! E che miracolo! La guardavo mentre emetteva sospiri con la voce arrochita dal piacere, io ravanavo ardito, eccitato dal rossore del suo viso e dal profumo della sua pelle. L’avrei fatta godere prima di farla mia, sono un tecnico e conosco a memoria la mappa delle zone erogene femminili; le stavo passando in rassegna tutte, senza fretta, dal collo alla pianta dei piedi. Sarebbe stata lei a invocare la penetrazione come un atto liberatorio. “Ti prego dammelo tutto” mi disse con una voce di metallo che non era la sua. Ah ah qui ti volevo, aspetta cara, non ho finito, continuando a esplorare e assaggiandola con morsi e succhiotti in attesa del pezzo forte. Che arrivò con i miei tempi da direttore d’orchestra, avevo in testa la marcia di Radezky, cavalli in corsa verso la vittoria finale. Lei era tutta un “Si si” “dai dai” ma quando capì che stavo per concludere, mi gelò. ”Ti prego non mi venire dentro”. Cazzo cazzo cazzo. E no bella mia, io non riesco proprio a ritrarmi, fattelo mettere dietro. “ Nooo mi fai male”. A volte le donne sono proprio stronze, ed io avevo urgentemente bisogno di quella concessione. Poi, il lampo di genio. Mi precipitai a cercare nella sua borsa l’olio di canapa appena comperato, glielo spalmai per bene sul popò e godei anch’io dei miei trenta secondi di gloria. Altro che anti radicali liberi, quell’olio era il migliore lubrificante mai provato.
Ancora oggi che non la vedo da anni, quando penso all’olietto miracoloso, che era il nome con cui lo chiamavamo strizzandoci l’occhio con complice malizia, la ricordo su quel letto, sfatta sudata e riconoscente mentre mi sussurrava all’orecchio “Sei stato grande, ti amo”.
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