“Uffa che noia!”, è l’espressione tipica di chi non sa cosa fare, si stanca a non far niente. E’ coinvolto dalla noia incoercibile, tutto si svuota di contenuto e di significato. Sembra avere un effetto paralizzante.
Peter Toohey nel suo saggio “Boredom – A lively history” afferma che la noia non è solo la “nausée” sartriana o il “taedium vitae”, spesso definito “noia esistenziale, ma può servire a stimolare l’attenzione, la creatività, può diventare “ozio creativo”.
Il termine "ozio" ha assunto col passare dei secoli una connotazione negativa perché considerato sinonimo di pigrizia o di inoperosità, da qui il detto della morale cristiana: "l’ozio è il padre dei vizi", per significare che se si perde tempo senza far nulla c’è la tentazione a peccare.
In realtà l’ozio non si contrappone al fare, può essere creativo. L’etimologia della parola ozio conduce al tempo libero, al riposo dalle attività quotidiane.
Gli antichi Greci contrapponevano l’oziare a quella dimensione del “fare” come attività che presupponeva uno sforzo fisico, eccettuato lo sport, e comportava il sudare, configurandosi come “lavoro” che, come tale, veniva praticato solamente dagli schiavi. Tutte le altre attività, non propriamente fisiche che richiedevano quella dimensione del “fare”, come attività della mente, del pensiero e rappresentate dalla politica, dallo studio, dalla poesia e dalla filosofia corrispondevano invece all’ozio = scholḗ, da cui deriva la parola scuola, nel significato di “occupazione studiosa”. Lavoro che ovviamente praticavano solo i cittadini più ricchi.
Anche gli antichi Romani aristocratici, economicamente benestanti, ebbero l’opinione produttiva dell’ozio (otium), inteso come riposo dagli affari o il tempo libero ed attività diversa da quella abituale, opposta al negotium ( da “nec - otium” = non ozio) cioè al lavoro degli affari, alla politica e all’attività finanziaria. Differenziazione tra il fare come attività fisica e il fare come attività di pensiero, attività di pensiero come contemplatio, come meditazione.
Il filosofo Seneca nel suo “De Otio” afferma, nel dialogo con Sereno, che “tutti possono dedicarsi alla vita contemplativa, perché anche questa ha una componente attiva”.
Questa concezione degli antichi sull’ozio come dimensione di pensiero che si realizza nell’attività politica, di studio e filosofica, è riproposta nel nostro tempo dal sociologo Domenico De Masi come "ozio creativo", in cui lavoro, studio e gioco coincidono. L’ozio creativo non consiste nell’inerzia del corpo ma nel lavoro della mente. Oziare non significa non pensare. Dall’ozio possono nascere idee e pensieri che possono essere utili all’individuo. De Masi avverte che c’è differenza tra l’ozio creativo, attivo, e l’ozio dissipativo, alienante, che ci fa sentire vuoti, inutili, ci fa annegare nella noia.
Siamo nella stagione delle vacanze. Quanti di noi le trascorrono riservando del tempo all’ozio creativo attivo ? Non ci abbandona la voglia di controllare mail e messaggi, di programmare le giornate di ferie. Non fermarsi per non avere l’ansia del fare o il timore di restare soli con noi stessi e ritrovarci a tu per tu con i problemi che ci assillano, i nostri limiti. Il tempo dissipato, “vuoto”, l’horr vacui è un “nemico” da evitare” il più possibile e motiva ad attivare delle difese psicologiche: il messaggio che non arriva, la telefonata che ritarda spingono a “coprire” quel silenzio che crea ansia con rumori di qualsiasi tipo, ascolto della musica, guardare la tv, fare qualcosa.
Essere costantemente impegnati, anestetizza il senso di solitudine ma aumenta lo stress. Le persone iperattive sono capaci di fare più cose in breve tempo ma hanno difficoltà all’introspezione.