So bene che questo scritto scandalizzerà i più benpensanti, ma tant'è!
L’Irpinia negli anni ’70 era una pacchia
Era la seconda metà degli anni ’70 e io non ero ancora maggiorenne. Anni di piombo li avrebbero chiamati poi, ma per me sono stati gli anni più belli della mia vita.
Al Liceo Scientifico “P.S. Mancini” di Avellino scioperi ed occupazioni erano all’ordine del giorno, si parlava molto di politica, si organizzavano cortei, si scriveva sui muri ”Fuori la Nato dall’Italia” o “A morte Kossiga”. A volte, si piangevano compagni periti in scontri armati, quando ti sorprendevi a scoprire che, magari, avevi avuto un brigatista in classe. Certo sono stati anni di stragi destabilizzanti, ma vivi, impegnati. Niente lasciava prevedere che nel decennio successivo avremmo assistito alla “Milano da bere” dei paninari craxiani: triste anteprima dell’ancora più triste ultimo ventennio.
Comunque non è di questo che vorrei scrivere, vorrei piuttosto ricordare l’entusiasmo e la fibrillazione con la quale aspettavamo il mese di settembre. Strano a pensarci, in genere a quell’età si aspetta giugno e le vacanze, il mare e gli amori estivi. Noi aspettavamo che maturasse la canapa.
Qualche amico più grande ci aveva fatto provare lo spinello di erba locale e… ci era piaciuto. Ma possibile che tutto quel ben di Dio crescesse spontaneamente nelle campagne circostanti? Era possibile: piante autoctone di ogni forma, grandezza e colore. Grandi tanto da aver bisogno dell’accetta, o piccole e tozze con rami resinosi. Canapone infumabile o concentrazioni di THC altissime.
La natura aveva sparso il suo seme ovunque nella verde Irpinia. Una pacchia!
Ricordo la piana del Laceno, un altopiano nel cuore della regione ora diventato stazione sciistica, piena, ma così piena di piante da non poter credere che non ci fosse la mano dell’uomo. Infatti, come scoprimmo poi, i contadini più anziani non disdegnavano una pipata di “o’ canno”. C’era sempre qualche pianta di canapa nei campi di mais, i cui semi, avevano la funzione di tenere gli uccellini lontano dai gialli chicchi maturi. O’ canno poi era usato a scopo ricreativo in sostituzione del tabacco, che pure veniva coltivato, conciato e arrotolato in mezzi sigari. Il raccolto del mais aveva gli stessi tempi di quello della canapa… grande lavoro in campagna a settembre! Naturalmente non tutte le piante avevano un principio attivo accettabile, ma alcune erano molto meglio degli ibridi in circolazione oggi. Per ovviare all’inconveniente di doversi caricare una foresta nel portabagagli, ci eravamo organizzati in questo modo: acquarelli e pennellino, si colorava sia qualche foglia alla base, sia la cima da staccare, seccare e provare. Così da ritrovare poi le piante buone in base al colore.
Insomma in poco tempo eravamo rimasti coinvolti in un bellissimo gioco, fatto di natura, pic nic, discettazioni sugli incroci dei semi, sperimentazioni, estrazioni di olio e pressaggi di polline, senza che nessuno si accorgesse della nostra frenetica attività. Addirittura un anno, eravamo nell’81, trattammo delle piante con Colchicina, sulla base di esperimenti fatti in America, ottenendo una pianta triploide (la canapa è diploide) e quindi geneticamente modificata. Ma era troppo potente, da sembrare innaturale, così lasciammo perdere. Che non venga a nessuno in mente di ricreare la Supergrass alla Colchicina. Di fatto si effettua una mutazione genetica sui cui effetti poco si conosce; niente a che vedere con le ibridazioni che si fanno oggi in nord Europa.
Ci si illude di poter aumentare le percentuali di principio attivo, ma per esperienza personale posso affermare che ho fumato l’erba più sconvolgente in quel periodo, ed era certamente un prodotto della natura.
A gennaio si preparava il terreno, a volte si piantavano fagioli da rivangare dopo qualche settimana, così da rifornire il terreno di azoto e potassio, a marzo si piantava, a settembre il raccolto. E nonostante le attenzioni, quanti furti. A volte ci rubavamo le piante l’uno con l’altro, magari senza saperlo. Ognuno aveva la propria piantagione segreta, oltre a ciò che, sempre più di rado, si trovava per caso. Poi ci si confrontava sul raccolto come se fossero broccoli o patate.
Pochi anni di pace amore e fantasia sull’onda beatnik. Da una parte l’impegno politico, dall’altra la sensazione di libertà che ci dava l’autarchia cannabinacea. Il tutto sotto lo sguardo azzurro di Marco Pannella che combatteva le nostre battaglie. Poi però qualcuno ci vide il lucro. Quel “la” che noi ragazzi avevamo dato, fu colto da menti più imprenditoriali delle nostre e il gioco diventò presto mercimonio. Coltivatori con grandi appezzamenti si lanciarono nell’affare destando l’interesse delle forze dell’ordine. La canapa si presentava come coltivazione più conveniente del vino o addirittura del tartufo nero di Bagnoli. Cresceva rigogliosa e con poche cure grazie anche a un microclima ideale, simile a quello dell’Indu Kush.
Nel frattempo Polizia e Carabinieri avevano avuto il tempo di documentarsi e la repressione fu quasi immediata. Posti di blocco ad hoc nelle zone topiche e grande concentrazioni di elicotteri alla ricerca delle piantagioni più grandi. Qualcuno l’ha fatta franca per anni piantando sotto i vigneti di Aglianico e Fiano che caratterizzano la zona. Qualcun altro cercando radure in alta montagna, alcuni coltivando indoor.
L’epoca d’oro dei pionieri della canapa era però finita. Gli anni ottanta videro eroina, cocaina e anfetamina prendere il posto dello spinello. A quei tempi la proporzione fra il costo della canapa e per esempio dell’eroina era molto più ampia, e tanto più si reprimeva la libera coltivazione, tanto più si apriva un altro mercato ben più redditizio. Quanti amici persi nel percorso. Una specie di selezione naturale: in mancanza di guerre e carestie, i più deboli se ne andavano falcidiati dalle droghe pesanti.
Adesso sono grande, quasi anziana. Non ho però perso il cuore di fanciulla che mi fa sognare ad occhi aperti. La vita mi ha castigato più di quanto meritassi, ma se conservo la capacità di sognare, la fantasia, la curiosità e l’ingenuità di una ragazza, lo devo ad una abitudine speciale che è quella di stimolare la mente con la mia pianta speciale.