Cos'è l'attesa? E’ tempo che passa, a volte con ansia oppure con angoscia. In quel tempo intermedio pensieri inattesi trovano il loro spazio. Gli sguardi vanno spesso verso l’orologio o il calendario.
L'attesa può causare irrequietezza se considerata inaccettabile (le file in genere, poste, banca, ecc. ). Poi la rassegnazione, “Aspettando Godot”…
Per gli amori giovanili l’attesa è lacerante, dà sofferenza; nell’età adulta, di solito si diventa più tolleranti, ma non sempre è vero. Si attende senza “smaniare” oppure subentrano l’ira o la frustrazione che induce alla rassegnazione.
Nel passato, prima dell’avvento dei telefoni cellulari, di Internet, della posta elettronica, eravamo più disponibili all’attesa della corrispondenza. Poi le cose sono cambiate. I tempi dell’attesa ora li riempiamo usando lo smartphone, facendo telefonate, rispondendo alle mail o ai messaggi.
A volte l’intervallo può diventare una bolla temporale che si espande fino ad inglobare gran parte dell’esistenza di un individuo, come accade alle persone che non hanno altro da fare che aspettare: l’ora delle medicine, il programma televisivo preferito, la fine della giornata, ecc.. Così l’attesa può diventare inquietante. Ci sono persone che subiscono la quotidianità come noia mortale e l’attesa diventa la dimensione dell’esistenza. Ma che vita è quando la noia di vivere sovrasta l’individuo ?
Attendere o aspettare ?
Nel primo post ho scritto che “attesa” è una parola composta, formata da “ad + tendere” e significa “essere orientato a…”, “muoversi verso qualcosa”.
L’attesa è etimologicamente diversa dal vocabolo “aspettare”, questo deriva dalla parola composta “ad + spicere”, e significa “guardare verso qualcosa”.
Allora del sopra citato titolo del dramma teatrale di Becket è meglio quello in lingua francese “En attendant Godot”, più aderente alla condizione dell’ attesa, anche se inutile da parte dei due “barboni”.
Per strane connessioni delle mie sinapsi la loro inutile attesa mi fa pensare alla fase del flirt in una coppia. Può evolvere verso l’innamoramento oppure risolversi entro breve tempo. Questa attesa serve per “studiarsi”, “capirsi” e decidere se proseguire o meno la relazione.
Asso di cuori o due di picche ?
La decisione può essere negativa, e chi la riceve può non dispiacersi se è orientato/a alla breve relazione e “coglie” il “carpe diem”, vive la quotidianità senza preoccuparsi del futuro del loro stare insieme. Se invece è positiva, “se si offre al/la partner l’asso di cuori” questa carta indica il successo nell’approccio e nell’iter amoroso, dà il via libera verso l’innamoramento.
Se il due di picche è inaspettato l’afflizione può durare anche per settimane. Un “no” fa sempre male. Sul lavoro, a scuola, nella vita… Ma in amore sembra qualcosa di insormontabile, sembra la scritta “the end” alla fine di un film. Ci si senti persi, brutti, senza futuro. È normale. Tutti, chi più chi meno, reagiamo male a un rifiuto. Soprattutto se questo rifiuto ci è dato dalla persona che ci piace, dalla persona che ritroviamo in ogni canzone e nell’immaginazione.
Spesso non basta il “no” per indurre a voltare pagina, a cercare un altro partner. Ci si si riempie la testa di domande senza risposta. Eppure il due di picche è solo una delle tante sconfitte che si ricevono nel corso della vita.
In amore, così come nelle altre relazioni affettive importanti, il 2 di picche provoca quella che in psicologia viene chiamata ferita narcisistica. Contrariamente ad un bimbo, l'adulto dovrebbe sviluppare l'autostima necessaria ad accettare un no.