Il filosofo e sociologo Herbert Marcuse (1898 – 1979), negli anni ’60 dello scorso secolo fu considerato un leader dei movimenti studenteschi per la grande importanza da lui attribuita all’immaginazione come strumento capace di comprendere la potenzialità delle cose.
“Immaginazione al potere” era lo slogan gridato dagli studenti per realizzare la “liberazione” insieme alle minoranze emarginate, e per contestare il potere a tutti i livelli.
Il 1968 è l’anno simbolo, soprattutto per le contestazioni studentesche in diverse nazioni del mondo, ma anche perché in quell’anno vennero uccisi Martin Luther King (4 aprile) e Robert Kennedy (5 giugno). Ci fu la cosiddetta “primavera di Praga”, stroncata dalle truppe sovietiche nell’agosto successivo, analoghe speranze e delusioni in Polonia, ecc..
In Europa divenne punto di riferimento il maggio francese, con l’occupazione della Sorbona e i tentativi degli studenti di organizzare una forma di democrazia diretta con “l’immaginazione al potere”.
In Italia divenne quasi un simbolo l’università di Trento, con la Facoltà di Sociologia che parve presentarsi come fonte e promotrice di tutte le grandi contestazioni, mentre facevano particolare scalpore le agitazioni studentesche che si verificavano a Milano all’Università cattolica del sacro Cuore (novembre 1967) che avrebbero provocato l’espulsione di alcuni studenti e le reazioni delle autorità accademiche.Le occupazioni si susseguirono in molte altre sedi universitarie, raggiungendo il culmine il primo marzo quando a Roma si svolse la “battaglia di Valle Giulia”, causata dall’occupazione della facoltà di architettura, una vera e propria battaglia urbana che provocò centinaia di feriti tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
Gli studenti protestavano anche contro le «baronie» degli accademici, contro un'università ritenuta classista e strumento del capitalismo e contro una scuola ancorata a schemi e regole antiquate.
Vi furono in seguito manifestazioni del dissenso cattolico. L’uso delle categorie marxiane sembrava introdurre nelle comunità ecclesiali alcuni concetti base del marxismo, identificando il Regno di Dio con l’utopia marxista, spingendo i cristiani ad operare in vista della trasformazione della società e presentando la prassi sociale come criterio della stessa vita religiosa.
Un altro segno del dissenso cattolico furono le reazioni, spesso critiche, all’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae, pubblicata il 25 luglio 1968, dedicata in particolare al problema del controllo delle nascite.
Da aggiungere che molti studenti della seconda metà degli anni '60 non condividevano i valori dominanti nell'Italia del cosiddetto "miracolo economico": individualismo, potere totalizzante della tecnologia, esaltazione della famiglia e corsa ai consumi. Il rifiuto trovò terreno fertile nelle minoranze che contestavano le due ortodossie dominanti in Italia: quella cattolica e quella comunista. Anche all'interno di tali ortodossie si muovevano ondate di contestazione, basti pensare a don Milani e ai Quaderni rossi e i Quaderni piacentini.
La congiuntura internazionale degli anni '60 ebbe poi un particolare ruolo. La guerra del Vietnam cambiò, ad esempio, il modo di guardare all'America di una intera generazione di italiani. Il mito dell'America degli anni '50 crollò sotto le vampate di napalm dei villaggi vietnamiti.
La Rivoluzione culturale cinese sembrava offrire nuove strade al socialismo: in antitesi al modello gerarchico e centralistico sovietico, la rivoluzione cinese fu largamente interpretata in Italia come un movimento di massa, spontaneo e anti-autoritario, che muoveva dalla base e non dal vertice.
Gli avvenimenti dell'America del Sud e la morte di Che Guevara nel 1967 munì infine gli studenti del loro principale e più grande eroe.
C'era la voglia di dire basta a un modo di essere che molti giovani consideravano ipocrita, formalista, egoista.
Francesco Guccini scrisse la canzone "Dio è morto": "...ai bordi delle strade Dio è morto, nelle auto prese a rate Dio è morto, nei miti dell'estate Dio è morto. Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede (...) perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudini e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto ...".
La Rai la censurò, e fu la dimostrazione del bigottismo del tempo. Infatti, subito dopo il niet della Rai, Dio è morto fu trasmessa dalla Radio Vaticana: La gerarchia vaticana aveva compreso la religiosità della canzone che, fra l'altro, finiva così: "Tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge, in ciò che noi crediamo Dio è risorto, in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, nel mondo che vogliamo Dio è risorto, Dio è risorto".
Alla fine del 1968, il movimento studentesco cominciò a capire che le sue lotte, per avere uno sbocco, dovevano agganciarsi a quelle della classe operaia e, seppure le motivazioni di questa alleanza non fossero ben chiare, si verificava una notevole empatia durante determinati eventi di lotta condotti separatamente, con reciproche manifestazioni di solidarietà e sostegno durante l’occupazione di alcune fabbriche o in occasione di scontri con i neofascisti e con le forze dell’ordine.
Con il passare degli anni, il ’68 è diventato una specie di mito; indica per alcuni il tempo della libertà, della fantasia al potere, del sogno di una società di uguali, del rifiuto delle gerarchie e delle regole dell’economia di mercato; per altri sembra il simbolo del rifiuto di ogni gerarchia sociale, di una specie di delirio collettivo distruttore di ogni forma di tradizione, principio dei diversi mali sociali e soprattutto premessa del futuro terrorismo.
In quegli anni dominava fra gli studenti il libro “Eros e civiltà”, pubblicato nel 1955 dal filosofo e sociologo Herbert Marcuse, nel quale formula l’idea di una società non repressiva e confuta alcune tesi espresse da Sigmund Freud ne “Il disagio della civiltà”: saggio sociopolitico col quale esprime la sua opinione sulla tensione tra la civiltà e l’individuo. L'attrito principale, afferma questo psicoanalista, nasce dalla ricerca della persona della libertà istintiva mentre la civiltà necessita della limitazione della libertà istintuale degli individui per il buon funzionamento di una comunità. Perciò la società crea leggi che inibiscono tali desideri per garantire sicurezza e l’ordine a chi ne fa parte, ma gli imperativi che essa impone al singolo sono spesso in contrasto con la soddisfazione dei bisogni individuali. Il disagio del vivere nella società è dunque determinato dal contrasto perenne tra felicità individuale e moralità pubblica.
La teoria di Freud si basa sulla convinzione che nell’umanità alcuni istinti sono immutabili, perciò vengono ostacolati per rendere gli individui civilmente conformi ma infelici, perché gli esseri umani sono governati dal principio del piacere, che viene è soddisfatto dagli istinti.
La civiltà, per intrinseche necessità di ordine, induce a reprimere l’eros tramite la sublimazione. Se al disagio creato dalla civiltà si aggiunge il conflitto fra fra Es, Io e Super-Io si può arrivare alla nevrosi.
Marcuse contesta il processo repressivo descritto da Freud come fattore intrinseco alla natura di ogni società, ed in “Eros e civiltà” sostiene in modo utopico che l' eros, represso dalla civiltà occidentale, dovrebbe allearsi con il progresso tecnologico per la liberazione sociale e individuale dell'uomo.
Nel 1964 questo sociologo pubblica il saggio titolato “L'uomo a una dimensione” nel quale esprime il suo pessimismo e la sua incapacità ad arrendersi ad un ordine sociale che gli appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell’individuo. Denuncia il carattere repressivo della società industriale, perché induce l’individuo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.
E la Chiesa cattolica ? Di fronte al “nuovo” che irrompeva cosa fece ? Capì di essere coinvolta nella “dissacrazione”, di essere accusata di oscurantismo ed autoritarismo. Credette che le urla dei contestatori fossero la vox populi e cercò, come al solito, di adattarsi alla contemporaneità.
Il Sessantotto durò dieci anni, fino al settembre del 1977, ed ebbe poi, ancora per molto tempo, una tragica appendice con la lotta armata.