Autore Topic: I cani del pecoraio  (Letto 552 volte)

victor

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I cani del pecoraio
« il: Ottobre 06, 2011, 22:55:57 »

14 anni - I cani del pecoraio

In genere appena finiva la scuola correvo da mio nonno dove, come ho detto vivevo libero ed allo stato brado. O mi ci portavano i miei genitori con la macchina, oppure, se mio padre non poteva accompagnarmi, mi mettevano sull'autobus con la valigia e mio nonno mi veniva a prendere alla fermata.

A casa di mio nonno ogni tanto veniva mio zio e da lì si recava nella sua campagna che confinava con quella di mia madre. Io andavo con lui in macchina e scendevo davanti al cancello della campagna di mia madre, mentre lui proseguiva per la sua che si trovava poco oltre e che era molto grande (se non ricordo male circa 200 ettari).

Durante le vacanze mio padre mi lasciava libero di fare tutto quello che volevo, ma se c'era da svolgere qualche compito nell'interesse della famiglia io dovevo lasciare tutto e andare a svolgerlo. Questi eventuali compiti per me non erano assolutamente un peso, anzi ero orgoglioso degli incarichi e delle responsabilità che mio padre mi affidava. Il compito che dovevo svolgere, quando andavo in campagna, era quello di girarla tutta. Mio padre mi aveva insegnato a percorrerla in lungo e in largo e controllare tutto, ogni minimo dettaglio, controllare se gli operai avevano zappato il vigneto che veniva zappato quattro volte nel corso dell'anno (a quei tempi la coltivazione veniva fatta a mano), se avevano messo i pali di sostegno alle viti più deboli e le avevano legate per bene, se avevano spruzzato lo zolfo per evitare che l'oidio, una malattia che colpiva la vite al momento della fioritura rovinasse la produzione, se avevano irrorato con il solfato di rame contro la “perenospera” un'altra malattia delle viti.

Dovevo osservare e annotare mentalmente ogni minimo dettaglio, e poi per telefono fargli un resoconto preciso e dettagliato di tutto. Io eseguivo con scrupolo e pignoleria le sue disposizioni ed ero felice ed orgoglioso quando ottenevo la sua approvazione. Non mi lesinava i rimproveri, anzi mi tartassava di domande chiedendomi tutti i dettagli e i particolari. La sua era una inquisizione vera e propria ed io dovevo rispondere con dovizia di particolari. Poi mi dava le istruzioni sulle cose e sui lavori che dovevano essere fatti ed io le riferivo a “Peppino” che era la sua persona di fiducia che si occupava della esecuzione dei lavori.

Quando mio zio finiva di controllare la sua campagna si metteva in macchina e passava a prendermi. Io, che conoscevo più o meno il tempo che avrebbe impiegato, tenevo d'occhio la sua macchina e quando vedevo che si muoveva ritornavo verso il cancello in maniera da non farlo attendere troppo per ritornare  insieme a casa.

Una volta, io avevo già completato la mia perlustrazione e il mio controllo, ma la macchina di mio zio era sempre ferma e nel cortile non c'era alcun movimento, segno questo che non era neanche in procinto di partire. Così quella volta decisi di andarlo a trovare nella sua campagna. Scavalcai il muro che divideva le due proprietà e mi incamminai. Per raggiungere il cortile dove era posteggiata la macchina c'era da fare un percorso di circa mille metri. Lungo questo percorso si doveva costeggiare il recinto in cui erano rinchiuse le pecore del pecoraio “Calcagno”. Il recinto si trovava nella campagna di mio zio, ed il pecoraio acquistava ogni anno il diritto di pascolare le pecore in cambio di formaggi e latticini. Il pecoraio mi conosceva bene, anzi spesso avevo mangiato la ricotta calda appena fatta proprio nel casolare attaccato al recinto per cui ero abbastanza tranquillo, malgrado sapevo che i suoi cani erano molto feroci e si diceva che una volta aveva aggredito e ridotto una persona in fin di vita.

Mi incamminai e per prudenza mi tenni a debita distanza dal recinto. Dal comignolo del casolare usciva un filo di fumo, segno questo che i pecorai erano là e stavano facendo la ricotta e il formaggio. Tenevo d'occhio tutto. Ad un tratto vidi un cane nero affacciarsi sull'uscio e poi uscire lentamente, dietro il primo cane ne uscì un secondo, e poi un terzo... Mi resi conto immediatamente della situazione. Mi guardai intorno, poco distante da me c'erano due muri che si univano formando un angolo acuto. Era un ottimo riparo. Cominciai a indietreggiare lentamente e senza mai volgere le spalle ai cani, che nel frattempo erano diventati sette o otto, e correvano verso di me abbaiando, mi diressi verso quest'angolo per ripararmi. Giunsi appena in tempo che i cani mi furono addosso. Il muro mi proteggeva alle spalle e ai fianchi per cui i cani li avevo solo davanti. I cani tentavano di aggredirmi e di mordermi, ma io con le mani, con i piedi e con un legno che avevo raccolto riuscii a tenerli a bada. Nel frattempo uscirono i pastori dal casolare e, avendomi riconosciuto, corsero a richiamare ed a disperdere i cani. Riuscii a non farmi mordere, ma i pantaloni me li avevano strappati.

Il pecoraio si disse dispiaciuto dell'incidente, mi portò dentro il casolare e mi offrì una grande scodella di ricotta calda, che mangiai tutta, fino all'ultima goccia, forse per smaltire la paura. In effetti mi ero preso una gran bella strizza!

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor