Autore Topic: Eros, il dio che brucia l’anima  (Letto 1076 volte)

Doxa

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Eros, il dio che brucia l’anima
« il: Settembre 01, 2016, 16:07:16 »
Sto rileggendo un vecchio libro, titolato “L’amore in Grecia”, curato dal grecista e filologo svizzero Claude Calame. Il volume miscellaneo contiene alcuni saggi ai quali voglio dedicare alcuni post.

Nell’antica Grecia gli atteggiamenti ed i comportamenti riferibili alla sessualità avevano  riflessi nella religione, nella letteratura, nell’arte pittorica. Nelle figure divine di Eros ed Afrodite, in alcune tragedie, commedie o poesie, nelle rappresentazioni della pittura vascolare ci sono le tracce delle pratiche sessuali dei Greci dell’epoca.

Eros paredro di Afrodite. Nella religione degli antichi Greci il paredro (= che siede accanto) è il dio associato nel culto ad altra divinità maggiore, in questo caso Eros a Venus. Eros incarna la forza dell’amore.

Il termine “paìs” designava sia il bambino che la bambina, fino all’età puberale; la funzione di indicare il maschio o la femmina era delegata all’articolo che precedeva quel lemma.

Con l’adolescenza le ragazze venivano di solito  indicate con il termine “kòrai”  (kore al singolare), invece i ragazzi “kouroi” (sing. kouros) ed anche “èpheboi” (tra i 16 ed i 18 anni).

L’educazione scolastica maschile si svolgeva al ginnasio, la pratica sportiva in palestra e la socialità nei banchetti.
Dal filosofo Platone, dalla poetessa Saffo e dal  commediografo Aristofane sappiamo delle relazioni omoerotiche che eventualmente potevano intercorrere tra un giovane discepolo ed un maestro adulto, tra l'erastès (l’amante) e l'eròmenos (l’amato). Tale rapporto affettivo di tipo omosessuale, anche se sembra strano,  preparava il ragazzo alla relazione eterosessuale ed infine al matrimonio,  rito di passaggio all’età adulta per maschi e femmine. 
 
L’amante, maestro dell’amato, è il garante delle qualità morali e delle cognizioni che l’amato deve acquisire stando con lui. L’amore di un adulto per un adolescente è fondato  sulla trasmissione del sapere e della virtù.

Platone nel “Simposio” descrive Alcibiade come un bel giovane che cerca di di attirare l’attenzione di Socrate per profittare del suo insegnamento. E’ l’efebo che tenta di sedurre il suo maestro per farlo divenire suo amante.

Per quanto riguarda l’educazione delle ragazze alcune antiche testimonianze informano che attraverso la danza, il canto e la musica le adolescenti acquisivano le qualità richieste alla donna adulta: grazia, armonia  e bellezza.
Nelle classi aristocratiche queste qualità venivano comunicate  anche tramite l'eventuale relazione omoerotica tra una ragazza più grande ed una di minore età, come la corifea dei cori di Alcmane, o da una donna più matura, come Saffo a Mitilene. Anche qui l’erotismo  tra amante ed amata si realizza tramite la  pedagogia. L’educazione femminile alla bellezza tramite la relazione omoerotica aveva come fine la preparazione al matrimonio e alla procreazione.

L’eventuale ambiguità sessuale dell’età adolescenziale deve essere considerata in quel tempo solo come iniziazione alla conoscenza dell’amore.
Kalòs kagathòs”: bellezza fisica e perfezione morale erano tra loro inseparabili. 

Doxa

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Re:Eros, il dio che brucia l’anima
« Risposta #1 il: Settembre 07, 2016, 07:29:51 »

Afrodite di "Cnido" (anche Afrodite Cnidia), copia in marmo conservata presso il Museo nazionale di Roma.

Per i Greci dell’età classica l’amplesso era simbolicamente collegato ad Afrodite, la dea dell'amore, della bellezza, della procreazione e della fertilità. Patrona del piacere sessuale, le parti del corpo di questa divinità erano considerati “ tà aphrodìsia” (= guardando le cose dell’amore), attinenti alla voluptas. Invece il desiderio sessuale suscitato dalla bellezza fisica era di competenza del dio Eros.
 
Se il sesso era delizia, il fallo era lo strumento di quel piacere, personificato da Fales (= Priapo), divinità con lungo pene in erezione.
Durante le primaverili “Falloforie”, dedicate a Priapo e Dioniso, si svolgevano riti propiziatori per la fertilità dei campi e delle donne. Veniva portato in processione il simulacro fallico in legno come simbolo di fecondità,  accompagnato da canti tipici.

Dai poemi omerici  si apprende che la società greca era basata sul patriarcato, mentre durante lo sviluppo delle città Stato (polis) vennero istituiti distinti gruppi sociali con criteri di esclusione: gli uomini nati liberi  che avevano il diritto di cittadinanza, gli stranieri (meteci) e gli schiavi dall'altra... ma tra gli esclusi vi erano anche le donne.
Aristotele, nella sua Politica (III, 1) definisce la cittadinanza come la capacità di partecipare al potere politico; le donne, alla stessa maniera degli stranieri e degli schiavi, non avevano la possibilità di accedere al potere politico.

Comunque la condizione e lo status sociale della donna variava da polis a polis. In alcune città avevano la facoltà di possedere anche vasti appezzamenti terrieri, il che costituiva la più prestigiosa forma di proprietà privata dell'epoca.

Demostene ci fa sapere che ad Atene “Le cortigiane le abbiamo per il piacere, le concubine per le cure di tutti i giorni, le spose per avere figli legittimi e come guardiane fedeli dei beni della casa”.   L'uomo economicamente benestante poteva avere la moglie (damar o gynè) per generare figli legittimi; la concubina (pallakè) che aveva doveri di moglie ma non gli stessi diritti;  l'etera, l'attuale "escort", che accompagnava l'uomo nella vita sociale ed era a pagamento; la prostituta (pornè). 
 
La società greca del V - IV sec. a. C. era una società schiavista e la schiava non poteva rifiutare di soddisfare le richieste sessuali del suo proprietario.

Nelle città c’erano anche residenti stranieri, fra cui donne che si prostituivano, e le “hetaìrai”, che cercavano di stabilire relazioni a lungo termine con uomini facoltosi ed attraenti.

La “hetaìra” (cortigiana) non va confusa con la “pallaké” (concubina).

Al politico ed oratore ateniese Demostene (384 a.C. – 322 a.C.) gli viene attribuito ma anche contestato come non suo il "discorso n. 59", noto come “Apollodoro contro Neera” (una etera vissuta nel IV secolo e citata in giudizio) dà dettagli sulla prostituzione nella poleis.

Di Neera, prostituta di Corinto, attraverso il dibattito sull'usurpazione dei diritti civili (questa è l'accusa rivolta alla donna) è possibile ricostruire l'escalation della cortigiana che vuole conquistarsi uno status all'interno della città ed avere la cittadinanza.   
Nel paragrafo 51 Demostene usa il termine “synoikeìn” per definire la posizione di Neera, cui contesta di essere legittimamente sposata, pur vivendo con Stefano.  “La condizione del matrimonio (synoikeìn), afferma Demostene, consiste nel fatto che si procreano figli”.

Se un giovane s’innamorava di una etera o una schiava, per avere il possesso dell’amata di solito la comprava o la riscattava.

Nell’Atene del V sec. A.C. non c’era una definita unione matrimoniale ma vari tipi di convivenza, con diverse conseguenze giuridiche per la donna ed i figli, distinti tra legittimi ed illegittimi.

L’elemento essenziale del matrimonio era l’engye, l’atto sociale che impegnava la coppia e le loro famiglie con accordi reciproci davanti a testimoni nel ruolo di garanti. L’engye era necessario ma non sufficiente. Doveva seguire la coabitazione della donna nella casa dello sposo. 


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Re:Eros, il dio che brucia l’anima
« Risposta #2 il: Settembre 08, 2016, 07:40:40 »
Nel V secolo a. C. nelle città-Stato della Grecia la regola generale per le ragazze da maritare era quella espressa nei versi del poeta Naumachio: “Accetta il marito che i tuoi genitori hanno scelto”. 

La donna era sottomessa all’autorità del “kyrios” (= proprietario, dominatore): prima il padre-padrone, poi il marito; in loro mancanza, un tutore o un parente, ma comunque un uomo.

Ad Atene la donna libera non differiva dagli schiavi per quanto riguarda i diritti politici e giuridici. Non aveva la libertà di scegliere l’uomo da amare e sposare.  Ma da sposata governava la casa con autorità. Se la famiglia possedeva gli schiavi, per essi lei era la “dèspoina”, la padrona.

Lo storico ateniese Senofonte scrisse il dialogo titolato “Economico” o “Leggi per il governo della casa”: i protagonisti del colloquio sono Socrate e il giovane Critobulo. Il filosofo racconta al ragazzo di una conversazione avuta con un ricco proprietario terriero, Iscomaco, sul modo di amministrare i beni.

Iscomaco: “ Dimmi moglie : hai capito per quale fine io ti ho sposato e i tuoi genitori ti hanno data a me?
Sappiamo bene tu ed io che non ci sarebbe mancata una qualsiasi persona con cui andare a dormire.
Ma volendo, io per il mio interesse e i tuoi genitori per il tuo, che formassimo la più felice unione domestica, sia di casato che di prole,  io ho scelto te, come i tuoi genitori, dalla loro parte, hanno scelto me tra tutti i partiti possibili”. (7,10) In questa concezione del matrimonio le considerazioni economiche sono più importanti di quelle morali. Iscomaco e la moglie sono uniti nel perseguimento di interessi comuni. Il testo è interessante perché informa su aspetti e condizioni sociali nell’Atene del V-IV sec. A. C.. Comunque molti matrimoni erano basati sull’amore di coppia, ed anche quelli celebrati “per convenienza”, per interesse economico e per avere figli legittimi, potevano trasformarsi in reciproca stima, affetto ed anche amore.

“Anche Nicerato, a quel che sento, ama la moglie ed è riamato”. Questa frase è nel “Simposio” scritto da Senofonte  (8, 3). Il dialogo si svolge nella casa del ricco Callia  con gli interventi di Socrate che guida la conversazione dei convitati verso riflessioni morali. I protagonisti debbono dire  di che cosa  vanno fieri, giustificando, con un breve discorso, ciò che dicono.

Nell’Etica nicomachea del filosofo Aristotele ci sono numerose frasi dalle quali si apprende che il matrimonio non era considerato solo un affare economico o un’alleanza per perpetuare la discendenza, ma anche  un legame affettivo, di tenerezza reciproca.

Il matrimonio tra un cittadino ateniese e la figlia di un cittadino ateniese era preceduto dalla cerimonia dell’engyesis, l’accordo solenne davanti a testimoni sulla promessa delle nozze e sulla dote.

Il marito poteva ripudiare la moglie, ma la moglie poteva ottenere il divorzio solo in casi estremi. L’infedeltà del marito era ammessa, mentre l’adulterio della donna rendeva obbligatorio il suo ripudio, altrimenti il consorte veniva privato dei diritti civili.

Il politico e militare ateniese Pericle (495 a.C. circa – 429 a.C.) lasciò la moglie per mettersi con l’etera Aspasia di Mileto. Il loro fu un lungo legame di convivenza, perché la legge vigente non permetteva ai due  il matrimonio legittimo e il figlio nato da questa unione non fu riconosciuto. Si amarono intensamente.

Ad un discepolo di Socrate, Aristippo di Cirene, fondatore della scuola edonistica, fu fatto notare che Laide,  la sua etera, non lo amava. Aristippo, impassibile, con cinismo rispose che quando gustava un vino o un pesce non pensava di essere amato da quel vino o da quel pesce, ma da loro traeva piacere gustativo.

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Re:Eros, il dio che brucia l’anima
« Risposta #3 il: Settembre 09, 2016, 00:02:53 »
Eros, il mitologico dio greco dell’amore, conosciuto come Amor o Cupido dai Romani, fu immaginato come un adolescente bellissimo o come bambino alato, pronto a colpire con le sue frecce per far innamorare le persone. Eros creava il desiderio sessuale, Afrodite favoriva il  “gàmos”, l’amplesso.

Ad Atene, sul lato nord dell’acropoli, fu edificato un santuario dedicato alle due divinità. In questo luogo durante scavi archeologici furono rinvenuti simboli sessuali in terracotta, statuette votive rappresentanti Eros da solo o con Afrodite.

Nella poesia e nell’arte Eros fu immaginato come un efebo che univa la sua azione a quella di Afrodite. 

Immagini erotiche erano diffuse nell’arte greco-romana.

Narrativa religiosa, mitologia e costume rituale sono i tre fattori che contribuirono ad introdurre temi sessuali nell’arte greca, che poi venne sviluppata verso rappresentazioni di situazioni sociali, come banchetti e simposi, ed atti compiuti da persone reali, non da personaggi mitici. Molte immagini erotiche venivano dipinte sulle coppe da vino destinate a persone ricche.

La figura femminile drappeggiata compare nell’arte greca sia nella scultura che nella pittura vascolare. Le più note figure femminili totalmente nude nella scultura del V secolo sono la “Venere Esquilina” e la suonatrice di flauto del “Trono Ludovisi”. Più numerose sono le sculture che rappresentano donne parzialmente nude.

Nella pittura vascolare sono numerose le donne raffigurate nude, in particolare sulle coppe da vino, bevanda cara a Dioniso. Le scene rappresentano amplessi fra satiri e menadi che facevano parte del seguito del dio.

Ci sono anche molte rappresentazioni di rapporti sessuali di gruppo durante i simposi. Le coppe con pitture a soggetto erotico erano destinate ai simposi  di uomini delle classi superiori, intrattenimenti ai quali le donne rispettabili non erano mai invitate. Su queste coppe è raffigurata un’ampia varietà di attività sessuali.