Autore Topic: Tabu ed eufemismi linguistici  (Letto 435 volte)

Doxa

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Tabu ed eufemismi linguistici
« il: Giugno 30, 2016, 17:58:38 »
Tabu è una parola polinesiana è significa “sacro” ed anche “proibito”. In Italia la usiamo con l’accentazione sulla vocale u, come i francesi, ma ovviamente sbagliamo.

In origine il sostantivo tabu indicava una proibizione rituale e riguardava cose o persone. Col tempo il lemma è stato ampliato di significato, riferendosi anche alle interdizioni.

Tabu linguistico: consiste nella proibizione di dire parole relative a referenti tabuizzati, che possono essere persone, animali, piante, oggetti, ecc.. I termini tabuizzati vengono sostituiti con altri meno espliciti o con eufemismi.
I vocaboli coinvolti nell’interdizione linguistica riguardano l’ambito magico-religioso, la malattia, la morte, la sessualità, le funzioni corporali, aspetti fisici e morali.
Per superare l’interdizione, il parlante può tacere il nome dell’oggetto interdetto, alludendovi con una pausa o un gesto, oppure sostituisce il termine che designa in maniera diretta la nozione tabuizzata con traslati o altre espressioni che vi si riferiscono in maniera indiretta.

La più diffusa delle strategie lessicali consiste nell’utilizzare perifrasi, metafore od eufemismi.

Il virus dell’eufemismo pseudo nobilitante dilaga. Alcuni esempi: gli accalappiacani vengono definiti “operatori di igiene veterinaria”; gli spazzini “operatori ecologici”; gli infermieri “operatori sanitari”; le guardie carcerarie (ex secondini) “operatori penitenziali”; i portalettere (ex fattorini) “operatori di servizio postale”.

E’ patetico questo tentativo di “migliorare” uno status sociale cambiando le parole non potendo mutare la sostanza; ma noi siamo più sensibili alle parole che ai fatti. Allora perché non chiamare i pastori “agenti di custodia di greggi in transito” ? I ferrovieri “trasportatori di umanità di prima e seconda classe, oppure di ambiente smart o luxury” ? I calzolai (ciabattini) “restauratori di antiquariato scarpario” ?
In Italia le “rivoluzioni” sono soltanto lessicali. Le persone cieche le denominiamo “non vedenti”;  quelle sorde “non udenti”¸gli inabili li abbiamo “battezzati” come “portatori di handicap” oppure “diversamente abili”. Abili in che cosa ?  Io ancora non ho capito in che cosa sono abile. Per dirla con Gassman: “Ho un grande avvenire dietro le spalle”, perciò ho tempo per comprendere.