Bene, brava Birik !
Oltre l’idolatria per le reliquie (poche vere e molte false fatte adorare nei secoli dal clero a milioni di persone, in particolare quelle analfabete o semialfabetizzate), c’è anche da parte dei cristiani l’idolatria per le immagini: queste, come le reliquie, possono diventare oggetto di culto, ed essere coinvolte in riti liturgici specifici: processioni, ostensioni, preghiere, pellegrinaggi, ecc..
Uno dei cosiddetti “dieci” comandamenti (sono più di dieci e suddivisi in modo diverso nel Deuteronomio e nel libro dell’Esodo) proibisce l’uso delle immagini.
Questo è il secondo comandamento nella versione ebraica: “Non avrai altri dei al mio cospetto. Non dovrai farti alcuna figura scolpita, né immagine alcuna delle cose che sono in alto nel cielo o in basso sulla terra o nelle acque al di sotto della terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li adorare, perché io, il Signore tuo Dio, sono un Dio scrupoloso [nell'esigere la punizione per l'idolatria]. Per coloro che mi odiano Io punisco il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione mentre uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che mi amano ed osservano i miei comandamenti”.
Invece la Chiesa cattolica considera la prescrizione sull’adorazione delle immagini come parte dell’incompleto primo comandamento: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Ha eliminato la parte riguardante la proibizione delle immagini. E chi non si informa pensa che tale versione sia quella originale. Questa istituzione religiosa, però, non va condannata per aver proliferato immagini sacre: ci sono motivazioni storiche che l’hanno indotta a tale scelta. Anche se la prima comunità cristiana venne costituita in Palestina ed il proselitismo cominciò in quella regione, furono i cristiani residenti a Roma in epoca imperiale a creare i presupposti iconici per la loro religione in fase di sviluppo.
Non ci sono testimonianze di rappresentazioni artistiche cristiane prima del III secolo. I primi cristiani osservarono le limitazioni giudaiche sull'utilizzo di immagini. Nel canone 36 del Concilio di Elvira ( antico toponimo di Granada, in Spagna), che si svolse dal 303 al 306, si prescrive esplicitamente: “Ci è sembrato bene che nelle chiese non ci devono essere pitture, in modo che non sia dipinto sui muri ciò che è onorato e adorato”. Fonti scritte documentano l‟opposizione di Tertulliano, Agostino ed Eusebio di Cesarea all‟uso e circolazione di immagini.
Dal I al IV secolo per timore delle persecuzioni anti-cristiane i seguaci di Gesù ebbero l'esigenza di ideare nuovi sistemi di riconoscimento che sancissero la loro appartenenza alla comunità senza destare sospetti tra i pagani. Nelle catacombe i riferimenti alla religione cristiana venivano celati dietro allusioni simboliche comprensibili solo ai fedeli: ad esempio il tema evangelico del Buon Pastore poté essere rappresentato come dio Ermes; il monogramma di Cristo “Chi Rho” è una combinazione di lettere dell'alfabeto greco che formano l’abbreviazione del nome di Gesù; il termine ichthýs è la traslitterazione in caratteri latini del greco antico ΙΧΘΥΣ, significa “pesce” ed è un acronimo formato con le iniziali della frase greca: “Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore”. Le lettere sono normalmente accompagnate o sostituite dal disegno di un pesce. Un’altra immagine simbolica di Gesù Cristo è l’agnello, considerato animale sacrificale. Giovanni battista disse di Gesú che gli veniva incontro nella valle del Giordano: “Ecco l’agnello di Dio: ecco Colui che toglie i peccati del mondo”.
Anche nei secoli successivi, quando Cristo o la Vergine vennero rappresentati esplicitamente, l'iconografia pagana fu matrice di quella cristiana: le scene di apoteosi suggerirono rappresentazioni dell'Ascensione; all'imperatore o all'imperatrice in trono corrispondono Cristo o la Vergine fra angeli o santi; l'ingresso di Cristo in Gerusalemme ricorda l'ingresso trionfale del sovrano, ecc.
Quando i cristiani ebbero l'esigenza di una loro arte figurativa non poterono prescindere dall’avere come riferimento l'eredità artistica greco-romana con le raffigurazioni pittoriche e scultoree di dei ed eroi invocati ed idolatrati da altre religioni pagane.
Nel IV secolo si passò dalla persecuzione dei cristiani all’ammissione del culto cristiano nel 313, dopo il cosiddetto “editto” (che invece è un rescritto) dell’imperatore Costantino I, e la nascente arte cristiana fece propri gli schemi di rappresentazione dell’iconografia greco-romana.
Nel 380 l’imperatore Teodosio I impose la religione cristiana come unica religione di Stato nell’impero romano e cominciò la persecuzione dei pagani da parte dei cosiddetti cristiani.
L'arte sacra come strumento didattico ebbe eloquenti difensori fra i padri della chiesa: Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nissa, Cirillo di Alessandria, il monaco Basilio. La rappresentazione a fini di culto del volto di Gesù e di Maria, invece, pose qualche problema e richiese l'elaborazione di una teologia delle icone.
Le comunità cristiane capirono l’importanza e l’ influenza delle immagini per evangelizzare, persuadere, far ricordare ai fedeli eventi e personaggi, per tramandare significati simbolici, insegnamenti morali. Per questo motivo,nel corso dei secoli, ci furono interventi delle autorità ecclesiastiche per controllare le immagini, la loro produzione e il loro uso, per esaltarle, valorizzarle, correggerle, sostituirle, aggiornarle o eliminare alcune tipologie.
Le iconografie sacre si basano su testi biblici, riflessioni esegetiche, scritti teologici e pastorali, testi liturgici e devozionali, testi canonici o apocrifi, leggende e racconti, testi letterari e poetici di argomento religioso.
Dal VI secolo ci fu il culto crescente delle immagini: ad esse collegate le pratiche devozionali individuali e collettive, la fede popolare nelle loro proprietà magiche, taumaturgiche e apotropaiche. Molte rappresentazioni venivano credute o fatte credere dal clero miracolose. La venerazione delle icone spesso diventava iconolatria, che condusse all'iconoclastia nell'’VIII e IX secolo.