Autore Topic: Una storia del vecchio nostromo  (Letto 1012 volte)

valdobear

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Una storia del vecchio nostromo
« il: Novembre 08, 2015, 17:43:02 »


“Qual è la tua sostanza, di cosa sei fatto
che milioni di strane Ombre ti fanno scorta?”.
(W. Shakespeare, sonetto 53)


Troppe volte la vita di un uomo è stata decisa nel suo bivio cruciale, da una piccola parola: “se”.
Se avesse fatto, se avesse visto, se avesse ascoltato… quel “se”, nella sua brevità, racchiude un grido di rimpianto,  spesso una sentenza senza appello.
La vita di Konstantin Afanasevič Samaraev non aveva ancora incontrato quel bivio.
Alla soglia dei venticinque anni, Konstantin trascorreva i suoi giorni senza rimpianti tra San Pietroburgo e una delle grandi tenute di famiglia, nei pressi di Lebjaž'e, affacciata sule gelide acque del golfo di Finlandia.
Sebbene primogenito di un nobile dalle grandi ricchezze, a suo tempo insignito dallo Zar Nicola I dell’ordine di Cavaliere di San Vladimiro, Konstantin amava mescolarsi al popolo di pescatori e marinai che affollava la taverna di Jakov, al porto. 
Spesso, nella buona stagione, lasciava a cavallo la tenuta e passava la notte nel tanfo di pessima vodka, giocando a carte e cantando strofe che a San Pietroburgo gli sarebbero costate l'esclusione dai salotti della buona società, e forse anche di peggio.
Nella taverna, Konstantin trovava l’opposto di ciò che non sopportava nei salotti della capitale: persone che valeva la pena di conoscere, schiette nella loro dignitosa povertà, interessanti perché riscattavano la loro ignoranza incolpevole con i tesori dell’esperienza. E questi tesori erano sempre disposti a condividerli, senza chiedere altra ricompensa che un bicchiere di vodka.
Una di queste persone era certamente Staryj Botsman.
In realtà nessuno sapeva il suo vero nome, si faceva chiamare soltanto Staryj Botsman, vecchio Nostromo;  ugualmente, nessuno sapeva di dove fosse: era arrivato un giorno di tempesta, da solo a governare una Jaala estone a due alberi.  Ancorata vicino a riva, fatiscente, quella era la sua casa.
Senza nome, senza età, senza patria, certamente con la gioventù lontana molti lustri, il volto arso dal sale e il corpo ricoperto dai segni delle risse nei porti di ogni mare, sedeva sempre da solo, allo stesso tavolo, e dava fondo a bottiglie e ricordi.
La sua voce, che aveva sovrastato quella dei marosi ruggenti e l’urlo dei venti tra il sartiame, nel tempo si era arrochita e affievolita, ma era ancora in grado di dominare lo schiamazzo disordinato degli avventori.
«San Nicola mi è testimone, quella volta che…», iniziava invariabilmente, e intorno a lui si faceva silenzio.
Allora, in quella stanza maleodorante, il Kraken divoratore di vascelli e marinai, con i suoi cento tentacoli si avvinghiava alle gambe dei tavoli, oppure il brigantino del capitano Fokke, dalle vele lacere e la ciurma di spettri, attraversava a dritta la rotta di un vassoio di vodka, mentre gabbiani diabolici dagli occhi di fuoco si calavano sul bancone, guardando malignamente gli avventori.
Se, Il fatale “se” di Konstantin: se avesse prestato attenzione a una delle storie del Nostromo…
Avrebbe dovuto, non fosse altro perché quella sera, per più volte, lo sguardo del vecchio aveva attraversato il vetro del bicchiere e si era puntato negli occhi di Konstantin, che ne era rimasto turbato; “dagli occhi di un uomo si giunge alla sua anima”, dice un proverbio russo, e gli era parso che quell’uomo pieno di misteri stesse appunto leggendo il libro nero della sua anima.
Perché il disegno del delitto che lo avrebbe dannato per l’eternità era ormai germogliato in lui, come un cancro senza remissione.
Invece, distratto da quello sguardo e immerso nei suoi sinistri pensieri, aveva permesso che le parole pronunciate dal vecchio scivolassero nella sua mente senza destare alcuna attenzione o lasciare una traccia in grado di riaffiorare tra i ricordi.  In fondo i racconti del Nostromo erano solo cupe leggende, da prendere per quello che valevano: una bottiglia di pessima Vodka.

Erano passati due giorni e una breve notte mai del tutto oscura, l’alba segnava l’inizio di un nuovo, interminabile giorno e già in alto volavano i padroni dei venti, i gabbiani, emettendo le loro grida inconfondibili.
Se solo si fosse ricordato del racconto del Nostromo, sicuramente avrebbe fatto qualcosa di diverso, invece Konstantin aveva appena abbandonato il corpo inanimato di Nina Michailovna tra gli scogli dove l’aveva trascinato.
Alla luce radente del sole, Nina aveva perso tutto il suo potere di seduzione. Quello che aveva abbandonato lì, nella schiuma della risacca, era qualcosa di simile alla pelle della serpe che si trova a volte lungo il sentiero: una forma vuota, priva d'ogni fascino perverso e non più in grado di avvelenare chi l’avesse avvicinata.
Presto il mare se la sarebbe presa e di Nina non si sarebbe mai più sentito parlare, lei non avrebbe gettato ancora i suoi maligni incantesimi, nessun uomo sarebbe ancora stato schiavo della sua bellezza.
Nina, la più bella e la più pericolosa tra le donne che Kostantin avesse mai conosciuto.
L'aveva amata con tutto se stesso, e San Pietroburgo era rimasta per mesi senza Konstantin Afanasevič Samaraev, come se non ci fosse mai vissuto. Si era dileguato, scomparso.
Era pronto a sfidare le convenzioni per sposarla e imporla alla famiglia, contro le ipocrite leggi non scritte che lo avrebbero reso un reietto di quella società chiusa e bigotta. A Ivan Nikiforovič, cugino e soprattutto grande amico, che da San Pietroburgo era venuto a cercarlo alla tenuta, aveva confidato ogni cosa.
"Una popolana di una sperduta cittadina di pescatori? Forse addirittura una mezza prostituta? Ma andiamo, Konstantin! Divertiti, passaci tutte le notti che vuoi, ma sposarla, portarla a San Pietroburgo... non sarai impazzito? Tuo padre ti toglierebbe l’eredità e ogni altro aiuto, e tu come vivresti? Non sei tagliato per lavorare, questo lo sai bene.",
Le parole di Ivan non sortirono altro effetto che la dolorosa consapevolezza di avere contro anche il suo amico più caro.
Konstantin lo invitò bruscamente a tornare a San Pietroburgo, che riferisse pure a suo padre ciò che gli pareva giusto. Salutandolo, gli diede un freddo addio.
Pochi giorni dopo quel commiato, accadde ciò che mai Konstantin si sarebbe atteso.
C'è sempre qualche anima perfida, qualche Iago,  capace delle più orribili azioni per il puro piacere di offendere,  di annientare, di fare del male, per poi godere segretamente delle sofferenze causate. La maniera più facile è  sussurrare un certo tipo di notizie, non importa se vere o create allo scopo.
A Konstantin pervenne un biglietto anonimo.
“Credevi di essere il solo? La tua Nina s’incontra col suo amante questa notte, nella vecchia capanna di Arkadj”.
Incredulo ma deciso a scoprire la verità, Konstantin si appostò sul sentiero, in vista della capanna.
Dovette attendere ben poco: appena accennata l’incerta oscurità, che il buio compiacente mai calava del tutto in quella stagione, arrivò Nina, pochi minuti dopo il suo amante la raggiunse.
Lo riconobbe, era Andrej, un giovane pescatore dal grande fascino, che si diceva avesse sedotto quasi ogni ragazza del paese.
Konstantin iniziò in quel momento a concepire la sua vendetta, con una freddezza e una lucidità che non sapeva di possedere.
Nulla doveva trapelare dal suo comportamento e infatti, in attesa dell’incontro con Nina, fissato da lì a pochi giorni, si era recato come al solito alla taverna di Jakov. Fu quella la sera in cui il vecchio turbò Konstantin leggendogli l’anima mentre narrava una storia.
Parlava di gabbiani maligni.

Due giorni dopo, come convenuto, Nina lo raggiunse nel loro posto segreto, una baracca al riparo dai marosi, dove per mesi si erano incontrati e si erano amati quasi ferocemente.
Ancora ferocemente l'aveva amata per l’ultima volta, prendendo da lei tutto il piacere che gli veniva offerto e poi, mentre Nina ansimava con gli occhi chiusi e i sensi rivolti a un unico scopo, Konstantin le disse che avrebbe fatto un nuovo gioco. L’aveva bendata, poi, appoggiata la punta del pugnale sul seno, aveva spinto con crudele lentezza.
La lama gli fece percepire il battito del cuore della sua amante, sempre più convulso. Nina fece in tempo a capire che stava morendo e a soffrire per pochi, atroci momenti; poi la sua anima di peccatrice andò ad alimentare le fiamme dell'inferno per l'eternità; almeno questo era il pensiero di Konstantin al compiersi della sua vendetta. 
Restava Andrej, l‘altro amante, colui che aveva spezzato i suoi sogni e reso vana la sua ribellione alle convenzioni. Era in mare, ma al ritorno sarebbe toccato anche a lui: la strada solitaria, l'agguato, una coltellata alla gola.
No, certo non per sua mano, Konstantin Afanasevič Samaraev non si sarebbe sporcato le mani col sangue di un misero pescatore: la promessa di poche monete d’oro era bastata a comprare i servigi di un tagliagole. Era pronto, e attendeva solo l’occasione per guadagnarsi il compenso pattuito.

Questi erano i pensieri di Konstantin mentre si lavava tra gli scogli, in una pozza d’acqua gelida, per strappare via il sangue, l’odore di Nina e il male che lei gli aveva fatto.
Quando gli parve di essersi liberato di tutto, si rivestì e si diresse verso la capanna dove, le briglie legate ai rami di un cespuglio, lo aspettava il suo bel roano.
Il villaggio era vicino e Nina di solito vi faceva ritorno a piedi, lungo il sentiero che a tratti costeggiava il mare. In paese avrebbero pensato a una disgrazia: un piede in fallo, la caduta fatale tra gli scogli. Ma non l’avrebbero ritrovata, questo era certo, pensò Konstantin mentre saliva in sella e si dirigeva verso la tenuta, oltre il promontorio. Perché Nina a quell’ora se la sarebbe già presa il mare. Ne sentiva il rumore, si stava ingrossando sotto la spinta di un freddo vento da nord-ovest, e il fragore dei marosi l’avrebbe accompagnato lungo il percorso, che per un lungo tratto passava sopra la grigia scogliera di granito.

I gabbiani sapevano dove le onde avrebbero sospinto le prede e strinsero i cerchi eleganti dei loro volteggi sempre di più, verso la scogliera. Uno di essi, planando sopra le creste spumose, fu attratto da una forma bianca che pareva sul punto di essere trascinata al largo, ma ancora si aggrappava alla terra, un braccio imprigionato tra le rocce.
Cibo, il corpo di un animale pronto per essere divorato.
Con un grido di trionfo il gabbiano si tuffò verso quella forma, si posò su di lei, i suoi occhi si fissarono su altri occhi che, spalancati, parevano guardarlo come se fossero vivi. Era pronto a cibarsene.
Ma l’animale fu percorso da un tremito, poi qualcosa di nuovo e diverso si accese nel suo sguardo. Rimase ancora qualche momento su quel corpo sballottato e martoriato, ma non lo violò: la fame si era estinta, un nuovo prepotente impulso lo spingeva ad agire.
Con un grido, allargò le ali e si lasciò trasportare in alto, dal vento che risaliva il promontorio.
Al di sotto, un’ondata più violenta delle altre ebbe finalmente la meglio sulla presa degli scogli e il corpo di Nina iniziò a seguire i capricci delle forti correnti e delle raffiche di vento.
Konstantin era arrivato sul punto più alto del sentiero. Quasi cinquanta metri sotto di lui, il mare ingaggiava la sua millenaria lotta contro il granito della scogliera; il tempo era dalla sua parte e la vittoria sarebbe arrivata, non importava quanto ci sarebbe voluto.
Il gabbiano arrivò all’improvviso, un lampo bianco scaraventato dal vento; si abbatté sul muso del cavallo e rimbalzò a sfiorare il viso del cavaliere. Un’impennata, un balzo istintivo dell’animale e Konstantin non ebbe nemmeno il tempo di reagire.
L’uomo e la sua cavalcatura si trovarono oltre il ciglio del sentiero, con le pietre che franavano sotto gli zoccoli del cavallo atterrito.
Konstantin, ancora assurdamente stretto con le ginocchia alla sella, vide il mare avvicinarsi sempre più rapidamente e il bianco di un corpo nudo che, le braccia aperte e gli occhi fissi su di lui, sembrava volesse accoglierlo.
In alto, il gabbiano roteava, stridendo trionfante.
In un attimo, la mente sconvolta di Konstantin fece riaffiorare le parole dette dal vecchio Nostromo quella sera, mentre lo guardava attraverso il bicchiere, quelle parole che, se ascoltate, avrebbero potuto salvargli la vita: "Il gabbiano che fisserà gli occhi di una persona morta nel peccato, sarà posseduto dal suo spirito e tormenterà gli uomini sino a portarli giù, nell'inferno, con lui."

La taverna di Jakov non dormiva mai. Al suo interno alcuni ubriachi russavano sulle panche, nel puzzo di vodka e vomito: Jakov sarebbe presto passato con un secchio d’acqua di mare a svegliare gli ebbri e ripulire alla meglio la stanza.
Il vecchio Nostromo era seduto da solo, apparentemente non aveva dormito, aspettando il mattino immerso nei suoi pensieri e traendo energie dalla bottiglia di vodka che giaceva vuota, rovesciata sul tavolo.
Come se avesse udito qualcosa, si fece attento, poi si alzò e, con passo assolutamente fermo si diresse alla porta. Uscì e s’incamminò verso la sua casa, la Jaala ancorata in porto.
Un gabbiano era posato sul molo, come in attesa. Il vecchio lo raggiunse e il gabbiano si alzò in volo, puntando verso il largo.
L’uomo lo seguì con lo sguardo sino a quando l’uccello emise un grido, sparendo verso il sole.
In quella direzione, il vecchio Nostromo scorse due corpi che affioravano addossati l’uno all’altro.
Si diresse verso un barcone dove alcuni uomini stavano lavorando, avrebbe dato l’allarme.
Sul suo viso antico un mezzo sorriso, come un taglio nella pelle incartapecorita, gli conferiva un’espressione sinistra.
Parlava solo a se stesso: «Se mi avesse ascoltato, ora non avrei un’altra storia da raccontare.»

presenza

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Re:Una storia del vecchio nostromo
« Risposta #1 il: Novembre 08, 2015, 19:20:51 »
Racconto d'altri tempi nei toni e nelle immagini, ma vendetta e sangue sono ahimè protagonisti di tutti i tempi!

ninag

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Re:Una storia del vecchio nostromo
« Risposta #2 il: Novembre 12, 2015, 20:12:58 »
Mi piace lo stile.

Birik

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Re:Una storia del vecchio nostromo
« Risposta #3 il: Novembre 13, 2015, 06:12:06 »
Avvincente e scritto benissimo. dharmas

valdobear

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Re:Una storia del vecchio nostromo
« Risposta #4 il: Novembre 13, 2015, 16:54:51 »
Vi ringrazio per l'attenzione e i commenti a un nuovo arrivato... nuovo... oddio... settantenne arzillo, diciamo  ::)

nihil

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Re:Una storia del vecchio nostromo
« Risposta #5 il: Novembre 15, 2015, 10:02:46 »
wow, un piccolo gioiello questo racconto. Insomma...ciò che è fatto è reso, come è giusto che sia. Atmosfere affascinanti e il nostromo sono sicura che avrà altre storie da raccontare: in fin dei conti il "se" indica costantemente una scelta da fare anche nella nostra vita. :rose: