È sera… autunno.
Mi reco, con l’auto, in stazione per acquistare un biglietto… un viaggio per… non ricordo dove… in un altro mondo?
Sul piazzale un uomo dall’età non definibile… sembra vecchio... infagottato in un incredibile sovrapporsi di stracci... forse indossa due cappotti, uno sull’altro, sudici e laceri. Si muove lentamente sorreggendo tre grosse buste di plastica… tutti i suoi averi… tutta la sua casa. Si ferma ad ogni cestino di rifiuti, poggia a terra le tre buste, e fruga.
Terminato il giro dei cestini si avvia lento verso l’interno della stazione, fumando una sigaretta appena arrotolata… col tabacco di cicche raccolte?
Dove andrà a dormire?
Certamente non gli sarà permesso accomodarsi nella calda sala d’aspetto…
Forse vive così per sua scelta… compiuta sull’incredibile accumulo di macerie di una vita.
Un viaggio per un altro mondo.
Sono alla ricerca di un parcheggio... giro a lungo… non lo trovo.
Nei pressi, appartato, uno slargo poco illuminato, affollato da stranieri… per lo più neri. Bisogna diffidarne, ma solo qui c’è, forse, la possibilità di parcheggiare.
Lo spazio è appena sufficiente alle dimensioni dell’auto, ma due giovani uomini di colore scuro smettono di chiacchierare. Si avvicinano e mi guidano nella manovra. Scendo, ringrazio, ma vengo preso da un involontaria apprensione: ritroverò l’auto al mio ritorno?
L’auto è ancora lì al mio ritorno.
Gli stranieri, quasi tutti neri, sono ora una folla, vivacissima; hanno movimenti rapidi e precisi; ridono; l’aria vibra su un rotolare veloce di gutturali; uno piscia tranquillo in un tombino… non sembra ubriaco.
Vengo preso da uno strano timore, ma controllo i miei movimenti… loro manco mi guardano. Che sia solo il loro modo di stare insieme?, lasciare tutto alle spalle (un tutto enorme), e tirare a campare?
Ma si! Si lasciano, e solo ora possono farsi cadere la vita addosso, senza emozioni, senza la tristezza che pur si addirebbe loro: la guardano scorrere fuori, la vita… non vogliono rivedere il loro film dall’attraversata del deserto; i corpi qua e là nella sabbia, essiccati dal sole; le ossa umane calcinate; via via fino ai barconi, dove, all’impiedi, l’uno addossato all’altro nel barcone, i bisogni van fatti addosso; la morte vicina; i cadaveri da scaraventare in mare. Una sola alternativa: sbarcare su una terra d’Europea o morire… lo sanno, e vanno avanti.
Quanto grande può essere la forza della disperazione!
Avanti sulle onde di un mare infido, ma: “In mare si muore una volta sola, mentre se stai [a casa o] in Libia è come se morissi tutti i giorni…”.
E noi?, noi!, i deboli che osiamo anche disprezzarli.
Impariamo almeno il com-patire!… fino a sentire gli odori e soffocare; fino ad avere nelle orecchie il trapano delle grida, delle bestemmie… i gemiti. Questo, forse, ci strapperebbe al flusso distratto ed illuso di una vita comoda senza morte… Ci obbligherebbe all’attenzione spasmodica?... A dare conto di ogni cosa?… Ci porterebbe all’etica della responsabilità?
Ma “... questo luogo non appartiene alle creature umane, nude e tremanti, ma ai macigni inarrestabili, alle macchine invadenti e alle loro ululanti invettive... e se non vai fino all’estremo conseguenze delle cose, immediatamente ti ritrovi di nuovo di fronte al nulla”.
Ne avremmo da imparare!
Imparare a guardare anche noi oltre le finestre… oltre gli schermi, attenti agli odori, ai gemiti, alle grida, le maledizioni, le bestemmie.
Per ora non impariamo nulla, ma, infine, il puzzo di putrefazione sarà tale che nessuno più se ne potrà stare in disparte… troveremo molti compagni di viaggio, e l’arma del dolore ci salverà.
Solo allora non saremo più dei nulla!
È una domenica… domenica di sole, e ancora li ho visti!, questi neri. Vestiti a festa, e sorridenti sul piazzale della stazione. Si stringono le mani vigorosamente in larghi gesti... si abbracciano. Hanno guardato negli occhi la nera Signora e sono avidi di vita, amore, solidarietà.