Perché ogni volta che c’è una crisi economica in Europa, si pensa che per risolverla è meglio dividersi piuttosto che mantenere l’unione dei Paesi che ne fanno parte?
Come mai in Italia si condivide lo stesso modo di pensare, da quando la crisi economica sta depauperando non solo i risparmi delle famiglie, ma anche le risorse delle imprese (grandi e piccole), posto che il sistema bancario nazionale, in linea con le tendenze dei colossi bancari europei, ha smesso di concedere il credito, insomma a ha cessato di fare il suo lavoro: prestare denaro a chi ne ha bisogno, a fronte di un interesse ragionevole e accettando di partecipare al rischio di impresa.
Insomma, in tempo di crisi (vera e senza apparente via di sbocco in tempi ragionevoli) prima ancora di auspicare la salvezza dell’unione della Comunità europea o di quella nazionale, si è più propensi ad andare nella direzione della frammentazione.
Queste sono state le riflessioni che mi sono venute in mente poche sere fa, mentre seguendo uno dei tanti Tg serali la mia attenzione si soffermava su di uno special dedicato agli arresti effettuati dai carabinieri del Ros nei confronti di “presunti terroristi del nord-est”, bloccati prima che potessero porre in essere atti idonei a destabilizzare l’ordine e la pubblica sicurezza. In particolare, rimanevo interdetto nell’ascoltare un veneto pronunciare queste parole: “Noi non siamo italiani, siamo veneti e non vogliamo essere considerati italiani…siamo veneti!!”
La storia dell’Europa, del resto, ci insegna che lo spirito dei popoli che la compongono anche nel passato difficilmente hanno saputo coesistere sotto un’unica bandiera.
Sin dalla caduta dell’Impero romano d’occidente (476 d.c.) sotto la spinta delle invasioni barbariche provenienti da oriente, l’Europa nei secoli successivi ha conosciuto un lunghissimo e sanguinoso periodo di divisioni e lotte tra i popoli confinanti tra loro. La politica, le religioni e le stesse culture stavano lì tutte per dividere, piuttosto che unire. Tedeschi, francesi, austriaci, spagnoli e inglesi hanno provato più volte ad unire sotto un unico vessillo le terre che furono proprie dell’impero romano, ma senza mai riuscirvi. Anche le religioni non state d’aiuto: Ebrei, Cristiani, Musulmani e Protestanti hanno lottato tra loro, piuttosto che indirizzare la coscienza dei popoli verso una pace duratura, capace di elevare il livello di civilizzazione dei popoli. Persino il protestantesimo del nord Europa, da Calvino alla nascita della Chiesa anglicana, sono stati causa di aspre battaglie politiche, sfociate quasi sempre in dolorose e sanguinose guerre fratricide.
Ora, mi chiedo: i popoli europei hanno mai avuto il desiderio di unirsi? C’è mai stato il sogno di un’Europa unita?
Gli europei, a differenza del popolo nord americano che inseguiva il “mito dell’ovest”, non hanno mai sentito profondamente l’esigenza di trovare le ragioni della sua unità, posto che, come indicato precedentemente, dalla politica, alla cultura e, persino, le religioni non aiutavano di certo in questo senso.
Per venire al Bel Paese, che ovviamente non si differenzia dall’aria che si respira nel resto dell’Ue, sta riscoprendo, in tempi di disagio economico, la sua tendenza a frammentarsi politicamente, tendendo ad una politica che spinge verso la scissione di alcune regioni del nord (dell’est come dell’ovest) dal resto d’Italia.
Del resto, pensare che le cose potessero andare in maniera diversa, nel senso di una maggiore aspirazione a conseguire un maggiore spirito nazionalistico, è francamente poco realistico, tenuto conto del nostro passato politico e culturale. A cominciare dalla unificazione dello “Stivale”, avvenuto in maniera rocambolesca e fortunosa, nel senso che il Buon Garibaldi, oggi da tutti (o quasi) considerato come l’Eroe nazionale per antonomasia (quando non dei “Due Mondi”), all’epoca era stato giudicato poco più che un terrorista o un bandito da tenere sotto controllo. Per proseguire nell’excursus storico, si arriva al periodo post fascista, quando durante i lavori parlamentari per la formulazione della nascente Legge Costituzionale, alcuni movimenti separatisti, questa volta meridionali, aspiravano a separare la Sicilia e la Sardegna per unire il destino di quei popoli agli Stati Uniti, piuttosto che al resto delle nazioni europee, in quel tempo in fase di rinascita, successivamente alle devastazioni del secondo conflitto mondiale.
Non ci si deve stupire, quindi, se nel presente dell’Europa dei 28 Paesi, della moneta unica e del progetto per la costituzione di un esercito europeo, di fronte ai problemi incalzanti riguardanti le difficoltà economiche e finanziarie, i cittadini tendano a scappare, più che a rimanere.
L’Europa è percepita più come un soggetto politico asservito alla volontà ed alle esigenze delle banche, piuttosto che a quelle dei suoi cittadini.
La politica nazionale, così come quella della Commissione europea, dovrebbe porre molta più attenzione verso i movimenti separatisti, di destra e orientati verso governi cosiddetti forti e autoritari, che si stanno moltiplicando un po’ in tutti i Paesi dell’unione. Il ritorno a sentimenti, oltreché separatisti, verso lo spirito xenofobo ovvero di chiusura nei confronti di altre culture, religioni e razze, rischia di proiettare la nostra civiltà indietro nel tempo della storia del “Vecchio Continente”.
Per concludere, l’attuale momento è decisivo per il futuro dei popoli europei, poiché è nelle loro mani il destino dell’attuale compagine politico-amministrativa. La politica, nazionale ed europea, dovrà fare uno sforzo maggiore per recuperare il terreno perso sino ad oggi, conquistato da coloro i quali auspicano un ritorno alla frammentazione, in definitiva al ritorno ai singoli stati, arroccati nel loro particolarismo, che sino a ieri sarebbe apparso anacronistico e contro ogni forma di evoluzione storico-culturale.
Non v’è dubbio, a parere di chi scrive, che una maggiore democrazia del governo europeo, passa anche attraverso la legiferazione di leggi e regolamenti volti a limitare i danni che possano provenire dagli errori provocati dalle cattive, quando non azzardate, decisioni dei banchieri (con riferimento alla crisi economica del sistema bancario americano, che come in un effetto domino, ha determinato il default di tutte le banche americane e, successivamente, di quelle europee, con grave ripercussione sull’equilibrio dei bilanci degli stati europei). Non è più pensabile che gli errori dei consigli d’amministrazione, vengano pagati attraverso le tasse applicate ai cittadini. Questa politica, che sino ad oggi ha subito i diktat delle banche, organizzate in veri e propri sistemi determinati ad assoggettare le politiche di bilancio dei singoli paesi dell’Ue, ha avuto come diretto riscontro l’avversione dei cittadini verso la moneta unitaria (l’Euro) e tutto ciò che ha comportato sino ad ora il suo corso, in ambito nazionale e internazionale.
I sacrifici richiesti ai cittadini, a fronte di una politica sempre più restrittiva in ordine all’esigenza degli equilibri di bilancio nei confronti del debito nazionale, non hanno dato i risultati auspicati, nella maggior parte dei casi, posto che quasi tutti i Paesi dell’area mediterranea hanno subito negli ultimi anni processi di recessione, se non di deflazione economica.
E’ pur vero che non si deve per forza identificare il Governo europeo, quindi la sua unione politica, con l’Euro. Ne sono da esempio l’Inghilterra e la Danimarca, che coesistono tranquillamente nell’Ue, senza per questo aver accettato la sostituzione delle loro divise storiche.
Tuttavia, i segnali sin qui descritti stanno tutti ad indicare l’affaticamento dell’Ue nel proseguire lungo il cammino tratteggiato sin dalla fine della 2^ Guerra mondiale, quando i popoli del vecchio continente, vincitori e vinti, si riunirono per discutere del loro futuro. Per parlare di pace e di civiltà, coniugate ad una nuova politica che, in prospettiva, potesse allontanarsi per sempre da quei particolarismi che avevano diviso, sino a quel momento, i popoli dell’Europa.