Genova è una città che intriga. Visitarla ricorda “Le città invisibili” raccontate da Calvino: ti senti pronta ad entrare in una dimensione diversa da quella consueta. Qui è la verticalità che sposta il punto di vista con cui osservare le cose. Ogni situazione deve tener conto di questo. Le abitazioni sembrano alberi altissimi in cerca del sole, le percepisci come un unico grattacielo anche quando ce ne sono due o tre addossate una dietro l’altra. I giardini pensili diventano piccole realtà pianeggianti che ignorano ciò che c’è sotto, ovvero un’altra parte di città che a sua volta nasconde l’area portuale più in basso. Sembra di vivere in una torta a strati dove assapori il gusto di ogni piano e solo quando li hai visitati tutti riesci a cogliere la bontà della fetta che hai assaggiato.
Dall’alto Genova offre il panorama ampio e aperto del mare. Con le spalle ti senti appoggiato alla roccia e non sai se il senso di vertigine che provi è dato dalle pendenze che vedi guardando la collina o lo strapiombo davanti a te.
Come molte città di mare, ti invita a partire. Senti crescere dentro la malinconia del viaggiare, con l’inquietudine per ciò che lasci e l’apprensione per ciò che troverai. Una sensazione che, una volta provata, diventa desiderabile al solo pensiero di partire. Le navi al porto rinnovano questo stato d’animo con i loro lenti e ritmati movimenti; le vedi allontanarsi dal molo e poi lentamente farsi piccole all’orizzonte e ti chiedi in quali dimensioni si potranno perdere nel loro isolamento acquatico, come piccoli pianeti nell’universo.
Il porto si presenta come un’unica grande officina; gru e grandi macchinari, ossidati dalla salsedine, sembrano giganti manovratori a lavoro, ora tranquillo, ora brioso. All’inizio tutto sembra caotico, poi ti accorgi dei ritmi e dei sincronismi misteriosi delle diverse operazioni di carico e scarico. La lanterna diventa la guardiana di tutta l’attività; immobile, gigantesca, ha visto le onde che prima le bagnavano i piedi farsi più in là e poi sempre più in là, ha visto alle sue spalle sparire la linea delle colline e comparire nuove spianate dove si sono subito ammucchiate costruzioni moderne. Ma lei sta là col suo occhio luminoso, potente e rassicurante.
Genova si estende e lievita lungo la costa inglobando paesi un tempo a sé ed ora divenuti quartieri. Un organismo che riconosce le sue differenze e peculiarità, ma cerca di vivere tenendosi stretto a fronteggiare il mare davanti e i monti dietro.
Il cuore di Genova pulsa nei vicoli stretti dell’antico castrum, nelle pendenze verso il porto, nei marmi bianchi e nell’ardesia scura che dipingono le strisce del duomo. Qui ogni palazzo è un gioiello prezioso per la bellezza e la ricchezza antica. Qui una chiesetta romanica racchiude un concentrato di arte che nel tempo si modifica e rende ogni particolare sempre più elegante. Tutto stretto e vicino l’uno all’altro. Tutto condensato fino ad aprirsi verso strade più larghe e “nove”. Via Garibaldi sottolinea la dignità della Genova che si presenta. Le corti nascondono meraviglie e all’interno la preziosità del violino di Paganini fa palpitare il cuore; vi si riconosce il contatto d’amore verso lo strumento che, accarezzato dal Maestro con la guancia, sembra, solo a guardarlo, liberare i suoi suoni passionali.
Guardare Genova dal tetto di un palazzo del centro è un privilegio. I tetti di ardesia bagnati dalla pioggia luccicano alla luce del giorno, asciugati al sole sembrano una distesa di sabbia scura. Qui si vede l’unicità di questo centro: ogni elemento è collegato all’altro, da un tetto si passa attraverso scalette e sottili ringhiere, al palazzo accanto e, in modo ancor più straordinario, dal tetto si esce direttamente sulla collina che in più punti avanza sopra le case con le sue strade e, di nuovo, i suoi palazzi. Qui ogni riferimento spaziale è relativo: ciò che è tetto diventa piano terra poco sopra, il giardino con i suoi alberi è anche la copertura del palazzo più a valle. E’ un gioco continuo dove smonti e rimonti la città. Via via che sali con l’ascensore la città si compone e si scompone nei suoi pezzi, lasciandosi dominare solo sulla parte alta.
Genova ha avuto bisogno di dare spazio alla sua opulenza, alla sua rilevanza economica della fine dell’Ottocento e, come città del Regno dei Savoia, magnifica se stessa con gli edifici del palazzo ducale e del corso, che ricordano la regalità di Torino. Così, fuori dai vicoli, ti appresti ad allargare lo sguardo sulla piazza con la fontana rotonda, ad attraversare il corso che si allunga diritto davanti a te, ad ammirare la grandiosità del teatro.
Tanti contrasti, tanti opposti: alto e basso, stretto e largo, antico e moderno, mare e monti. Ogni cosa sembra trovare il suo posto, forse solo in attesa di una partenza verso nuovi mondi.