Autore Topic: Mille giorni di luce 1/3  (Letto 754 volte)

lvalenz

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Mille giorni di luce 1/3
« il: Febbraio 15, 2014, 15:55:11 »
L'acqua viene fuori in un getto bianco. Colpisce il fondo della tazza, si spezza e comincia a correre in un cerchio di freddo. Guardo le mie mani. Posso fermare l'acqua, ma soltanto per poco. Passo le dita sul mio viso imbolsito; all'oltraggio degli anni ho aggiunto eccesso di pane, di vino e di carne. Fuggo dai miei occhi allo specchio; non sopporto la vista del mio corpo. Ecco, non posso fermarmi oggi. Mi avvicino alla finestra che si apre sul ventre delle montagne interrotte dal Cervino - spigolo blu lattiginoso e fumo di nuvole. Abbasso lo sguardo. C'è una zolla di terra divisa e spezzata; al di sotto della mia finestra germoglia una moltitudine di foglioline rotonde dal corpo verde con riflessi d'argento. Poco distante, il colore della zolla è dato da spighe dorate. Verde e giallo, vita e morte, sono divise da un serpente senza terra. Quel giorno non dovevo. Quel giorno non dovevo aprire gli occhi. Sono trascorsi novecentonovantanove giorni, mi resta un giorno di luce.
Infilo gli scarponi e strozzo i lacci negli occhielli. Alzo un piede, galleggia ancora nella forma troppo grande. Stringo più forte i lacci; risulta inutile. Prendo dall'armadio il giaccone di pelle scura. Il cielo è quasi di piombo ma non importa: andare per sentieri in compagnia della pioggia non mi preoccupa. Tutt'altro. Immagino la faccia del locandiere quando arriverò; entrerò dalla porta lasciando una scia di acqua e di fango ai miei piedi. Mi sembra di vedere i suoi occhi di fastidio e di imbarazzo. Il fastidio altrui mi tormenta. L'imbarazzo altrui mi tormenta. Il nugolo di pensieri che ho dentro mi tormenta. E' destinato a finire, domani è il giorno mille. Per me, fine della luce.
Avanzo per il sentiero con passi sicuri; l'erba che calpesto è bagnata. Questa notte ha piovuto e presto verrà altra pioggia, devo affrettarmi. Mi attendono due ore di cammino. Voglio arrivare a Buisson prima che faccia buio. Ripartirò dalla locanda la mattina, voglio entrare nella casa del carissimo defunto zio Alfred, una dimora in pietra nel minuscolo abitato di Chamois. Stringo il catenaccio nella tasca del giaccone. Quando il notaio me lo consegnò dopo aver letto il testamento, non riuscivo a crederci. Carissimo zio, mi ricordo appena il tuo viso morso dal tempo. Insulsi vantaggi della maturità: non ho più l’istintiva repulsione di quando ero giovane per i volti invecchiati; mi avvicino inesorabile alle rughe e ho già un doppio mento che cresce - ancora non mi sembra possibile che la mia pelle del viso ceda inesorabile.
Spero che in paese nessuno mi fermerà per domandarmi chi io sia e perché ho il catenaccio di casa tua. Non ho bisogno di domande, non più. Il vento gioca con i miei capelli, curve sottili diventate deboli. La mia volontà non deve essere debole a un giorno di cammino dai tetti acuti di Chamois. Ho un ricordo vago del paese, mi torna in mente una cesta di ricci di castagna sulla credenza, chiusi che pungevano le dita - avrò avuto tre anni quando i miei genitori lasciarono il paese. Casa tua, carissimo defunto zio, è il luogo perfetto. La mia anima deve tornare libera. Mille giorni, poco meno di tre anni. Ho atteso tanto per morire. Finalmente tornerò pietra degli abissi, pozzanghera di cielo, luce pallida. Vivere per me è morire.
 Ecco, le nuvole si abbassano inesorabili. Il piombo del cielo è una coperta. Il vento gelido continua a giocare, le foglie di betulla tremano, liberano luce mentre ondeggiano e l'albero si scuote. Una foglia rossa giunge fino a me. La raccolgo. Il palmo delle mie mani si colora di rosso. Non mi sorprende che foglie con tinte che irridono alla vita finiscano morte a terra. Presto tra le mie mani ci sarà un rosso diverso, così penso e avverto la pioggia. In un istante mi accorgo che ho mollato la foglia rossa per stringermi nel giaccone. Che idiozia. Dopo quasi mille giorni di attesa è un gesto senza senso. Apro il giaccone per lasciare che la pioggia mi raggiunga sul petto e sul ventre. Pochi passi e mi prende la smania di liberarmi del giaccone. Lo getto a coprire le foglie cadute.
Proseguo lungo il sentiero e la maglia che indosso a ogni passo diventa più zuppa. Le nuvole non si curano di me. Danzano radici di luce. Accendono il nero. Un istante. Sento picchiare le gocce ai miei piedi, il terreno comincia a farsi liquido. Dovrei sbrigarmi nel cammino per Buisson ma le mie gambe, le mie gambe faticano a obbedire. La salita si è fatta ripida e non ci sono più tronchi di betulla per le mie mani. Tremo e batto i denti. Ecco, scivolo. Cado. Come un'ombra gelida arriva la paura. La sento addosso senza capirla. La mia volontà di chiudere la vita  è messa sotto assedio. C'è fango, fango sul mio corpo e intorno a me. Se finisse il temporale e un arco di colori congiungesse il cielo e la terra, temo che tra le mie dita tornerebbe il contagio di vivere.

(continua)
« Ultima modifica: Febbraio 15, 2014, 15:57:32 da lvalenz »

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Re:Mille giorni di luce 1/3
« Risposta #1 il: Febbraio 15, 2014, 16:14:28 »
molto ben scelto l'esprimersi col tempo presente, poichè nulla è prevedibile, e mantieni il pathos.

lvalenz

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Re:Mille giorni di luce 1/3
« Risposta #2 il: Febbraio 15, 2014, 16:19:12 »
Grazie. Confesso che rileggere questa pagina dopo un anno mi fa venire le lacrime agli occhi. Non è bella, ma è un pianto sincero.

nihil

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Re:Mille giorni di luce 1/3
« Risposta #3 il: Febbraio 15, 2014, 16:48:20 »
non è bella? ma certo che sì, usi anche un modo originale di esprimerti. ;)