Autore Topic: Mille giorni di luce 2/3  (Letto 679 volte)

lvalenz

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Mille giorni di luce 2/3
« il: Febbraio 15, 2014, 15:56:33 »
(continua da 1)

Il carro rotola nello sterrato nel crepitio di foglie bagnate e piccoli rami. Due braccia stanche, il collo dentro il mantello, muovono la frustra sui cavalli. Sulla cassetta, accanto al primo, siede un secondo vetturino che solleva la fiaschetta di grappa per un goccio di calore. Il carro non ha predellino e non mostra alcuno stile. Non occorre eleganza per compiere il lungo tragitto fino al carcere di Torre dei balivi. Giorni di marcia interrotti all’imbrunire da una scodella di rancio e un letto in taverna. Il vento è gelido, i due uomini si stringono nei mantelli senza alzare gli occhi. Improvvisamente un chiasso del cielo illumina il carro, lo divora - gli zoccoli folgorati scalciano, il cocchiere ha mollato redini, l’altro secondino perde la fiaschetta mentre alza le braccia.
Al boato fa seguito la carrozza coricata sul fianco; due ruote girano lentamente fino a fermarsi. Un cavallo è a terra esanime, l'altro animale si rialza e tenta di liberarsi, ma i finimenti lo trattengono. Lamenti di donne dentro la carrozza si mescolano al fruscio della pioggia.
Mille-giorni-di-luce è ancora nel fango, deciso a lasciarsi morire ascoltando l'acqua che scivola tra i rami, le foglie percosse che si separano dall'albero. Le urla lamentose attraversano cento passi di vento. Voci di giovani donne, un pianto che morde la gola. Nella valle il nero ha inghiottito ogni luce. Non c’è nessuna stella, nessuna luna.
Mille-giorni-di-luce si alza dal fango, tasta l'aria con le dita gelate in cerca di tronchi che facciano da guida. Piove ancora debolmente. Segue i lamenti che si fanno più vicini. Improvvisamente una luce fioca, il fulmine ha strappato la torcia dal suo alveo sul fianco del carro ed è rovinata sul sentiero. Tremante si avvicina e la raccoglie; come la solleva, un pallore raggiunge l'interno del legno e i lamenti diventano più forti. La carrozza è una bara senza laccatura interrotta da una piccola finestra. Si avvicina di più. Il cavallo teme la fiamma prossima, s'impenna e strattona i finimenti ma le ruote pendono inutili; il legno pesante si muove appena nel fango.
«Aiutateci, non vogliamo morire», accosta la luce davanti l'angusta finestra con denti dritti di ruggine. Una mano bianca si appende «Vi prego signore, aiutateci». Mille-giorni-di-luce indietreggia, tentenna nell'indecisione - sono suppliche sventurate. Si avvicina al portello della carrozza, è chiuso con un robusto catenaccio; si rende conto che manca qualcuno.
Davanti alla gabbia di legno trova i due secondini del carcere. Uno è riverso rigido sulla schiena, l'altro è piegato come un ferro di cavallo, riverso su un fianco e con la bocca aperta. La torcia illumina i volti assenti. Le donne nel carro non smettono di chiedere aiuto. Con mani tremanti cerca tra le bisacce appese ai fianchi dei due cadaveri. Soltanto pochi sesterzi. «Avevano una borsa» strillano da dentro il legno. La torcia illumina il ciglio della strada. Accanto a un masso aguzzo, si allunga un'ombra diversa. La borsa. Non sente più le dita, usa le nocche per aprire le cinghie forate; all’interno c’è una forma di pane quasi intera, un pezzo di formaggio avvolto nella carta, un coltello, un acciarino e un grande anello di ferro con una dozzina di chiavi.
Si avvicina al portello e, una dopo l'altra prova, a inserire ogni chiave nel foro.
«Ti prego, facci uscire!», non cambiano le parole ma il tono del lamento tradisce speranza e impazienza.
Finalmente apre. L'odore di escrementi e urina arriva rabbioso. Durante il lungo trasporto fino a Torre dei balivi, ogni galeotta è stata assicurata a una parete del gabbiotto con una catena al polso. Quando il carro si è ribaltato, quel legno sarebbe potuto diventare soffitto e impiccare le braccia; invece le braccia delle donne hanno seguito il destino del legno sul fondo, lo stesso sul quale colano i liquidi corporali dalla parete di fronte - il pavimento latrina dei tre giorni di viaggio.
Gli anelli delle catene sferragliano per l'impazienza. Occhi pesti, la luce della fiamma tremola su vesti bianche luride di feci. Qualcuno deve aver vomitato durante il tragitto, la fiamma fugge dalla bile schiumosa che raggiunge i piedi nudi. Mille-giorni-di-luce inorridisce ma con imbarazzo un po’ stupito si accorge dell'emozione di salvare. Accosta le chiavi ai polsi della ragazza più vicina, tra le proteste di una delle due prigioniere «prima me, prima me!».
Le dita incespicano, la serratura scatta. Il polso liberato è spellato; la ragazza ha il volto pallido, fatica a ripiegare il braccio sul fianco. Ha occhi che sembrano lontani e un rivolo di rosso le insiste sulla tempia. Le altre due continuano a sferragliare le catene. Quella che batte più forte ottiene la precedenza. E' una donna giovane con capelli crespi e corti come un uomo, lo sguardo duro. Disperato.
Il cavallo legato ai finimenti insiste nervoso, improvvisamente scalcia e dà uno strattone alla gabbia. Tutte la gambe raggiungono i piedi sul fondo di legno.
«Via da qua», la giovane con i capelli rasi prende la torcia caduta e si precipita verso il portello spalancato; la seconda ragazza si sfiora la fronte con le dita, poi non perde tempo – vesti come ali luride corrono fuori dalla gabbia.
«Ti prego, non lasciarmi qui.» senza più torcia, Mille-giorni-di-luce si muove a tentoni nel nero. Tocca un chiavistello bagnato di umori e un polso umido stretto dal ferro. Cerca il foro del chiavistello con una mano mentre con l'altra tiene le chiavi. Il fetore senza luce sembra più angosciante. Una mano tocca lieve le sue spalle e singhiozza «Grazie».
L'oscurità rende impossibile uscire dalla gabbia restando in piedi, i due corpi avanzano carponi seguendo il profilo di una parete. Pestano escrementi e sentono l’urina tra le dita.
Finalmente l'aria del bosco. Gelida. Mille-giorni-di-luce si trascina pochi passi oltre il giaciglio, si ferma e rimette di stomaco. L'ultima galeotta liberata si mantiene poco distante e con la destra si massaggia il braccio lungamente incatenato. A pochi passi da loro, le due detenute più giovani hanno trovato la borsa rimasta nel fango.
«Danne anche a me…»
«Cristo santissimo se ti avvicini ti levo gli occhi!» e brandisce il coltello tenendo la torcia con l'altra mano. La ragazza disarmata si tocca la tempia insanguinata «Lo sai bene che solo io conosco la strada. Un pezzo, dammene soltanto un pezzo».
La forma di pane è sufficiente per sfamare entrambi e capelli corti strascica una promessa «quando arriviamo da qualche parte, te ne sarai meritato un poco». Alla luce della fiamma tremante intravedono i cadaveri delle due guardie. «Cerchiamo nelle bisacce», la più giovane ha le mani  libere e si getta sui corpi folgorati. «Cristo santissimo che freddo!», raccolgono i mantelli dei secondini, ma dopo un istante tornano indietro. I corpi non sono ancora rigidi. Le due ragazze insieme, a fatica tirano, ribaltano le braccia dei cadaveri e liberano tutti gli indumenti che hanno indosso. Calzoni, casacca e scarponi. Finalmente non avranno più  piedi nudi a gelare.
I vestiti da uomo risultano troppo larghi per i loro fianchi; trattengono i calzoni con le mani mentre tentano di stringerli con la corda delle bisacce.
«Meglio di una veste sporca di piscio e di merda!»
«Quello che mi importa di più è che le vesti bianche ci possono far riconoscere. Anche da lontano. Perché puoi giurarci, verranno a cercarci perdio!»
La più giovane fa un cenno di assenso alla fiamma, poi domanda a voce bassa se non sia il caso di avvicinarsi a donna Federica che è rimasta dietro. La sentono bisbigliare dietro il carro.
 «Non credevo che sarei mai arrivata a degradarmi così.»
Mille-giorni-di-luce è seduto sul sentiero, si  massaggia le braccia intirizzite e contorce i piedi cercando calore.
«Che umiliazione, potreste signore considerare di completare la vostra misericordiosa azione ospitandoci nella vostra dimora, solo per questa notte?»
Silenzio.
«Non pretenderei di arrecarvi disturbo oltre l'aurora. Alla luce del giorno andrei via. Fuggirei, perché questo che mi aspetta.»
 Silenzio. La donna sente il gelo più forte «Mi accontenterei di un fienile», la voce le si incrina.
«Che fai, cominci a piangere?» la fiamma della torcia illumina le lacrime e la ragazza dai capelli corti, come a proteggersi dalla tristezza, continua «Donna Federica, dovevi pensarci prima di inguaiarti». Non attende risposta, si pone dritta di fronte a Mille-giorni-di-luce che siede a terra con indosso la maglia bagnata,
«E tu che farai, andrai a denunciarci?»
Silenzio. Il capo resta chino e morde le labbra per non far vedere quanto tremano di freddo.
«Dicci il tuo nome!»
Alza appena le spalle, poi cinge il proprio corpo con le braccia. Sente di svenire per il freddo. Il suo nome è come se non esistesse. La torcia si approssima al suo viso, «Cristo santo, hai perso la lingua?». Silenzio. Finalmente solleva la testa «Ho una casa a Chamois» e con mani tremanti cerca nella tasca della veste «Ma no. Non ho più la chiave.»
«Non hai un altro modo per entrare?»
«Forse c'è un modo, al buio però, non so arrivare…»
«Stai mentendo!»
«Io conosco le strade di queste parti» la ragazza si tocca il grumo rossiccio alla tempia «Sì, so come arrivare proprio a Chamois.»
«Come è fatta la tua casa?»
«Non lo so, è vent'anni che manco da Chamois.»
«Puoi portarci dove vivi o c'è qualcuno che s’impiccia?»
«Vivo da solo. O da sola, scegliete voi. Ma è lontano da qui, abito a Milano.»
Le donne si guardano tra loro. La torcia resta fissa davanti al volto di Mille-giorni-di-luce. Lineamenti non più giovani e poco piacenti che puoi attribuire tanto a un uomo quanto a una donna. Un viso che non assiste nel capire il sesso del proprietario. E anche il petto, pressoché piatto, non garantisce niente.
«Da dove sei partito, o partita?»
«Credo di capire, se volete vi porto alla locanda a Buisson dove stavo oggi.»
«No, nessuna locanda è per noi.»
Si rende conto di chi ha di fronte. Avrebbe dovuto capirlo subito: sono galeotte, donne che hanno perso le loro vite di figlie mogli fidanzate sguattere madri ladre. Assassine forse. Ci pensa e i suoi occhi tradiscono consapevolezza nuda, una dama impietosa che quando si avvicina si nutre della speranza bambina. Le donne leggono nel suo viso «Andrai a denunciarci?» il tono è appena minaccioso.
«Non ne so niente di giustizia» scuote la testa debolmente «non andrò da nessuna parte.»
Interviene donna Federica «Forse la chiave ti è caduta quando il cavallo ha scalciato e siamo cadute tutte dentro».  Il suo viso è pallido, incorniciato da lunghi capelli corvini, una chioma che un tempo fu ben curata da spazzola d'osso e di madreperla.
«Dobbiamo gettare la carrozza nel fossato,» la ragazza dalla tempia macchiata sembra ricordare un passato doloroso «se resta sul sentiero, ci scoprono come niente!»
«Già, niente più ci impedirà la forca.»
«Forse è meglio tenere il cavallo.»
«E come lo spostiamo il carro senza il cavallo a tirare?»

(continua)
« Ultima modifica: Febbraio 15, 2014, 16:04:38 da lvalenz »