Autore Topic: Il buio non tornerà  (Letto 1784 volte)

Steven Joseph

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Il buio non tornerà
« il: Aprile 06, 2013, 22:15:55 »
Ryan è cieco dalla nascita, quando, all’età di diciassette anni, il suo amico Raph gli consiglia di sottoporsi ad un intervento che, se fosse riuscito gli avrebbe permesso di vedere il mondo, cosa che prima non aveva mai avuto possibilità di fare. Dopo l’intervento Ryan si sveglia e…

D’un tratto mi ripresi e cominciai a sentire dei suoni confusi. Questi presero consistenza e si trasformarono prima in voci distinte e poi in parole. Una felicità immane prese a percuotermi dall’interno. Era iniziata una nuova era per me. I dottori mi avevano detto che c’erano due possibili esiti dell’intervento. Se tutto fosse andato bene i miei occhi avrebbero cominciato a funzionare come quelli di chiunque altro e tutto il mio oscuro passato sarebbe finito nel cassonetto dei brutti ricordi, se invece il destino mi avesse voluto male non avrei superato l’intervento e mi sarei ritrovato dalla parte dei più. Il fatto che stessi cominciando a sentire qualcosa mi fece capire che ero ancora in vita. L’intervento era riuscito. A stento riuscivo a contenere la mia gioia. Avrei finalmente potuto attribuire una forma ed un colore a ciò che mi circondava. Che emozione. In preda alla più incontrollabile e frenetica contentezza, mi accinsi ad aprire gli occhi. Ma la mia delusione fu assoluta. Il buio. Ancora una volta il perfido amico che per diciassette lunghi anni mi aveva tenuto compagnia ventiquattro ore su ventiquattro non si decideva a lasciarmi. In quel buio, però, c’era qualcosa di strano, che mai avevo visto prima.
Riuscivo ad intravedere dei contorni. Nell’oscurità più completa iniziai a distinguere delle figure che si differenziavano dal buio e acquistavano una consistenza propria.
Non capivo che cosa fossero. Appurai che una di queste oscure figure si avvicinava e diventava sempre più grande.
- Bene, professore, può cominciare.- Disse una di loro, che riconobbi essere il mio amico.
- Che…Che succede Raph?- feci frastornato.
- Ryan, tra qualche secondo l’infermiere attiverà l’interruttore della luce che, gradualmente si accenderà. Tu devi abituarti alla luce per gradi, quindi questa si accenderà lentamente, così che tu possa visualizzare ciò che hai intorno a te senza essere accecato.-
- Vuoi…Vuoi dire che l’intervento è riuscito? Potrò cominciare a vedere?-
-Certo, hai così tante cose da conoscere: Sei pronto?-
- Andiamo!- feci determinato.
Quelli erano gli ultimi istanti della mia vita da emarginato abitatore dell’ombra. Da quel momento avrei potuto vedere (e sottolineo vedere) tutto ciò che fino ad allora avevo solo sentito, toccato, annusato o gustato. Tutto ciò che prima avevo conosciuto solo e soltanto attraverso l’utilizzo dei miei quattro sensi, ora avrebbero acquisito una connotazione ben diversa. Avrebbero acquisito una forma, un contorno e un colore. Cavolo, non ho mai capito che cosa fossero i colori. Non li ho mai percepiti in alcun modo e, da quello che dicono gli altri devono essere favolosi, straordinari.
Finalmente qualcosa iniziò ad azionarsi. La luce fu la prima sensazione visiva che fece il suo ingresso nella mia nuova vita. Questo inestimabile e incredibile frutto dell’ingegno e del progresso umano era indispensabile per il mondo. Illuminava gli ambienti, permetteva una visione perfetta e dettagliata anche in orario notturno, dava vita alle apparecchiature elettroniche e agevolava la vita di tutti. Per me, però, essa poteva esserci come non esserci. Non ho mai sentito il suo influsso benefico modificare la mia vita. Non ho mai avuto bisogno di accendere la luce e illuminare la stanza. Ricordo che da piccolo, invaso dalla rabbia per non poter vivere nel mondo che gli altri bambini descrivevano con tanta facilità e che io non avevo mai potuto osservare, mi posizionavo con gli occhi aperti di fronte alla lampada del soggiorno accesa. Ero convinto che, se io fossi rimasto lì davanti per molto tempo, il buio che continuavo a vedere sarebbe sparito. Il risultato era che io sentivo solo e soltanto il calore della lampadina e mi convincevo sempre di più che nessuna luce mai avrebbe potuto togliere quel velo nero che avevo davanti agli occhi. Sapevo che era inutile e con gli anni lo capii da solo. Ogni volta che mi sedevo davanti a quella lampada nella speranza di diventare come tutti gli altri bambini, mia madre arrivava sempre in lacrime e mi stringeva forte al petto, in collera con se stessa, che riteneva l’unica responsabile di quella che non aveva mai esitato a chiamare disgrazia.
Improvvisamente un chiarore mi invase. Mi accorsi che proveniva da una specie di bolla posta sul soffitto. Era trasparente e all’interno c’era qualcosa che non potei osservare. Mi dava molto fastidio tenere gli occhi puntati su quel coso e distolsi subito lo sguardo. Quel qualcosa che mi impediva di guardare fisso su quella bolla era, molto probabilmente, la luce. Che emozione. Non avrei mai immaginato che fosse così fastidiosa e allo stesso tempo così affascinante.
- Non tenere gli occhi puntati sulla lampadina per tanto tempo. Potresti accecarti di nuovo.- fece Raph. Sorrisi alla battuta del mio amico e presi a fissarlo. Finalmente riuscivo a vederlo, oltre che sentire solo la sua voce. Stava acquistando una fisionomia che, però,  non riuscii a cogliere subito, data la scarsa luce del momento. La luce aumentò di intensità, quasi avesse esaudito il mio desiderio di vedere meglio la figura del mio amico. Quel meccanismo della luce che dopo pochi secondi aumentava leggermente di intensità era un’invenzione del mio amico. Non ho mai capito come riuscisse a fare certe cose, fatto sta che, nonostante sia un completo idiota, la sua genialità non si può mettere in discussione.
Finalmente potei osservare il mio amico in tutta la sua completezza. Sebbene ci fosse ancora una buona parte di oscurità, riuscii a distinguere molti tratti salienti. Era molto in carne, ma questo lo sapevo. Aveva la faccia rotonda e lentigginosa, con due occhiali che sembravano troppo sottili per il suo viso. I capelli erano arruffati e questi, insieme alle lentiggini avevano una colorazione differente rispetto a quella che poco prima aveva osservato all’interno della lampadina. Probabilmente era di un colore diverso. Quello che più mi spaventò, però, fu il ritorno di quel maledetto compagno di vita, quell’unico colore che mi aveva tenuto compagnia durante tutta la mia esistenza. Credevo di averlo eliminato per sempre, invece quel colore che mia madre mi insegnò essere quello del nostro gatto, del carbone e delle mosche, tornò a farsi vivo sulla maglietta del mio amico. Ne fui spaventato e indietreggiai, rischiando quasi di cadere dal lettino su cui soltanto allora mi resi conto di trovarmi.
Ero convinto che la magia del momento stesse svanendo. Ero convinto che la mia cecità stesse tornando. Non vedevo quel colore, probabilmente tra poco non avrei visto neanche più il viso di Raph e poi nemmeno la luce. Tutto sarebbe ricominciato. Tutto sarebbe ritornato uguale a come lo avevo vissuto per diciassette anni. La maglietta extra-large del mio amico era completamente oscurata. Era nera.
- Cosa c’è? Non ti piace la mia maglietta? L’ho presa al negozio qui a fianco. Vendono roba spettacolare!-  disse, come se in un momento simile mi potesse importare qualcosa dei suoi acquisti fatti al discount.
- Non riesco a distinguerne il colore. Lo vedo nero.- feci preoccupato.
- Oh, ho capito.- disse Raph annuendo. – Ascolta, tu ci vedi benissimo. Il nero è una tonalità di colore che percepiamo anche noi. I raggi luminosi sono catturati dall’occhio e…-
- Oh, Raph, smettila di fare il secchione. Come può interessarmi sapere il modo in cui l’occhio percepisce la luce se so a mala pena come è fatta!-
Raph si zittì e la luce prese ad incrementare la sua potenza. Solo allora potei distinguere il colore dei muri. Erano pallidissimi. Molto più pallidi rispetto alla tonalità della luce nella lampadina.
In quel momento riuscii a creare una scala dei colori che avevo osservato fino ad allora, disponendoli dal più chiaro al più scuro. Per primo posi il colore dei muri, poi il colore della luce, seguiva il colore dei capelli e delle lentiggini di Raph e poi la tonalità del mio conoscente più vecchio, il nero.
Era strano come fossi allo stesso tempo riluttante e affezionato al colore nero. Ora che lo rivedevo dopo questa mia grande rivoluzione ne ero terrorizzato e volevo allontanarlo da me. Nello stesso tempo, però, mi sentivo legato a lui. Per anni aveva colorato il mio mondo e aveva rappresentato esso stesso ciò che mi circondava. Sembrava quasi che nella solitudine e nell’isolamento della cecità, lui non mi volesse mai abbandonare e mi tenesse compagnia sempre e comunque.
Presi ad osservare l’ambiente circostante e notai di trovarmi su un lettino, appunto, in una stanza molto piccola. C’erano molti macchinari sopra la mia testa e tutto attorno a me. Mi avevano operato ed era come se mi trovassi in una specie di sala di ospedale in miniatura. C’era di tutto: attrezzi di ogni genere, guanti in lattice e boccette trasparenti. Mi sembrava tutto così nuovo, così confuso. Era come se i miei occhi mi stessero bisbigliando qualcosa di confuso in una lingua sconosciuta. Sopra una scrivania alle spalle di Raph c’erano tre dottori con un camice dello stesso colore delle pareti.
Erano intenti ad esaminare dei riquadri di quel colore chiarissimo che ormai avevo bene riconosciuto nei camici e nei muri di quel primo ambiente che entrò nella mia nuova vita. Erano delle circoscritte zone della scrivania che presentavano dei segni di colore nero. Non capii immediatamente ma, quando chiesi, Raph mi disse che erano fogli di carta. Cavolo! Che emozione.
Osservai attentamente quei tre uomini. Uno era molto smilzo con il volto scavato e due occhiali simili a quelli di Raph. Gli altri due erano di spalle e non riuscì che a scorgere il loro lato B, quindi decisi di passare oltre. Mi resi conto di non aver ancora osservato la mia fisionomia. Mi guardai le mani e le vidi per come erano realmente. Per la prima volta riuscii a capire come erano fatte. Le vidi e ne gioii. Guardai la mia maglietta e i miei jeans. Mi piacque molto il colore intenso della prima, che sembrava infondermi buon umore ed energia.
- Quel colore si chiama rosso – fece il mio amico con il suo solito fare da insopportabile so tutto io. Devo ammettere, però, che in particolare momento mi piacque molto il fatto che qualcuno potesse insegnarmi a conoscere la realtà delle forme e dei colori. Realtà in cui fino ad ora non avevo mai creduto di poter entrare.
La luce incrementò ulteriormente e per l’ultima volta la sua potenza.  Il livello raggiunto era massimo e la luminosità divenne rassicurante. Era come se la lampadina (di cui finalmente avevo conosciuto la forma a bolla) avesse vissuto come me quel distacco graduale dalle tenebre e fosse arrivata a vedere tutto, proprio come me. A differenza della lampadina, però, io non sarei più ritornato nel buio.

Brunello

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Re:Il buio non tornerà
« Risposta #1 il: Aprile 07, 2013, 08:15:38 »
Bello, avvincente e ben scritto, bravo!

nihil

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Re:Il buio non tornerà
« Risposta #2 il: Aprile 07, 2013, 09:49:23 »
Splendido racconto, complimenti. Molto delicata questa rinascita, perchè di questo si tratta, di una rinascita a 17 anni, c'è tutto da imparare e da vedere. Il ragazzo che per la prima volta può vedere ANCHE se stesso, che terribile ed emozionante esperienza.  ;D

Claudia

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Re:Il buio non tornerà
« Risposta #3 il: Aprile 27, 2013, 09:05:11 »
Descritte con molta maestria le emozioni di chi comincia a vedere e, dissipando il buio, fissa nella sua mente forme e colori che, prima, gli erano sconosciuti.

 Claudia
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera!
S.  Quasimodo