Quella porta di legno, un pomello in ottone, e sul vetro un blasone. Aprendola rinasco nel 1880. Una parete intera rivestita d'arredo color lavanda e oro custodisce in bella mostra paste, mostarda, biscotti e pasta reale nelle sue svariate forme di frutta colorata, e poi lì nel bancone tortine, cassatelle, cannoli, e dolcetti. Mi sento una dama e mi vedo vestita di un'abito a campana di seta colorato. Scelgo in silenzio e mi accomodo in sala e lì tavolini in marmo e con sedie di legno, rivedo mia nonna bambina col padre che alla domenica la porta a mangiare un pasta reale. E così siedo, sfilo i guanti in pizzo ricamati e assaggio il mio dolce sorseggiando un caffè e l'aroma è di miele, cannella, cioccolato e buon tè.
Quadri di vie in bianco e nero, foto di famiglia in un interno, volti di gente presente solo nel ricordo. Quei baffi, i vestiti, cappelli e le donne sedute di fianco con capigliature eleganti. E le strade, carrozze, i lampioni ed un cane sono lì ritratti nella loro giornata migliore.
Signora gradisce qualcos'altro?
No grazie, rispondo accorgendomi di avere ancora un po' della panna sulle labbra di fuoco. La lecco e arrossisco temendo d'essere vista, e poi ritorno a guardare serena. Eppure li vedo le coppie del tempo, lui e lei a braccetto, l'ombrellino da un lato e il bastone dall'altro seduti a parlare e godere il piacere.
C'è il vino più dolce, l'amaro dell'Etna eppure lo assaggio, un bicchierino per favore.
E prima d'andarmene un po' a malincuore nascoste tra altre le scorgo, le compro. Sono avvolte una ad una di una carta sì spessa bianca ed azzurra, loro sono le tortine paradiso con dentro i canditi e il profumo di vaniglia.
Poi esco da lì e il rumore di una macchina in accensione mi riporta al mio mondo, guardo alle spalle ancora quel posto e mi scopro già nostalgica per un'epoca nella quale avrei voluto vivere e morire.
