Qui racconto l'insofferenza di un ritorno che a mano a mano si trasforma in consapevolezza.
L'ho scritto in gioventù ma non mi sento poi di essergli così lontana anche se ora di certo non parlerei di questo perché rispecchia un episodio della mia vita di allora.
Il treno rallentava; era giunto alle porte della
città. Io, sprofondata negli abiti sgualciti dal
viaggio e scossa da una leggera carezza di freddo,
baciavo il Silenzio.
Il treno si fermò. Raccolsi le mie cose e scesi a
terra. Il vociferare confuso ed opprimente della
stazione invase il mio cervello; mi asciugai le
labbra con la manica della maglia in un gesto
sfrontato, e da una tasca con il fondo sabbioso,
presi una gomma da masticare. La scartai e la misi
tra i denti.
Le borse da viaggio...dov'erano? sicuramente
appese alle mie spalle. Il loro peso era assente e
non mi voltai a confermarne la loro presenza.
Dovevo percorrere il binario per tutta la sua
lunghezza, la mia era una delle ultime carrozze, e
con passo spedito mi ribellai ai contatti fisici
con quella gente sudata, che nell'ansia di
incontrarsi, mi intruppava continuamente. Arrivai
all'estremità del binario dove un gruppo di persone
era in attesa: non si erano addentrate nel caos e
allungavano il collo sbarrando gli occhi per
cercare i loro cari. Tra quei volti concentrati mi
sembrò di riconoscerlo. Sì era lui, non avevo dubbi.
Perché era venuto?
Atteggiato ridicolamente rappresentava una realtà
visiva ingombrante, esasperata, come tutto ciò che
ora avevo intorno, e con cui da quel momento,
insieme al Silenzio, avrei dovuto competere.
Mi venne incontro. Mi prese la mano e la baciò. Mi
guardava con l'azzurro pallido di un cielo malato
mentre io toccavo il Silenzio nelle sue parti
intime per sentire i suoi gemiti. Lui parlava,
parlava, mi ripeteva la sua felicità ma io non
sentivo le parole, né vedevo chi avevo accanto.
Pensavo solo a camminare: volevo uscire. Uscire?
per andare dove? Sporgendomi dalla stazione un
odore villano di città, mi investì. Lui mi prese
per un braccio e mi trascinò per un centinaio di
metri tra auto mal parcheggiate, vigili che
fischiavano, gente che correva, bambini che
piangevano, luci che si accendevano e si
spegnevano, frastuono di clacson e serrande che si
abbassavano, fino alla sua macchina. Posai le
borse, mi sedetti e chiusi gli occhi. Non era
facile, per nulla al mondo avrei pensato fosse
facile trattenere il Silenzio presso di me.
Lui si sedette al volante e avviò il motore.
Mentre guidava sciorinava interrogativi sul mio
stato d'animo. Io, muta, sciolsi i capelli e con le
mani, carezzandoli, li scostai dal volto.
Durante il tragitto fu come se tutto si annullasse
ed ebbi la sensazione di essere posseduta dalla
lingua e dalle mani del Silenzio. Il suo respiro mi
perforava l'orecchio mentre con il corpo mi
appoggiai sul suo sesso per sentirlo crescere.
Nel frattempo eravamo giunti sotto casa. Mi
ricordai di lui che aveva guidato e che forse
probabilmente mi amava. Ma...il Silenzio? Riposava
accanto a me eccitato, aveva percepito la mia
sensualità.
Aprendo lo sportello mi cadde dalla mano un piccolo
oggetto. Lo raccolsi: al tatto era morbido, era un
fermacapelli di spugna. Si era nascosto nel cavo
della mano quando sciolsi i capelli . Ma cos'era?
un ricordo?
Era la chioma bruna e lontana che ancora stavo
baciando.
Svegliai il Silenzio, me stessa e con il peso, ora
presente, delle borse sulle spalle brune di sole e
polvere, mi avviai verso il portone e senza
voltarmi accennai un saluto a colui che mi amava.
Entrai e presi l'ascensore: sarebbero stati solo
due piani e chissà perchè
prevedevo un'ascesa infinita. All'interno, lo specchio
confessava che la mia faccia era ridotta male.
Mi voltai immediatamente per non udirlo.
Secondo piano.
Spinsi la porta scorrevole, calciai le borse verso
il pianerottolo e uscii. Mio fratello mi venne
incontro. L'abbracciai. Fui delicatamente
impressionata dalla sua magrezza.
Mio padre era sulla porta di casa. Prenderlo tra le
braccia fu importante, mi aiutò a pensare.
Mia madre era in salotto seduta sul divano. La
guardai: era molto bella ma non l'abbracciai
subito, dovevo ancora tornare. La vedevo da lontano
e correvo sulla sabbia veloce, sempre più veloce
finché giunsi a lei. Quasi scomparve tra le mie
braccia. Ero tornata.
Dovevo lavarmi, avevo bisogno di carezze di acqua
tiepida. Mi accorsi della mancanza del sale marino
ma feci finta di nulla. Le mani erano piene del mio
corpo, non si stancavano di percorrerlo insieme ai
getti violenti dell'acqua. Nel mentre pensai al
Silenzio, al nostro amplesso interrotto da un
ritorno...
Avrei voluto addormentarmi così appoggiata alla
parete del bagno come fosse sabbia, probabilmente
avrei sognato mare. Smorzai l'amore dell'acqua e
uscita da quel attimo di piacere mi avvolsi nella
spugna dell'accappatoio. Avvertii la stessa
morbidezza del fermacapelli...
La grande specchiera stava soffocando tra i fiati
del vapore; meglio così non desideravo guardarmi
ne avevo quasi terrore.
Con addosso gli occhi del Silenzio, indossai la
camicia da notte di seta che mi fasciava fino ai
piedi e una mano di cui non riuscii a definire il
sesso mi accompagnò verso il letto.
Sfogliò le lenzuola, mi fece sdraiare e sfiorò il
contorno dei miei seni...si fermò un istante e
appena accennai un movimento, il fresco cotone mi
avvolse la pelle.
Avrei dovuto solo dormire ma i pensieri
chiacchieravano tra loro e involontariamente
disturbavano. Ad un tratto, come se il Silenzio li
avesse sgridati, si placarono, la mia immobilità si
appesantì e, poco prima di toccare il buio, vidi
alla luce della mia lampada, la figura fiera del
Coraggio che vegliava su di me. Fu così che mi
lasciai portar via dal Sonno.