Autore Topic: Melograno  (Letto 372 volte)

presenza

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Melograno
« il: Ottobre 26, 2013, 15:56:11 »
Lei sapeva di buono, come il pane con la marmellata quando al mattino lo gustava insieme al suo caffè macchiato. E forse lo era veramente, ogni tanto se lo chiedeva e poi andava avanti come se non fosse importante veramente avere una risposta. E in fondo non le importava davvero, sapeva che cosa doveva fare, ed ogni mattina uscendo da casa non se lo ripeteva nemmeno. Era diventato un lavoro, lo aveva scelto qusi senza fatica, come quelle cose che si scelgono senza  nemmeno accorgersene. E poi quando se n'era accorta forse non era ancora troppo tardi. Quella mattina lo capì perché non si preparò più la sua fetta di pane con la marmellata, e nemmeno il suo caffè macchiato aveva lo stesso sapore, così vuotò la tazza nel lavandino e mangiò solo un frutto. Si vestì non sapendo più cosa avrebbe dovuto fare, da anni faceva la stessa cosa, quel giorno invece la catena si era interrotta.
Camminava come fosse sola, la gente le sbatteva contro e lei dritta per la sua strada come fosse un'automa. Eppure pensava, e si diceva pure che mai più avrebbe avuto quell'odore, nella vita non le aveva portato nulla di buono, nulla che fosse diverso da ciò che era stato. I suoi genitori non l'avevano voluta, le avevano raccontato che entrambi erano troppo giovani quando l'avevano avuta e la mamma appena quindicenne allora, non aveva provato il minimo imbarazzo a disfarsene. Il padre poi non ne parliamo, voleva stringerla al suo petto appena nata, e poi invece non  lo aveva fatto solo perché gli avevano detto che la bimba, lei, era ancora traumatizzata da quella nascita così tanto violenta, e così lui sentendo solo una grande paura aveva imboccato senza fiatare l'uscita dell'ospedale perdendosi tra la gente. Così forse perché troppo giovani, o forse perché incapaci, la diedero  all'orfanotrofio del paese chiedendo per se stessi solo un compenso economico semmai qualcuno avesse voluto adottarla.
E fu adottata infatti, da quei due benestanti che all'epoca furono l'llusione di un futuro d'amore e comprensione. Aveva avuto tutto, una bella casa, tanti giocattoli e tanti giochi, feste, e tutto ciò che lei immaginava anche non espresso. Ma tutto rigorosamente insieme ad una donna che si occupava di lei giorno e notte, senza una carezza, e nemmeno il bacio prima di addormentarsi. I genitori sempre impegnati con le loro cose, lei sempre piena di tutto tranne che d'amore. Crescendo se n'era fatta una ragione, l'abitudine ad avere tutto senza nemmeno chiederlo non le costava più la fatica di quella innominata assenza. Ma le cose non rimangono mai le stesse, lei ancora questo non lo sapeva fino a quel momento, quando la sua collega le presentò il fidanzato. Una voglia forte d'avere quell'uomo tutto per lei la prese come mai nella sua vita fino ad allora anche quando da bambina a tutti i costi aveva voluto un cane. Così cominciò a civettare spudoratamente, sapendo d'avere un grande fascino dalla sua parte, e tanti soldi fino a stordire. L'uomo non sembrava affatto interessato e così dopo una breve conversazione fu lasciata sola in mezzo al corridoio, sola così come lo era da sempre stata e come in quel momento sentendone il peso per la prima volta le sembrò la cosa più insopportabile del mondo.
Perciò si mise in testa di conquistare, nessuno poteva resisterle, non era mai accaduto. Organizzò una serie infinita di party a casa sua, serate a tema e cinema con gli “amici” senza un perché. E sempre più alta la sua motivazione, primo pensiero appena sveglia la mattina, ultimo prima di addormentarsi. Un giorno portò tutta la compagnia al circo e sfidando la sorte e il suo presente vedendo il banchetto con un'indovina là si fermò a guardare quella vecchia seduta con la sua sciallina. Gli sguardi s'incrociarono e lei per prima chiese: “...allora vecchina, cosa prevedete per il mio futuro?” La donna dal volto rugoso e dal sorriso ironico rispose prontamente: “ cara donnina, non prevedo niente per il tuto futuro, ma so per certo che nel tuo presente nulla va per il verso giusto”. La comitiva riunitasi intorno scoppiò in una grande risata e lei, la giovane, sentì salire una rabbia incontrollata, quella accumulata negli anni e nel tempo, quella di tante assenze e vuoti pieni. Quella di chi ha imparato a vivere così senza accettare fino in fondo di poter cambiare qualcosa di persona. Quella di chi aveva ingoiato tante di quelle cose senza mai averne visto l'anima nemmeno di se stessa guardandosi allo specchio. E così lasciò tutti lì in mezzo a quella terra che puzzava di cavalli, davanti alla vecchina ridicola con quel suo travestimento da gitana, facce e visi ilari alle sue spalle, mentre lo zucchero filato si mangiavano fino ad addobbarsi, e se ne andò di scena.
Vagò senza una meta, mentre gli altri un po' attoniti e tuttavia nemmeno tanto pensierosi, alle sue spalle si godettero il grande spettacolo e poi contenti ritornarono alle loro case. Lei, lei invece entrò nella sua scena, quella di se stessa senza un ragione, senza un senso privo di tanti orpelli e ornamenti, si vide nuda così com'era stata, così come adesso le sembrava triste. “Che cosa ho seminato, e che cosa speravo di raccogliere, ho fatto cosa? La buona in tanto tempo, quella di passaggio dando le tante cose che a me semplicemente avanzavano. Così di mio che cosa c'era là dentro tutti quei sacchi, solo e soltanto il vuoto riempito a malapena, e questo non è affatto buono. E' solo superficie, quella che non fa radice, quella con cui ho dipinto la scatola di legno”. Fu tanto il camminare che si ritrovò al limitare di un fosso, era buio e faceva freddo, e tanto era lo scoraggiamento che semplice sarebbe stato buttarsi dentro quel vuoto, e le voci lì intorno, glielo dicevano: “su dai, attira l'avventura chiamata dalla tua sventura, figlia di nessuno, involucro perfetto . Nemmeno questo ti piangerà per tanto tempo”.
E invece no, si voltò e cominciò a camminare allontanandosi da quel fosso e ritornò a casa, quella che era stata fino dalla sua infanzia abbandonata. Suo padre e sua madre stranamente seduti sul divano, sembravano in grande apprensione e con i loro volti bianchi come la pelle che ricopriva le mani, e freddi in quella morsa di paura che mai aveva scorto nonostante li avesse guardati cento volte. Capì che di lei avevano parlato, e fu la madre che per prima senza una parola si alzò e le andò incontro. L'abbracciò come mai aveva fatto in tutto il loro tempo, e poi suo padre venne appresso a loro e tutti e tre non si staccarono se non dopo un'ora. Ognuno a proprio modo là dentro aveva amato certamente per tutto quell'immenso tempo, ma nemmeno si può dire chi lo aveva fatto di più e chi di meno. Fu sua madre che iniziò a parlare raccontandole di come prima di adottarla avesse avuto una figlia tutta sua, morta a nemmeno un anno dalla nascita per una grave insufficienza. Il dolore della perdita era stato talmente tanto che solo avendone un'altra i medici le avevano detto lo avrebbe superato. Invece lei, la madre si era chiusa a tutto e tutti e quando il marito le aveva proposto quell'adozione, aveva accettato senza troppa convinzione. Così per anni aveva sopportato il suo dolore, senza nemmeno accorgersi che ormai si era avvizzita e nulla le stava rimanendo di un cuore e tutto il suo amore. Ma ritornando a casa quel pomeriggio e non trovando lei, sua figlia in carne ed ossa , aveva capito che qualcosa non stava più andando, subito il dolore nel tempo ormai ricordo, d'improvviso lo sentì rinnovato e forte e vivo e non per una morta. Il padre allora continuò il racconto, senza che il suo parlare fosse privo di commozione, aggiunse che anche lui negli anni si era uniformato a quel sentire sordo, temendo che una carezza, un bacio o anche la presenza avessero fatto male al suo ricordo. Per troppo amore non ci siamo amati affatto, e nel rispetto dei ricordi abbiamo dimenticato di vivere il presente. Ma siamo ancora in tempo figlia mia, non hai bisogno d'altro se non di ciò che siamo veramente.
Così fu che quella catena fatta di tante rinunce e senza un profondo ascolto s'interruppe. E quella mattina cominciò con un frutto: il melograno, vermiglio e grande.