Perché esportare è un costo, e importare è un beneficio spiegato a Sora Lella e Sora Marta.
(perché per la Mosler Economics Modern Money Theory l’export è un costo e l’import è un beneficio per un Paese)
Ci sono due famiglie in due Paesi del mondo che vivono lo stesso dramma nello stesso momento. La prima famiglia sta in Normanìa ed è molto ricca, lui dirige un’importante banca. La seconda sta in Salvésia, sono semplici stipendiati. Due coppie quindi, le cui mogli sono in procinto di partorire. Due bimbi nascono, ma entrambi con una grave malformazione cardiaca che richiede un immediato intervento chirurgico salva vita di enorme difficoltà. Esso necessita di una sala operatoria equipaggiata con un robot-laser di altissima tecnologia e specialisti capaci di usarlo. In Normanìa questi mezzi non ci sono. In Salvésia sì.
La coppia normanica corre a prenotare un volo per la Salvésia, contatti frenetici al telefono, la speranza che gli specialisti salvesi siano disponibili. La partenza fra angoscia e ore preziose perse nell’organizzazione, che costa fra l’altro un patrimonio a questa coppia, per fortuna ricca. Nove interminabili ore d’aereo, l’arrivo in Salvésia, la corsa all’ospedale, ma il piccolo spira in ambulanza.
La coppia salvese ha il proprio piccino trasferito un’ora dopo il parto all’ospedale specializzato dove esiste quel costosissimo macchinario salva vita, è operato e sopravvive. Sarà uno splendido bimbetto come tutti gli altri.
Orrore (più che ironia) della sorte ha voluto che questi macchinari chirurgici fossero prodotti da un’azienda normanica ed esportati in Salvésia e in pochi altri Paesi. E ha voluto che il massimo luminare di questa branca della medicina fosse anche lui normanico, che ha esportato il suo cervello all’estero perché in Normanìa i tagli alla ricerca non gli permettevano di lavorare.
Chi di quelle due famiglie è oggi più ricca? Chi delle due sorride alla vita oggi? Quella con 10 conti in banca rigonfi e un tragico funerale, o quella con lo stipendio da dipendenti ma i mezzi medici adeguati e un bellissimo bebè? A che serve avere i milioni se poi non hai i mezzi e gli oggetti reali per le cose che contano?
Questo esempio estremo, ma purtroppo di vita vera, vi illustra cosa siano i “real terms of trade”, cioè i reali termini degli scambi commerciali. In Normanìa, Paese industrializzato, il governo applica da una parte la filosofia economica del ‘risanamento’ dei conti, quindi ha tagliato la spesa pubblica fra cui anche quella sanitaria, considerata dai severi economisti come ipertrofica, e dall’altra si è buttato sull’export per ricevere liquidità dall’estero. E’ una nazione che esporta oltre il 60% di tutto quello che produce, ma anche, come si è visto, esporta intelligenza e professioni, dato che proprio il ‘rigore dei conti’ ha per prima cosa penalizzato le università e la ricerca.
La Salvésia invece fa il contrario. Il suo governo non si preoccupa tanto di risparmiare, preferisce spendere per le infrastrutture, per il lavoro, per le aziende, ma soprattutto esporta poco (11%) e importa molto. Questo significa che lo Stato salvese fa crescere il suo debito proprio per far sì che il suo popolo abbia i mezzi per acquistare beni e servizi reali prodotti in casa e anche all’estero, più che esportarli all’estero. Il debito del ministero del Tesoro salvese cresce, ok, ma quello che conta è che cresce anche la ricchezza reale dei salvesi.
Perché la Normanìa, pur essendo un Paese moderno, non aveva quei beni reali per salvare quella povera vita? L’ho già detto: perché scelse la formula economica sbagliata, quella follia ignorante del ‘rigore della spesa ma export a tutto gas’. Questa formula significa in pratica quanto segue:
- Primo, il pareggio di bilancio impone alla Normanìa di tagliare la spesa pubblica e di alzare le tasse. Questo comporta un impoverimento automatico di tutta la nazione, comporta che le aziende sanitarie hanno rinunciato alla super tecnologia per mancanza di fondi, comporta che neppure i privati hanno voluto spendere per quella tecnologia, visto che l’impoverimento nazionale ha depresso i consumi e le aziende vendono poco, c’è disoccupazione alta, e chi ci va nelle cliniche private a spendere? I soliti quattro ricchi? Non bastano ad ammortizzare i milioni su milioni per la super tecnologia. Comporta che i bravi ricercatori se ne vanno all’estero, dove li pagano meglio. Poi…
- La Normanìa, se vuole che i suoi prodotti siano esportati in ampie quantità, deve impedire ai suoi cittadini di comprarli, cioè di richiederli in ampie quantità, se no ben poco rimane da esportare. Infatti la capacità industriale di un Paese ha un limite, e se si vuole che il 60% di tutto vada all’estero, bisogna riservare solo il 40% ai propri cittadini. Allora il governo normanico deve fare una politica di salari stagnanti che deprima i consumi interni, cioè deve tenere bassi i salari. Questo è già un danno enorme alla società, per motivi ovvi.
- Ma si consideri anche che la Normanìa deve poi competere nell’export con tutti gli altri Paesi, e ce ne sono di molto agguerriti, quelli dove non c’è democrazia e dove gli industriali pagano il lavoro due soldi. I prodotti di questi ultimi, quindi, sono competitivi al massimo, e dunque gli industriali normanici devono anche loro lottare per abbassare il costo del lavoro in Normanìa. Altra mazzata agli stipendi dei normanici. Altro danno ai consumi, altre rinunce a beni reali da acquistare o da importare. E infine chi dipende dall’export è anche appeso al gancio dei capricci delle nazioni che gli comprano la roba. E se domani la Salvésia decide che lo stesso prodotto se lo va a comprare in Goelandia invece che in Normanìa? Ciccia, i normanici stanno a secco.
- Con consumi interni bassi, stipendi al ribasso, circola poco denaro sul mercato normanico, e questo causa un apprezzamento della loro moneta. Ma se la moneta si apprezza, danneggia proprio l’export (diviene più costosa per gli altri Paesi). E allora la Banca Centrale il governo normanici sono costretti a tagliare il costo del denaro e a comprare altre monete sui mercati mondiali (così si apprezzano) vendendo molta della loro (così si deprezza). Uno sforzo continuo e fra l’altro inutile (si veda il LTRO di Draghi!).
- Poi si consideri una cosa centrale: a chi vanno i miliardi che la Normanìa incassa da altri Paesi con tutto quell’export? Vanno in primo luogo ai grandi industriali normanici dell’export, o ai titolari delle Piccole Medie Imprese che esportano. Ma allora, direte voi, vanno anche agli operai e agli impiegati. Si creerà occupazione. No! Per i motivi sopraccitati, perché se tutti quei soldi venissero veramente distribuiti fra i cittadini aumenterebbero gli stipendi e quindi addio alla competitività sull’export, addio ai bassi consumi interni ecc. Poi un’altra cosa tragica. A causa della spietata competizione al ribasso dei prezzi dell'export con le nazioni estere che pagano stipendi da fame (leggi sopra), gli imprenditori dell'export normanici hanno smesso di assumere in patria e vanno ad aprire aziende nei Paesi dei poveracci, quelli che accettano stipendi da fame. Altro che creare occupazione in Normanìa.
- Pensate a quanti lavoratori della Normanìa sgobbano dalla mattina alla sera tutta la vita (con stipendi ribassati) per fare beni reali di cui altra gente all’estero godrà. In Normanìa la disoccupazione è al 10%, questo vuol dire che montagne di persone non producono nulla (tutto PIL perduto), e se a queste si assommano tutte quelle che lavorano per produrre PIL che se ne va all’estero, vi rendete conto di quanto PIL è sottratto in termini reali (cioè cose vere e non statistiche del cavolo) alla Normanìa? Non sarebbe meglio che lo Stato normanico avesse un programma di piena occupazione interna innanzi tutto, e che riservasse all’export solo una quota di lavoro necessaria a incassare dalle altre nazioni un po’ di moneta per finanziare una fetta di importazioni?
- Infine, per chi veramente conosce come funzionano le Banche Centrali (BC) e le banche, è chiaro che tutta la moneta straniera che la Normanìa guadagna esportando finisce in realtà nei conti della BC normanica e da lì non si muove. Es.: quando la Salvésia comprò quegli strumenti chirurgici dalla Normanìa, la ditta salvese pagò in moneta salvese, ovvio. Questo pagamento finì alla BC normanica che a sua volta creò dal nulla il corrispettivo in moneta normanica e lo accreditò all’azienda normanica che aveva venduto i macchinari alla Salvesia. Quindi tutta la moneta estera dell’export finisce sempre nei conti della BC del Paese che esporta. Ma cosa accade poi se quella moneta si svaluta per qualsiasi motivo? (pensate alla BC cinese con quelle montagne di dollari che ha incassato dagli USA che importa roba cinese, e a Washington che ha svalutato il dollaro a rotta di collo. Pechino vede il suo gruzzolo diminuire in valore giorno dopo giorno, e trema coi sudori ghiacci…) Se la moneta incassata dall’export si svaluta la BC normanica si ritrova con carta di poco valore, mentre la Salvesia ha un bene reale che invece continua a salvare vite e a fare della Salvesia un Paese avanzato. Chi sta meglio?
Riassumo: chi esporta tanto priva la propria nazione di una montagna di beni reali in cambio di moneta che non viene ridistribuita alla gente e che può svalutarsi; in cambio della necessità di deprimere sia i consumi che gli stipendi interni; in cambio di sforzi della BC per tenere la moneta locale bassa. Poi chi fa super export storna una massa enorme della sua forza lavoro a fare beni dei quali godranno altri all’estero, e si ficca in una gara tagliagola con altri Paesi che possono barare sui prezzi, e va là a lavorare e ad assumere, non in patria. Tutte cose che danneggiano un’economia. Chi importa, invece, acquisisce ricchezza reale che fa il Paese ricco e avanzato, ed esporta moneta, che il suo governo (se sovrano) può creare dal nulla con ben pochi limiti.
Infatti, alla fine della fiera, cosa ci rende ricchi come popolo? (non come singoli individui) Risposta: avere sempre case disponibili, avere auto, avere computer, abiti, servizi in tutti i settori, avere ospedali eccellenti, scuole fornite di tutto il meglio, forze dell’ordine che hanno i mezzi per proteggerci, avere cultura in abbondanza, parchi per i bambini, assistenza umana nel bisogno, lavoro per tutti, e ovviamente tutto ciò di materiale che rende quanto sopra possibile. Cioè proprio i beni reali, la tecnologia e i suoi prodotti, gli oggetti utili, gli alimenti, i muri, le strade ben fatte, le infrastrutture moderne, le risorse umane necessarie a fare le cose.
Ora veniamo alle nazioni del nostro mondo, perché qui voi signore avrete pensato: “Ma che dice questo? La Germania è un super esportatore e sono ricchissimi!”. No, no. Chi è ricchissimo in Germania? I signori Siemes o Krups di sicuro. La gente? Leggetevi l’autorevole Karl Brenke, “Real wages in Germany. Numerous years of decline. Weekly report 28/2009, German Institute for Economic Research”. Spiega come in verità i tanto millantati stipendi tedeschi siano in termini reali in declino continuo, proprio per le ragioni sopraccitate. Come ho già scritto in altri articoli, i salari in Germania sono cresciuti della metà rispetto alla media europea, mentre la loro produttività è invece cresciuta del 35%, cioè guadagnano meno e li spremono di più. Per forza. Devono esportare a tutta birra (49% del PIL) ma anche essere competitivi nel costo del lavoro, cioè stipendi in ribasso. Risultato: Mario Draghi il 17/11/12 ha dichiarato a Francoforte che “la crisi sta raggiungendo anche la Germania ora”. I consumi interni tedeschi sono in rapido calo, per forza. La profezia malefica delle ‘virtù’ dell’export si sta avverando anche da loro. Ricordate? Per super esportare, un Paese deve deprimere gli stipendi e i consumi interni. E’ un guadagno questo?
Poi c’è il Giappone, altro esportatore a turboelica. Il Giappone è oggi l’ultimo fra i 18 Paesi più ricchi del mondo in quanto a consumi delle famiglie (Japan Statistical Year book). Se si prende un alimento di base come il mais, in Giappone il consumo delle famiglie di questo alimento negli ultimi 30 anni è stato in negativo per 13 anni, è cresciuto a 0% per 7 anni, e per il resto è rimasto a un misero 2,8% di media (US Dep. of Agriculture). Poi sentite cosa scrive l’Asia Economic Institute: “Le industrie auto giapponesi registrano un calo consumi del 69%, e vi sono cali terribili anche nel commercio di prodotti elettronici e altri prodotti. Questo è dovuto al calo della domanda di export da parte del resto del mondo e al calo dei consumi interni… Anche le famiglie giapponesi benestanti usano l’acqua del bagno mattutino per fare il bucato, per risparmiare consumi di bollette. Dal 2001 al 2007 i consumi a persona sono cresciuti di un misero 0,2%... Il Giappone è sulla via della recessione perché un’economia non può sopravvivere sui cali dei consumi interni e sul crollo dell’export”. Ricordate? Per super esportare un Paese deve deprimere i consumi interni. E’ un guadagno questo?
La Cina: centinaia di milioni di cinesi che vivono in condizione appena post medievali con stipendi da fame per permettere a Pechino di super esportare a prezzi super competitivi. Devastazioni ambientali da film dell’orrore, ecc. Stendiamo un velo.
Gli USA: esportano appena l’11% di ciò che producono, e importano valanghe di prodotti, ma sono ancora il Paese più ricco del mondo.
L’Italia: nel suo periodo di massimo sviluppo economico, cioè dal 1965 al 1999, l’Italia ha esportato quote di PIL che hanno oscillato fra il 12 e il 24% (fonte AMECO), quindi non un’esagerazione, nulla comparabile al 49% della Germania. Per fortuna lo Stato italiano in quegli anni (con la Lira, quindi spesa sovrana) compensava la perdita di ricchezza reale del nostro export con una spesa a deficit sufficiente a garantire che l’economia domestica producesse beni e servizi reali per noi, ma si badi anche che sempre nello stesso periodo le importazioni italiane (cioè la ricchezza reale) erano più o meno vicinissime alle esportazioni, compensando quindi il danno nazionale dell’export.
Tutto quanto sopra spiega perché nella realtà dell’economia di noi gente (real terms of trade), e non nei numerini e nei grafici dei libri, le esportazioni sono un costo per il Paese mentre le importazioni sono vera ricchezza. Fine della storia.
p.s.
Ora spiego sempre a Sora Lella e alla sua amica Sora Marta come fa una nazione a non andare in bancarotta se importa molto ed esporta poco.
Signore mie, capite una cosa. Nell’economia esistono sempre e solo 3 settori: 1) il settore del governo/Stato di un Paese 2) il settore dei cittadini, delle aziende e dei mestieri privati di quel Paese 3) il settore estero, che sono tutte le nazioni estere rispetto a quel Paese. Questi 3 settori si scambiano beni e denaro, ok? E’ come tre tizi che giocano a carte. Possono tutti e tre contemporaneamente vincere? Possono tutti e tre contemporaneamente perdere? Ovvio che no. Se uno o due vincono qualcosa, almeno un altro deve perdere. Se uno o due perdono, almeno un altro deve vincere. Bene. Così funzionano anche le economie delle nazioni. Quindi:
Se l’Italia, formata da Stato + cittadini/aziende/mestieri, importa più di quello che esporta, significa che, o noi Stato italiano, o noi cittadini/aziende/mestieri, o entrambi, abbiamo un deficit con il settore estero (gli diamo più soldi per le sue merci di quanti ne incassiamo da lui vendendogli le nostre). Ok, abbiamo detto che questo va bene per la Mosler Economics Modern Money Theory, perché noi acquisiamo beni reali e ricchezza reale, mentre il settore estero si prende la nostra carta (moneta). Ma voi due signore mi direte: sì, ma chi finanzia tutta quella carta moneta italiana che va all’estero in cambio dei loro beni e servizi? Buona domanda.
La risposta è che può essere lo Stato italiano coi suoi soldi, oppure i cittadini/aziende/mestieri coi loro soldi. Ok. I cittadini/aziende/mestieri italiani hanno dei soldi, e li possono spendere per comprare più beni dai Paesi esteri di quanti ne vendano ai Paesi esteri. Ma come già detto, questo fa sì poi che i cittadini/aziende/mestieri abbiano un deficit in denaro. Allora a questo punto deve intervenire lo Stato con la sua spesa pubblica, per rimpolpare di denaro le tasche di cittadini/aziende/mestieri. Deve cioè spendere per i cittadini/aziende/mestieri di più di quanto li tassi (spesa a deficit dello Stato), così a noi rimangono in tasca abbastanza soldini per vivere, lavorare, essere assistiti, e anche per poterne avere in più per comprare dall’estero tutti quei beni. Ecco fatto il trucco. Cioè: il deficit dell’Italia verso i Paesi esteri rimane, ma passa dal settore di cittadini/aziende/mestieri (noi) al settore dello Stato.
Ok, ok, Sora Marta si calmi. Lo so benissimo che per tutta la vita che le hanno detto che il deficit dello Stato è una cosa terribile. Non è vero, anzi, è vero il contrario. Si vada a leggere il perché in questo semplice documento: Programma di Salvezza Economica Nazionale,
www.memmt.info. Ora devo andare… e mi svegli la Sora Lella che sono 20 minuti che russa.
http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=550