Tornerà l'aria di primavera. Rivedrò le dita bianche delle margherite attorno al loro cuore dorato, la passione delicata dei papaveri, le tenere campanule dal cappuccio bianco e il gambo sottile.
Una moltitudine di colori bacerà ancora i miei occhi. Dolci profumi inebrieranno la mia bocca nelle giornate divenute lunghe e tiepide. Attenderò il tempo effimero che precede l'imbrunire, quando il cielo è diviso tra porpora e orizzonte è già tinto di blu; mi concederò un istante di gioia prima dei canti della notte - la foresta ne sarà piena.
Quel tempo, oggi mi appare lontano. Non avrei dovuto farlo, mi sono posata su di lei e poi ci sono rimasta.
- Che fai? Non c’è tempo, non c’è tempo!
Mi giungono le voci di chi ha scelto correttamente; posarsi va bene, ma solo per due minuti - giusto il tempo di riposare le tue ali, poi devi riprendere il cammino. Guardo il colore purpureo di questa pianta d’acero, le foglie tremolanti alla brezza di ottobre. Non ho voglia di andare da nessuna parte. Guardo le mie compagne che si muovono attorno e faccio appello a ciò che sono - io come loro. Altro che farfalle, noi siamo Monarche: non ci limitiamo a farci guidare dal vento a spasso tra i fiori, nell’effimera attesa della fine; preferiamo attraversare l’oceano - sotto le ali, solo nero. C’è una meta da raggiungere.
E’ sempre questione di meta. Solo mezz’ora fa, ero in sala riunioni. Giacca e pantaloni neri attillati, sotto i miei capelli cortissimi un pensiero: prima del lancio del prodotto, chi avrebbe condotto un’analisi dei rischi di compliance? Quell’analisi doveva essere affidata a me; sarebbe stata un trampolino di lancio. Glielo dimostravo io che l’idea di quel prodotto era una cazzata così come era stata formulata. L'avrei sbattuto in faccia al Consiglio nel mio rapporto. Nessuno mi avrebbe negato più la giusta autorevolezza al prossimo comitato prodotti. Insomma, non è difficile vivere se tieni in testa la tua meta.
Adesso non so che mi prende. Dovrei solo battere le mie stupide ali viola. Il corpo da farfalla è leggero, bastano davvero pochi colpi d'ala. Non so cosa mi succede. La stessa follia venti minuti fa mi ha fatto alzare dalla sala riunione. Avrei potuto intervenire e dissertare con sicumera. Invece mi sono alzata, ho chiesto scusa e sono andata via. Dapprima pensavo bastasse una sigaretta all’ingresso - una boccata di fumo e l’aria pungente di questo ottobre così freddo.
Cazzo, non è andata così. Da farfalla doveva essere anche più facile. E invece sono bloccata. Le foglie imbrunite e purpuree dell’acero non smettano di muoversi al vento. Resto appesa al tronco e mi vedo già bella che morta. Magari trafitta da uno spillone a completare la collezione di qualcuno. Cazzo, dovrei muovermi, volare via.
I tre motori che spingono la volontà li conosco bene: usare l’intelligenza, essere curiose e succhiare energia positiva da ogni dove. Con la mia bocca non ho mai avuto problemi a procurarmi sempre quello che mi serviva. Oggi però è diverso. Tiro fuori la lingua scura. Lunghissima, come ogni spirotromba che si rispetti. Non trovo niente da succhiare su questo acero senza memoria. Solo un fottuto freddo che mi soffia addosso. Ogni istante che passa, dimentico chi sono. Mi vedo già come una serie di orme stanche disperse tra la neve. Giaccone pesante. Un’altra maledetta fuga nel non senso. Un assurdo bisogno di chiudere la porta alle spalle. Senza nessuna meta. Come potrei averla? Lui ha cominciato a urlare un’altra volta. A rinfacciare che gli ho rovinato la vita. Solo perché abbiamo fatto un figlio insieme. Gli ho dato il nome Nicola, quello di suo padre. Non è servito a niente. Nicola adesso è un continuo farsi trascinare per mano; ha sei anni, non la smette di piagnucolare.
- Mamma, dove andiamo?
Che ne so! Ti importa davvero? Così vorrei dirgli ma mi mordo il labbro e cerco di sorridergli guardandolo con occhi freddi per cercare la sua ubbidienza. Devo convincerlo ad andare avanti in fretta. Prima che il pallido sole vada giù e il freddo torni eccessivo. Prima che all’imbrunire torni lui. Se mi vede fuori in strada, cercherà di picchiarmi ancora.
Tra la neve candida, vedo già la serpentina nera della strada. Qualcuno passerà. Sì, chiederò un passaggio fino in paese. Vado alla stazione, prendo un treno e torno dai miei. Chissà che faccia faranno quando mi vedranno. Mio padre andrà giù con i rimbrotti – te l’avevo detto! – e mia madre vorrà vedermi l’occhio nero alla luce chiara della lampada dell’ingresso. Ecco, non ho paura di affrontarli dopo sei anni di vita con lui.
– Mamma, ho freddo.
Faccio spallucce, sospiro e cerco di fargli coraggio. Sento freddo anch’io. La mia vita è un continuo fuggire. Sei anni fa dalla casa dei miei e dalle loro idee piccole. Oggi da lui.
Finalmente arriviamo all’angolo della strada. Il freddo comincio a sentirlo anch’io. Faccio sedere Nicola su una lastra di pietra, di quelle che indicano le distanze. Venti chilometri per il paese, troppi da fare a piedi.
Nicola non smette di battere i denti, nonostante la doppia maglia di lana e il cappotto con cappuccio spesso di pelo sintetico - una cortesia di Anna della tintoria, a suo figlio non va più.
Non potevo mettere le mani nelle tasche perché con una tenevo la valigia e con l'altra la mano di Nicola. Adesso non le sento quasi più. Mi guardo attorno. A terra c'è una pagina di giornale. Cronaca di provincia. Una tale, Vittoria Fabris ha attraversato la strada proprio quando passava un’auto. L’autista vuol far credere che sia stato un suicida. Testimoni gli darebbero ragione. Lei era un’impiegata di successo, non avrebbe senso. Getto il giornale a terra e abbraccio Nicola. E’ passata un’auto ma l’uomo non si è fermato. Avrebbe dovuto capirlo che sono nei pasticci, da sola con un bambino in mezzo al freddo. Non smette di nevicare. Sono stata incosciente ad andare via di casa. Però, se torno indietro e arrivo con lui già a casa, come mi vede urla – Greta, sei una stronza! – e comincia a pestarmi. Resto ferma al ciglio della strada. Qualcuno passerà e la prossima volta agito le braccia, lo faccio capire meglio che ho bisogno di un passaggio.
- Mamma, posso prenderla?
Nicola ha smosso con i piedi la neve alla base della pietra.
- E’ solo uno schifoso insetto.
- Dai Mamma, è una farfalla, posso tenerla?
Ali viola senza vita.
- E’ morta, vero?
- E’ il freddo, tesoro. Soltanto il freddo.
Mi guardo attorno sconsolata. Per una volta, non ho detto nessuna bugia pietosa a mio figlio.