Sgorga a tratti
Dall’orlo del petto
il grido inceppato,
il sospiro mai detto.
Profondo
Lontano
Ignoto
Celato,
si sforza tra il cupo
di un tempo passato.
Ha preso i suoi mali
Da un urlo lontano,
poi li ha conservati
creando l’arcano.
“Suprema, bellissima
Dolce
Carina”.
Non sono presenti
Se esplode la mina.
I muscoli chetan
La lenta esplosione
Del corpo malato
Tenuto in tensione.
L’amore dei cari è egoista,
ignorante,
si tengon lontani
se l’onda è vacante.
Quell’acqua grigiastra
Del lercio mio interno
S’affoga d’inferno
Mi uccide
Mi castra.
E sono normale
E sono seriosa
Conduco la vita
Nascosta,
penosa.
Poi mi apro serena alla
Normalità,
nascondo la pena
con falsa umiltà.
Afferrerei il mondo
Disgregherei il cielo
Se solo ‘sto tempo
Stendesse il suo velo
Sul fare continuo
Del tempo infinito
Il grido è inceppato,
lo sfogo è finito.
Poi torno
Calmata al mio verbo
Ordinato
E serro la strada
All'oggetto malato.
Giulia Capozzi, 8 maggio 2013