Era la nonna a mettere a pioggia la farina con dentro uova, zucchero e scorzetta di limone e noi ad impastare con le nostre manine grassocce e non visti portare in bocca pezzi di impasto per dire “quanto è buono ne rubo un altro pezzo”. Ognuno di noi poi ci dava una forma differente, a Katia piaceva a cuore, a Carmela piaceva la treccia, io sceglievo quasi sempre il cesto, mentre ai maschietti piacevano rotonde. Poi la nonna ci faceva sgombrare dalla cucina e in fila indiana andavamo a lavarci le mani e facevamo a gara a ripresentarci per primi al tavolo da cucina per vedere la nonna dare al suo impasto la forma di colomba. Pronte che erano tutte le cuddure completavamo con zuccherini colorati e argentati, mettevamo sopra loro le uova in numero dispari e il nonno le infornava una ad una. Mentre cuocevano ci disperdevamo in cortile a giocare a “mosca cieca” e quando sentivamo la nonna chiamarci significava che quelle erano già cotte. Solo alla domenica di Pasqua potevamo assaggiarle, e ci parevano sempre più buone perché eravamo stati noi ad impastare quella frolla e poi tutti i grandi a lodarci per quanto eravamo stati bravi noi bambini!