Cos'è la politica
Lezione tenuta da Walter Veltroni il 9 febbraio 2007 al Teatro Dal Verme di Milano. L'evento è stato organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e da Librerie Feltrinelli in collaborazione con Fondazione Musica per Roma.
“Arte regia”, la definiva Platone, che rilesse in questa chiave uno dei miti più celebri di tutta l’antichità greca, il mito di Prometeo. All’origine della storia dell’umanità – dice Platone – Zeus incarica due fratelli, semidei, Prometeo ed Epimeteo, di distribuire a tutte le specie viventi le “qualità” che consentano loro di sopravvivere. A questo compito provvede Epimeteo, che come spiega l’etimologia del suo nome è “colui che vede dopo”, dunque che non coglie le cose con la cura dovuta, con l’attenzione necessaria. Epimeteo distribuisce le diverse qualità, e cioè la velocità, la forza, le unghie, gli artigli, alle varie specie viventi, dimenticando però gli uomini. A quel punto, esaurita la scorta delle qualità disponibili, interviene Prometeo, che è invece “colui che vede prima”, ed è quindi saggio, avveduto. Prometeo capisce che deve evitare l’estinzione dell’umanità, che senza le qualità necessarie alla sopravvivenza sarebbe stata abbandonata a se stessa, e compie il furto sacrilego, sottrae ad Efesto e ad Atena il fuoco e il “sapere tecnico”, e li dona agli uomini, che così entrano in possesso di ciò che dovrebbe servir loro per scongiurare gli attacchi delle fiere, per sopravvivere. Ma gli uomini vivono ancora dispersi, senza aggregarsi tra loro. E così restano vulnerabili, continuano a subire aggressioni, e muoiono. Questo accade, continua Platone, perché essi non posseggono ancora l’arte politica, politiké techne. Occorre a questo punto – così si conclude il mito – un intervento straordinario di Zeus, che dona agli uomini pudore e giustizia, consentendo loro di riunirsi e di fondare città, dalle quali scaturisce l’esercizio dell’arte politica.
Ecco dunque la polis, che per i greci è uno spazio sicuro, ordinato e calmo, dove gli uomini possono dedicarsi alla ricerca della felicità. Il politico è colui che si prende cura di questo spazio. La politica è a servizio della felicità degli abitanti della città.
Oggi noi viviamo, invece, in una sorta di “età dell’ansia”, nella quale avevamo fatto ingresso anche prima dell’11 settembre, prima che la minaccia del terrorismo internazionale avvolgesse le nostre vite. Siamo immersi nella dimensione dell’insicurezza. E’ la “solitudine del cittadino globale” di cui parla Bauman, che descrive le persone “come i passeggeri di un aereo che si accorgono che la cabina di pilotaggio è vuota, e che la voce rassicurante del capitano era soltanto la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima”. Di qui, se vogliamo continuare in questa immagine, la ricerca esclusiva del proprio paracadute, della propria salvezza senza pensare a quella degli altri, la chiusura particolaristica, l’innalzare muri contro tutto ciò che non si conosce, che potrebbe comportare un pericolo.
E’ una politica piccola, quella che cerca facili scorciatoie, quella di chi solleticando queste paure, le debolezze delle persone, divide tutto in bianco o nero, in bene o male, in amico o nemico, dove il nemico è sempre l’estraneo.
La “bellezza” della politica, di una politica “alta”, appare quando si riesce a tenere insieme concretezza e valori, ragione e passione.
Passione e ragione, dunque. Valori e concretezza. A dare ali a una politica che per tornare a volare ha bisogno esattamente di questo: di un idealismo pragmatico.
un’idea, una politica, da sola non cammina. E che le passioni non possono, a lungo, fare a meno di argomentazioni e prove. Da una parte, dunque, nessun programma può avanzare solo perché ragionevole ed efficace. Ha bisogno di essere accompagnato da una visione, deve saper rispondere a quella domanda di senso che ogni società porta sempre con sé. Dall’altra parte, invece, passioni senza verità – in questo caso addirittura aberranti – finiscono per essere parole vuote, rischiano di essere semplice propaganda senza argomenti, e con il tempo vengono portate via dal procedere della storia.
E’ qualcosa di simile all’antica saggezza che faceva dire al profeta di Kahlil Gibran, rispondendo alla sacerdotessa che lo interrogava, che la ragione e la passione sono, per chi deve affrontare la navigazione, come il timone e la vela: senza il primo non si governerebbe la direzione, senza la seconda si rimarrebbe fermi.Abbiamo bisogno di ritrovare la passione per la politica. Di riscoprirne la bellezza, e insieme il suo essere lo strumento più alto e nobile di cui gli uomini concretamente dispongono per tracciare il loro cammino, se saranno capaci di restituirle la saggezza, il pudore e il senso di giustizia di cui parlava Platone. Abbiamo bisogno di stare con i piedi ben piantati in terra, e insieme di tornare a sognare. Anche quel che sembra impossibile, irraggiungibile. Quel che sembra utopia.
Il perché ce lo ha spiegato un grande scrittore sudamericano, attento alle cose della vita e del mondo. “Lei sta all’orizzonte”, ha scritto Eduardo Galeano. “Mi avvicino due passi, lei si allontana due passi. Cammino dieci passi, e l’orizzonte si allontana dieci passi più in là. Per molto che io cammini, mai la raggiungerò. A che serve l‘Utopia? A questo serve: a camminare.