La domenica s'incontravano sul sagrato della chiesa, alcune arrivavano insieme, altre accompagnate dal marito, portavano tutte i figli a messa. Prendevano posto tra le panche chiuse nei loro cappotti eleganti, e poi si guardavano di sottocchio fingendo concentrazione e preghiera.
Tutte sapevano di tutti, della moglie tradita dal marito, del marito tradito dalla moglie, di quella insoddisfatta e insofferente, della pentita e costretta, della scontenta e infelice. Ma tutte andavano a messa, ogni domenica, sottobraccio al marito, con la fede al dito e l'anello della promessa, perché tutte erano per tutti mogli, madri e in famiglia. Il prete diceva messa, invitava alla comunione e tutte andavano in processione a mani giunte abbassando il capo in segno di accettazione. Ritornavano al banco e s'inchinavano, chissà cosa pensavano, pregavano, e che dicevano a se stesse mentendo o dicendo il vero? Poi finiva tutto e uscivano dalla chiesa dicendosi che un pranzo da preparare le aspettava, e poi la biancheria da lavare e stirare, i compiti dei figli e la visita alla suocera. Si lasciavano in fretta perché il marito le aspettava, e quelle a braccetto del marito non si fermavano nemmeno, le altre lo capivano e tutte ritornavano nelle loro case. Chissà cosa succedeva, come trascorrevano quelle ore, cosa si dicevano il marito perfetto e la moglie ubbidiente, le finestre rimanevano chiuse, i panni si stendevano guardando in basso e casomai sollevavano gli occhi e lo sguardo incrociavano si sorridevano di circostanza.
Loro avevano la famiglia, le loro erano famiglie.
Ma i loro sguardi tutti uguali un giorno scoprirono che una donna diversa era venuta da chissà dove. Anche lei aveva figli, e poi un sorriso sincero sulle labbra, una parola serena ogni volta e niente messa alla domenica. Nessun cappotto elegante, un pranzo e una cena ogni giorno. Nessun peso da sopportare, o colpa da dover scontare. “Lei non è normale”, guardandola a distanza dicevano tra loro, “e sì perché la famiglia è la nostra, è il marito, la moglie i figli e pure un cane”. Tutto ciò che era in lei, per loro non era. Guardavano sempre con occhi distanti, il giudizio alla mano e le lingue pesanti. “Ma cos'è che lei ha e che noi non abbiamo” disse un giorno qualcuna ormai stanca a se stessa. La guardarono tutte e il timore le colse, la paura di essere minate per sempre, di quel loro andamento tutto uguale e conforme, senza gioia, né amore avevano fatto abitudine e vita, ma la vita nel tempo avevano trascurato pensando che così avrebbero rassicurato il cammino, la strada i loro e gli altrui passi. “Se sei fuori dal cerchio sei diverso per gli altri e poi rimani da solo e così non ti salvi” e di questa credenza tramandata negli anni tutte loro sapevano e perciò rimanevano in un cerchio, in un giro anche a costo di tutto pur di vivere dentro.
Ma quella donna era libera di affrontare se stessa, di sentirsi e capirsi e affermare ogni volta che la vita è una sola, la famiglia è quel nucleo che è saldo di suo e convive e condivide ogni cosa con gioia. Non esiste famiglia dove c'è un tradimento, dove manca il sorriso o si è stanchi da sempre. Non esiste a ogni costo, per salvare la faccia, o la casa e la macchina e poi piangere sempre. L'abitudine a vivere fa scordare di vivere.