Quando si parla di lei, anzi quando non si parla di lei generalmente la paura ha preso il sopravvento. Il cuore batte all'impazzata, l'angoscia stringe la gola e si vorrebbe solo non vederla mai. Magari non si vede, ma sapere che esiste e trovarsela davanti quando chi amiamo sta per lasciarci, o anche noi stiamo per lasciare quella vita che abbiamo vissuto e forse vorremmo vivere ancora o forse no, ecco quello è il momento della paura. Se ripenso al volto di chi sta per morire e a quell'ultimo respiro violento che si porta via la vita, e se ripenso a come inaccettabile è per l'occhio umano vedere un corpo senza vita al punto che ci si aspetta da un momento all'altro che quello possa muovere una mano, o magari voltare la testa o aprire gli occhi, comprendo come siamo tanto attaccati alla vita. E magari sono parole al vento quando in piena vita riusciamo a dire che tutto scorre, lasciare andare è l'atteggiamento giusto di fronte alla perdita, alla fine. In verità non siamo niente, nessuno di noi lo è ed io per prima che sto qui a scrivere mentre la morte fa parte della vita e la vita fa parte della morte.
Perché si ha paura della morte? Forse perché è la fine della vita, forse perché è indissolubilmente legata al dolore della perdita, forse perché siamo attaccati come le patelle allo scoglio e detestiamo in cuor nostro dover lasciare tutto, tutto quello che abbiamo accumulato perché è troppo bello averlo? Eppure la vita ci regala così tanto tempo che quando abbiamo tempo di vivere non ci ricordiamo del tempo che scorre e quando siamo di fronte alla fine vorremmo accumularne ancora.
Mi guardo allo specchio la mattina, e perché no il pomeriggio o la sera prima di andare a letto e scopro sempre me stessa, così come sono. Ciò che cambia è quell'involucro al quale ci attacchiamo, il nostro corpo, e quando invecchia e diventiamo relitti è lì che ci accorgiamo di quanto il tempo passa.
Le cose, sì, tutto quello che abbiamo, facciamo, crediamo e lasciamo rimane, e non ci portiamo appresso niente, non ha senso, non potrebbe avere senso. Ed ecco che mentre stiamo lì in fondo ad un letto, magari con la malattia da compagna e con la morte vicina, è chi resta ad attaccarsi a quelle nostre cose. E quelle cose sono la storia di ognuno di noi. E chi ama quella storia non può disfarsene insieme con il corpo e così chiede alla vita di lasciare almeno quelle. La morte ci guarda da vicino e dice: “abbi cura di quelle cose, così come io avrò cura di lui, di questo corpo che hai amato”.
Amo la morte perché dà pace, e la vita perché dà la gioia. E amo entrambe perché si assomigliano, perché ci ricordano ogni istante che ogni cosa è un dono, perché ci ricordano che nulla è attaccamento, e nella libertà di essere troviamo, tutti, il niente.
Adesso è spuntato il sole, svegliati uomo, dice col suo calore e la sua luce, ogni momento è quello giusto. Nulla si ferma, nemmeno un corpo senza vita, nemmeno una vita senza corpo. Tutto cambia.
E allora, morte mia, compagna dei giorni senza giorno, comprendo adesso cosa vuol dire “vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo”, e mai come adesso vivo così.
Oh morte mia, nei tuoi occhi i miei occhi si perdono e lasciarsi andare è quanto di più dolce possa accadere. Sei quella pioggia sottile che si posa sulle cose, sei quel venticello leggero che soffia alla mattina e quel raggio di sole dopo una settimana di nuvole. Sei nella vita e della vita sei ogni cosa, in quella inevitabile fine che rende ogni cosa eterna.