Cos'è la scuola? Quella che ho conosciuto non è una scuola, è un purgatorio, è un luogo dove non ci sono alunni e professori, ma solo vittime, vittime della società, del sistema, dell'obbligo. La mattina, ogni mattina, quegli adolescenti, gli stessi che spesso sono “senza” famiglia, bocciati già dalla vita, perdenti senza aver neanche combattuto, come anime costrette a scontare tre anni di vita, in obbligo di istruzione, quegli adolescenti entrano in purgatorio, alle loro spalle si chiudono i cancelli, il suono di una campana scandisce la loro permanenza all'interno di un luogo in cui regna l'ozio, dove non ci sono stimoli, dove non c'è interesse, dove le pareti trasudano muffa. I colori hanno ceduto il posto alle parole nere, le sedie e i banchi sgangherati risultano ostili e gli appendiabiti sono inesistenti, e cartelloni, disegni e carte geografiche lì, appesi, muti chissà da quanti anni.
Tutto grida, ogni mattina, per tutto il giorno e in ogni dove riecheggia l'urlo di disperazione, la voglia di evasione e la ricerca di qualcosa oltre ogni limite, da qualunque altra parte e soprattutto fuori di là. E' il grido dell'adolescente che si muove impazzito tra i banchi come un animale in gabbia, che chiede aiuto ridendo come un ossesso in faccia a chiunque, che cerca il suo ruolo offendendo con le parole e i gesti e dando pugni chiusi contro armadi e porte. Il suo cuore sanguina e le sue lacrime scorrono invisibili mentre mostra il suo disprezzo.
La mattina, ogni mattina l'insegnante si sveglia al nuovo giorno, si veste di coraggio, varca la soglia della scuola e sconta anch'egli la sua condizione di precario quando un collega titolare gli dice in faccia che è solo un supplente, sconta la condizione di titolare quando il preside gli dice che l'anno prossimo perderà tutta la cattedra e sarà dunque un perdente posto a seguito dei tagli fatti alla scuola, sconta la sua condizione di lavoratore costretto ad un ruolo privato ormai di ogni senso e dignità. Si veste di insegnante un insegnante, ma sa già che non insegna più ormai da tanto tempo, cioè da quando la scuola non è più parte integrante della società, da quando la scuola è stata sostituita da altri interessi senza interesse, in cui non è richiesto lo sforzo di pensare, ma solo d'essere uno spettatore passivo in una realtà fatta di immagine.
Ogni mattina dunque, insegnanti non insegnanti e alunni non alunni si guardano gridando ognuno il loro dolore e sforzandosi di sopravvivere.
Oggi la scuola ridotta ad un moncherino, privata ormai quasi di tutto, costretta a prostituirsi per ricavare fondi, sta in piedi barcollando, gli alunni brancolano annientati dal vuoto che li opprime e gli insegnanti costretti a sbranare quell'unico osso divisibile fra tanti e come cani famelici si aggirano per i corridoi con gli occhi sgranati, le labbra secche, senza più nessun ideale né desiderio, attendendo solo che quell'unica campana finalmente scandisca la fine dell'incubo che ogni giorno si è costretti a vivere e subire.
E' questa la scuola del sud, è questa scuola?
Lacrime, mie calde lacrime accompagnano come ad un corteo funebre tutti i miei ricordi di studentessa, e con esse la “mia” scuola, il profumo delle classi, i compagni, gli insegnanti, una vita intera fatta di libri, ideali, libertà.
Tutto ormai è cruda realtà, è triste storia.