Autore Topic: Il senso della vita  (Letto 551 volte)

Leon8oo3

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Il senso della vita
« il: Luglio 13, 2012, 18:12:34 »
Era estate. Una mattina calda di estate di quelle che tagliano le gambe appena ti svegli: che ti dicono "oggi stai a casa, non fare nulla, vai al mare, non ti muovere". Solo che io, in quella calda mattina di estate, mi dovevo muovere e pure molto. Dovevo andare a Roma con il treno, un treno che sarebbe stato caldo e,nonostante l'estate, affollato. Perché le persone non possono ascoltare la voce delle stagioni il più delle volte. Non possono percorre i cammini più comodi e consigliati e quindi, capita non di rado, che debbano andare tutti insieme, contro la corrente del tempo e dei desideri e remare, con grande fatica verso una meta irta di piccoli, grandi ostacoli. Era estate come dicevo e faceva caldo, ma non bastava. Carica come ero da borse e borsine, mi rammaricavo delle mie scarse forze, già rimaneggiate dal caldo, dal sonno e la nostalgia di desideri lontani. Desideri che tremolavano come le immagini sulla strada calda e mi portavano con la mente in una spiaggia tranquilla e l'ombra sugli occhi. E invece, lenta e carica di valige, mi incamminavo verso la stazione. La nostra stazione è una piccola macchia di cemento e pietra in un orizzonte di alberi stanchi e di prati bruciati dal sole. Guardando attraverso le colonne si vedono i treni che vanno e vengono come muli rassegnati e prossimi al tracollo fisico e morale. Quando il vento ti sfiora, porta con sé i suoni della stazione che si risveglia per pochi attimi di frenesia e poi si riassopisce come un drago sazio dopo essersi divorato l'ennesimo cavaliere. Il rombo della gente che dilaga brevemente avanti e indietro, il suono dei "cavalli di ferro" e la voce metallica e svogliata del controllo della stazione che per lo più annuncia ritardi, arrivi e partenze. Ma sopratutto ritardi. Mentre carica di borse e scarica di voglia mi incamminavo verso la stazione non potevo fare a meno di provare a distrarmi con grandi pensieri: "allora è questo il senso della vita-pensai-un faticare ossequioso e riverente per raggiungere modesti scopi". Mi passò di fianco una grossa macchina scura, una di quelle così grandi da sembrare camper in gita con i vetri oscurati e la voglia, celata dal para-vacche anteriore cromato, di fare a pezzi proprio una mucca, ma con eleganza tutta urbana. In pochi istanti -questa è una storia di pochi istanti- l'auto raggiunse la stazione e una ragazzina, più o meno della mia età, elegante e rapida, scomparve all'interno di essa con una piccola valigetta al suo seguito. "Il senso della vita-sentenziai mentre osservavo arsa d'invidia la facilità dei gesti di quella ragazza- è un continuo confronto, dove alcuni partono vincitori e altri forse potranno arrendersi senza annegare nel disonore". Troppo pessimista lo so, ma sotto il sole di luglio, feroce come due soli d'agosto, carica e scoraggiata dalla lunga distanza finisce che non ci riconosce più. Ecco allora che nel cercare di riprendermi da questo pessimismo cosmico dove io ero relegata sempre nel peggiore dei mondi possibili, la mano del vento si muove commossa verso di me, insinuandosi nelle maniche e scomponendo con leggiadria i capelli, placido, come una benedizione. Lo si sentiva proprio dove ce n'era bisogno, nella schiena, nelle gambe, bel collo umido di stanchezza. Una fredda e salvifica carezza. Assaporo quel dolce brivido e penso "il senso della vita è fatica, ma anche gioia". mentre lo penso ecco che insieme al grazioso vento mi sovviene la sgradevole voce gracchiante dell'altoparlante della stazione: "il treno per Roma delle 9:26 è in arrivo sul binario uno". Si ripeteva un paio di volte, ma io non sentivo perché stavo tutta in sollievo per il regalo di Eolo. Poi mi rendo conto. Il mio treno, misteriosamente e malauguratamente in orario, si avvicinava minacciando di andarsene senza di me. Non uno né cinque minuti di ritardo. Manco fosse un treno svizzero si presentava proprio dove doveva essere nel momento in cui doveva arrivare e io invece ero come un normale treno italiano: in ritardo e sfiancato. Il fragore dei vagoni che scivolano stridendo sui binari, la gente che si avvicinava, le ruote delle valige che si spostano tutte insieme, il risveglio della bestia dormiente e io, sono lontana. Troppo lontana per arrivare. "il senso della vita- incido queste frasi nella coda di un pensiero rapido- è non arrivare" e con questa sentenza nella mente cominciai a correre. Nonostante il caldo, nonostante il desiderio di resa, nonostante il treno fosse già fermo e stesse accogliendo gli altri viaggiatori e io non potessi arrivare in nessuno caso. Ma la mia ormai era una corsa calda, di quelle che non si fermano se no bruci, di quelle che i polmoni sembrano di vetro e tagliano ad ogni respiro, che le gambe sembrano scrollarsi di dosso il peso del mondo, e correvo, con la spalla che implorava pietà martoriata dal rimbalzo della borsa, simile ad un sadico torturatore. Uno scatto lungo, tortuoso che annullava il pensiero e che continuava nonostante il treno avesse ripreso la sua marcia e scorresse davanti ai miei occhi pigramente ma inesorabilmente. Supero la stazione schivando i passanti, saltando ostacoli con le gambe che ormai si sono adattate al passo, reattive, dinamiche come quelle di una cacciatrice; una cacciatrice di treni in corsa, una cacciatrice di draghi stridenti e troppo puntuali per essere afferrati. E quello, il treno, se ne va, scorre finestra dopo finestra, porta dopo porta davanti ai miei occhi. Ormai ha preso velocità, non lo recupero più. Il suono di aria e metallo che sentenzia la chiusura delle porte automatiche pone fine alle mie speranze, e anche l'ultimo vagone, sta per scorrermi davanti. Un miracolo, uno di quelli che capitano a volte e che sentenziano drammi e fortune. L'ultima porta è aperta, guasta e tentennate accenna a chiudersi ma rimane bloccata. Io salto pensando a come poteva finire in quel momento: come potevo finire sui giornali come una incosciente che salta sui treni in corsa e finisce spalmata come la marmellata su una fetta di pane nel cemento ruvido e scontroso, caduta nel mio sciocco assalto, mica in guerra. Invece salto in quel momento, in una porta che non doveva essere aperta, in un treno che ormai era partito non più disponibile ad accogliermi. Lo assalto letteralmente contro la sua volontà e mi trovo sul pavimento del treno,da sola, con un sorriso arcigno e predatorio sul volto. "Il senso della vita è lavorare per ciò che non potresti ottenere e sperare che una porta resti miracolosamente aperta". E il treno si infilo dentro un orizzonte caldo e rarefatto, di un mattino d'estate.
"(...)in quale notte, delirante, malaticcia. Da quali enromi Golia fui concepito, così grande e così inutile".

presenza

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Re:Il senso della vita
« Risposta #1 il: Luglio 13, 2012, 22:37:30 »
Leggendolo ho percepito il senso della corsa verso il... "senso della vita".