Qualche peschereccio e povere barche galleggiavano nel piccolo porticciolo dell’isola che stavo abbandonando per sempre. Il bagliore dell’alba ripeteva ancora una volta il suo rituale solenne aprendo il suo sipario.
Ero salito sull’imbarcazione che mi avrebbe consegnato al mondo, deciso a non voltarmi indietro, ma la mia resistenza fu vana e porsi l’ultimo doveroso saluto alla mia terra di origine come ad una madre che sta perdendo il suo unico figliolo.
Gli anni che avevo passato volontariamente in quel posto mi erano sembrati un giusto recupero dei giorni rubatimi ingiustamente ma non ancora perduti. La mia libertà mi veniva resa, adesso potevo partire senza rimpianti.
Ero a mezzo miglio dalla costa e alle mie spalle il sole mi regalava uno scorcio dei luoghi a me tanto cari che lentamente si svegliavano per vivere un nuovo giorno con rinnovata freschezza come se fosse il primo e non l’ultimo di infiniti giorni trascorsi.
Ora la crescente luce mi permetteva di distinguere chiaramente la torre est e fu inevitabile che scorgessi quelle piccole ombre immobili che da sempre la ornavano.
Sapevo che erano tutti lì ad accogliere il loro preziosissimo nuovo giorno e volli illudermi che questo mio fuori programma li avesse distolti.
La sola idea che ciò stesse accadendo veramente, anche per un solo attimo, mi donò una immensa felicità.
Anch’io appartenevo all’isola. Per sempre.
Mi girai con forza e rabbia verso il sole fissandolo con sfida perché abbagliasse la mia vista e giustificasse il mio viso mentre si bagnava.