Il ragazzo alla reception con il suo inglese stentato, quasi quanto il mio, si scusava in un modo buffo e goffo perchè per quella notte la camera con bagno che avevo prenotato non era disponibile, un guasto alla doccia la rendeva inagibile, mi assicurava che per la mattina seguente avrei avuto la mia stanza, era leggermente arrossito e indicava su un foglio spiegazzato scritto in velocità lo sconto che mi avrebbe praticato per l'increscioso inconveniente, io, talmente inebriata dall'odore di quella nuova città, non provai il minimo turbamento alla notizia e lo rincuorai con una serie di gentili "no problem", lui, rasserenato, mi porse con uno sfavillante sorriso le chiavi della stanza, la numero 11.
La stretta scala a chiocciola in pietra, lastricata da una passatoia rossa a fantasia arabeggiante era la mia unica possibilità di arrivarci, così, trascinando la mia pesante valigia la salii, alla terza rampa mi accorsi, con disperazione, che erano passate sole tre stanze e la numero 11 era ancora ben lontana, ansimando e sudando arrivai a destinazione, con qualche difficoltà riuscii ad aprire la porta ed entrai, quella piccola stanza con un vago sapore bohemien mi avrebbe ospitata per alcuni giorni, posai la valigia e d’istinto mi stesi sul letto, pochi minuti per riprendermi e poi sarei andata:
Parigi mi aspettava.