Autore Topic: Io, nel Salento - II Parte  (Letto 486 volte)

Faber

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Io, nel Salento - II Parte
« il: Maggio 31, 2012, 13:56:58 »
II Parte
1.   Le indagini

Avevo bisogno di acquisire notizie fresche sul campo d’azione.
Per cui scelsi di cominciare dalla zona del porticciolo di Gallipoli, magari fingendomi un turista desideroso di fare un’escursione nottetempo, con una imbarcazione che avrei preso a noleggio.

Mi indicarono un piccolo bar del porto, dove avrei potuto incontrare qualche proprietario di barche disposto a noleggiarmi la propria.
Il tipo che avvicinai era il classico uomo di mare: non molto alto, di carnagione scura e la pelle incartapecorita dal molto tempo trascorso al sole e al contatto con l’aria salmastra.
Il suo dialetto, per alcune parole, espressioni e modi di dire, mi ricordava quello siracusano, a me più familiare in virtù delle mie origini.
Concordai il noleggio di una piccola imbarcazione a motore, con la quale quella stessa notte intendevo uscire, dopo essere stato assicurato sulle buone condizioni meteo del mare.

Il mio fiuto, tuttavia, mi spingeva ad osservare la zona del porto ed i suoi abitanti.
Cominciai il mio giro fingendo di essere uno dei tanti turisti che visitano la città, scattando fotografie e chiedendo, a caso, informazioni sul luogo.

Poi, fui attirato dal movimento di uomini e materiale di vario genere nei pressi di una pescheria, molto vicina ad una delle banchine del porto. Giudicai i loro movimenti sin troppo veloci per dei pescatori che, normalmente, mettono in bella vista il loro pescato, allo scopo di venderlo.
Qui, invece, le cassette venivano sbarcate e immediatamente caricate su di un camion e sin qui si potrebbe pensare che fosse una normale procedura per il trasferimento del pescato al più vicino mercato di Lecce o Bari. Oppure per il trasporto sino agli aeroporti di Brindisi o Bari, per destinazioni più a nord.
Tranne che per un particolare: il camion non aveva una cella frigorifera!
Attento a non attirare l’attenzione su di me, scattai diverse fotografie che riprendevano il camion e gli individui che si aggiravano intorno.
Il materiale, quella sera stessa, lo avrei trasmesso al mio centro operativo, dove sarebbe stato studiato opportunamente dagli analisti.
La mia permanenza in quella zona era durata troppo a lungo e quindi decisi di spostarmi nella parte opposta del borgo antico.
Ne approfittai per pranzare in uno dei tanti localini che sorgono quasi in riva al mare.
Trattorie senza molte pretese, dove ti può capitare di mangiare nei piatti e bicchieri di plastica, bevendo del buon Negroamaro e chiacchierando liberamente con gli operai ed i pescatori locali. Gomito a gomito, come se fossi uno di loro, da sempre.
La condizione ideale per ogni investigatore. Ne colsi immediatamente l’opportunità, chiacchierando con loro, fingendomi un siracusano in gita e, per farli sentire ancor più vicini a me, parlai nel dialetto siciliano, come potei e facendo appello a tutti i miei ricordi di bambino in casa dei nonni materni.


2.   L’esplorazione notturna nel mare gallipolino

Quella notte mi sentivo un po’ come il “Capitano Ackab”, ma, diversamente da lui, non comandavo una baleniera e non avevo ufficiali o uomini della ciurma da dirigere nelle operazioni che precedono la presa della marea e del vento, che spingono una nave al largo.
Io, invece, avevo un motore ed una piccola imbarcazione da diporto, per spingermi poche miglia marine al largo.
“Presi il mare” alle 02.00 dirigendo la prua a nord, verso Rivabella, Lido delle Conchiglie, su fino a Santa Maria al Bagno e ancora più a nord-nord ovest sino al Parco marino di Torre Squillace, poco prima di Porto Cesareo, la meta balneare estiva dei leccesi.
Mentre proseguivo lungo la costa, osservavo con il mio visore notturno le spiagge e le numerose abitazioni che sorgono al limite delle stesse.
Non notai nulla di particolare né, tantomeno, la presenza di imbarcazioni sospette.
Feci un rapido resoconto al mio capocellula, usando il telefono satellitare, che peraltro mi aiutava con il Gps a fare la posizione della mia piccola, ma veloce, imbarcazione.
Per quella notte, potevo dirmi soddisfatto. Avevo navigato per più di due ore nella direzione di Porto Cesareo ed ora era giunto il momento di far ritorno.
Puntai la prua in direzione sud, avendo di fronte l’isola di S.Andrea, punta estrema che delimita, a sud, la baia di Gallipoli ed il suo faro.
Tornai nel porticciolo, come un pescatore. Ma stavolta, non avevo pescato nulla. Per questa volta…!
Il lavoro di un investigatore non è mai semplice. Richiede costanza, pazienza, spirito di osservazione ed una certa dose di autoironia.
Per cui, proprio come il comandante di un peschereccio d’altura, che non ha pescato nulla nella notte, sapevo che presto o tardi, avrei incontrato i banchi di pesce, che sarebbero caduti nella mia rete.
Quella rete che stavo preparando pazientemente. Alla quale non sarebbero sfuggiti, questa volta…!

3.   Mario, l’agente incognito

Dopo qualche ora di riposo, mi spostai in macchina a sud di Gallipoli e seguendo la statale 274, in direzione di S.Maria di Leuca, raggiunsi Racale, piccolo borgo contadino dell’entroterra, dove mi sarei dovuto incontrare con un agente operante sotto copertura.
Mario, così si faceva chiamare, indagava sotto mentite spoglie da alcuni anni tra le province di Lecce e Brindisi. Conosceva assai bene alcuni esponenti della “sacra corona unita” brindisina, che controllavano efficacemente il mercato interprovinciale della droga. Le informative di Mario, attraverso la Direzione Centrale dei Servizi Antidroga, erano state “girate” alla mia sezione operativa di Reggio Calabria, in forza di alcuni contatti (già verificati peraltro) tenuti con alcuni esponenti delle famiglie della “ndrangheta reggina”.
Tutti noi eravamo d’accordo nel sospettare che stessero per mettere in atto piani che avrebbero consentito il traffico di armi ed esplosivi, necessari alle “famiglie” calabresi in relazione ad alcune azioni dimostrative ed allo scopo intimidatorio, che avevano in animo di realizzare, nei confronti di alcuni magistrati ed alti funzionari di polizia, giudicati “troppo efficaci” e fastidiosi per i loro affari.
Ci sedemmo in un bar del paese e, fingendoci due vecchi amici del nord che si ritrovavano per un saluto e per una gita in zona, mi trasmise il suo rapporto, corredato di fotografie e filmati, su di una pennetta, di quelle che comunemente si usano con i computer.
Un paio d’ore più tardi ci congedammo, con l’accordo che l’avrei richiamato nel caso fosse scattata l’operazione per il sequestro del materiale (armi ed esplosivi) stoccato in un magazzino alla periferia di Ugento, distante pochi chilometri da Racale, in direzione di S.Maria di Leuca.
Rammentai a Mario l’assoluta riservatezza della mia presenza sul territorio. Per il momento non doveva essere svelata, neanche agli ufficiali e funzionari di polizia, presenti nella provincia.

Da tempo, infatti, era nota alla Direzione Centrale di Roma la fuga di notizie ed il sospetto di una cellula operante “al di fuori del sistema”. Si doveva indagare, perciò, anche in questo senso allo scopo di neutralizzare “l’infedele”.

4.   La rete

Tornai a Corigliano d’O. in attesa di riprendere le mie osservazioni che, per quella notte, avrei svolto nella periferia di Ugento, là dove Mario aveva individuato il capannone dove erano state depositate armi e munizioni, presumibilmente destinate alle “famiglie” del reggino.
Dovevo comunque mettermi in contatto con il mio capocellula, per fargli rapporto e concordare l’operazione che, con l’aiuto di altri agenti operativi provenienti da Reggio C., avrebbe scritto la parola “fine” su questo triste piano con evidenti fini sovversivi dell’ordine e la sicurezza pubblica.
Usai il telefono satellitare che, attraverso un codice cripto (un algoritmo di 7 cifre dinamico) garantiva l’assoluta sicurezza della comunicazione.
Il mio “Capo” mi ordinò di segnare il passo, limitandomi ad osservare i movimenti presso il capannone in località Ugento e, successivamente, l’eventuale presenza di imbarcazioni medie e grandi (in particolare i motoscafi veloci, quelli usati dai contrabbandieri) davanti la costa tra Torre Suda e Torre S.Giovanni, dove si sospettava che avvenissero gli sbarchi delle casse di armi, esplosivi e munizioni.
Fu proprio allora che, inaspettatamente, Mario mi chiamò: voleva accompagnarmi nella missione esplorativa nella periferia di Ugento.
Consumata velocemente la cena, che oserei definire “francescana” senza timore di sembrare esagerato, mi misi in viaggio. Superai Maglie, Cutrofiano, Casarano e all’altezza di Taurisano puntai decisamente sulla periferia di Ugento. Un lungo giro per depistare chiunque si fosse messo in testa di seguirmi.

L’appuntamento con Mario era nella contrada S.Giorgio.
Vi arrivai, percorrendo una stradina a fari spenti e guidato dal mio visore notturno, oltre che da una splendida luna piena, fatta più per un incontro d’amore che per un’operazione di polizia.
Mario mi lampeggiò tre volte, come concordato al telefono.
Scendemmo dalle nostre macchine, ci appostammo dietro un muretto a secco, basso, di quelli fatti con le pietre, tanto comuni nel Salento, come anche nelle campagne della Sicilia della provincia siracusana e ragusana.
Ci apprestavamo ad aspettare con pazienza le nostre prede.
Come lupi che cacciano in branco, seguono l’odore delle loro prede e fiutano l’aria…in attesa della caccia.
Così eravamo noi due, in quelle ore d’attesa. Quando ti scorrono davanti agli occhi le immagini della tua vita e dei tuoi trascorsi. Quando hai tempo per pensare… troppo.
Non vi furono né parole né discorsi… non erano necessarie in quel momento. Ciascuno era perso nei propri pensieri e al contempo attento ai movimenti intorno al capannone.
 L’intuito, affinato negli anni di servizio e nelle molte operazioni di polizia svolte sotto copertura, ci suggeriva che stava per accadere qualcosa.
Sapevamo che stavamo facendo la cosa giusta. Che, presto o tardi, avremmo tirato la rete ed i pesci vi sarebbero rimasti, intrappolati per sempre.
Scorgemmo i fari di tre macchine, una di queste, un suv molto grande e capiente.
Scesero dalle autovetture, erano in nove ed uno di loro, azionando un telecomando, aprì il portone del capannone.
Subito quegli uomini trasferirono tre casse dal suv al capannone. Richiusero il portone e partirono velocemente. Dileguandosi nella notte salentina.
Avevamo filmato ogni cosa, ogni movimento, macchine e uomini compresi.
Ora avevamo gli elementi che cercavamo per iniziare la battuta di caccia o il momento idoneo a tirare in barca la rete. Con i pesci.
Presi congedo da Mario, dopo aver concordato con lui che gli avrei riferito al più presto gli ordini operativi che la mia sezione avrebbe impartito, di lì a poco.
Ora si trattava di predisporre la trappola, unendo le forze e chiamando in zona altri agenti provenienti da Reggio C. e da Lecce.
Oramai era solo questione di ore.


 











"Tutte le anime sono immortali. Ma le anime dei giusti sono immortali e divine" Socrate

L'uomo non può creare nessuna opera che sopravviva ad un libro