Milano Malpensa, aeroporto internazionale.
Il gruppo era formato, oltre che da me, da un ufficiale superiore, un appuntato ed un giovane allievo carabiniere.
L’appuntamento, come disposto dallo Stato Maggiore della Difesa, era presso l’aeroporto internazionale di Fiumicino a Roma.
Quando arrivammo a Roma, ci riunimmo con le delegazioni delle altre Forze Armate (Esercito, Marina e Aeronautica) e, dopo le presentazioni di rito e vari convenevoli, cominciammo a prender confidenza tra di noi. In altre parole, cominciammo lo studio reciproco, osservandoci seppur di lontano.
Il viaggio in aereo andò liscio come l’olio, il servizio a bordo (un airbus 80 dell’Alitalia) impeccabile e premuroso. Arrivammo all’aeroporto del Cairo con 20 minuti di anticipo: il vento in poppa, ci aveva spiegato il comandante dell’aeromobile, aveva aumentato la velocità di crociera.
Appena misi il naso fuori dall’aereo, fui investito da un muro d’aria caldo-umida che, sulle prime, mi tolse completamente il respiro. E poi uno strano odore nell’aria. Seguirono il trasferimento in albergo e la cena.
Dal balconcino della mia camera, potevo osservare quell’immensa città, Il Cairo, con il fiume Nilo che l’attraversa da millenni e che la caratterizza. Quanta vita, potevo intuire dal mio punto di osservazione, girava sulle sue sponde e quante luci e battelli. Il pensiero e l’immaginazione però correvano al passato e alla storia millenaria del Cairo, il Nilo e l’Egitto. Su quel fiume, erano stati trasportati enormi blocchi di roccia per la costruzione delle Piramidi, che sorgono poco distanti dalla Città. Il Nilo fonte di vita, che regolarmente allagava le terre circostanti, rendendole fertili e vitali. Il Nilo, culla della civiltà del basso e alto Egitto.
Ci trasferimmo, la mattina successiva, ad Alessandria, dove era prevista per quella sera un ricevimento presso l’Ambasciata italiana. Data l’occasione un po’ particolare, avevo preparato la mia uniforme di rappresentanza, nastrini e decorazioni comprese. Quando la mia delegazione fece ingresso nel salone dei ricevimenti, molti occhi si posarono su di noi per osservarci, forse un po’ per ammirazione e un po’ per cercar di capire chi erano fondamentalmente quei carabinieri, espressamente invitati dall’Ambasciatore italiano per l’Egitto.
Notai subito il suo sguardo. Mi stava osservando con insistenza e fece di tutto per avvicinarsi a me, con la scusa di brindare per l’occasione e all’amicizia tra i Paesi del Mediterraneo. Era una donna più grande di me, di diversi anni, ma ben portati. Fascinosa, come i suoi occhi, grandi e profondi, che ti fissavano senza timore ed in profondità. Le porsi un calice di champagne e poi un altro ancora, poiché la conversazione tra noi si faceva via via meno formale ed i sorrisi d’intesa più spontanei. Volle sapere tutto di me, della mia carriera militare e della città dalla quale provenivo: Torino. Fui prodigo di particolari, non lasciando praticamente nulla alla sua fantasia. Lei, di origine cipriota, era la moglie di un diplomatico italiano, amava moltissimo il nostro Paese e sognava di potersi stabilire un giorno a Roma. E tutto ciò che mi è rimasto di quell’incontro: una donna dal fascino coinvolgente, che mi ha saputo rapire per lo spazio di una sera. Affacciati dal balcone dell’ambasciata italiana, mentre parlavamo, potevamo guardare il porto di Alessandria.
Io fantasticavo con gli occhi della mente e immaginavo di potervi scorgere il grande faro che un tempo guidava le navi sino al suo porto. Sognavo anche di poter scorgere in lontananza la Biblioteca di Alessandria, dove un tempo erano conservate le opere e gli scritti dei poeti e dei filosofi della Grecia di Alessandro Magno e gli studi e le osservazioni dei matematici e degli astronomi di quel tempo.
Avvertivo la sua presenza attraverso il suo sguardo, che non mi lasciava. Le dissi la ragione della nostra missione: l’indomani mattina saremmo andati ad “El Alamein” (Le due Bandiere) a ricordare ed onorare i Caduti della 2^ Guerra mondiale. Quelli italiani, tedeschi, americani, inglesi e francesi. Poiché i Caduti non hanno Bandiere. Sono da Onorare, ricordando il loro estremo sacrificio.
Ascoltava le mie parole in silenzio, con un velo di tristezza sugli occhi. Lei, figlia di un’altra terra martoriata dalla guerra civile e dalle mille tensioni politiche, comprendeva e condivideva il mio pensiero.
Ci lasciammo così, senza neanche sperare di potersi incontrare nuovamente. Tuttavia sapevo bene che, nonostante l’incontro tra noi fosse stato fugace, non l’avrei dimenticata negli anni a venire. E così è stato.
Come non dimentico l’immagine del Sacrario di El Alamein, dove a “Quota 33” riposano per sempre i nostri Caduti. Quegli uomini che scelsero di sacrificare la loro vita per consentire alle nostre truppe ed a quelle tedesche, di ritirarsi verso la Libia, da dove il nostro Stato Maggiore sperava di poter riorganizzare uomini e mezzi superstiti per una controffensiva, che non ci fu.