Questo racconto l'ho scritto in occasione di un concorso in cui si doveva scrivere una novella sullo stile di Pirandello...
Identità
Il ragionier Menghini sedeva sulla polverosa poltrona del pullman di linea guardando, con una certa compassione, quel demente sorridente dell'avvocato Verri.
Un omuncolo che guarda con gioia fanciullesca ogni elemento del mondo che lo circonda, in attesa di trovare un casuale interlocutore a cui rivolgere la propria domanda.
Ma non era sempre stata questa l'immagine che l'avvocato da di sé.
Fino a poco tempo prima sarebbe stato impossibile indicare Raimondo Verri come una persona fuori dal comune.
Certo aveva le sue manie e le sue passioni, come ognuno del resto.
Egli soleva, appena finito il suo mestiere al tocco del mezzogiorno, sedersi in una panchina del parco vicino a casa osservando, senza apparente motivo, la gente che passava.
Era comunque una persona comune, attaccata al lavoro ed alla famiglia.
Alla famiglia del ragionier Menghini, perché Verri, di famiglia, non ne aveva.
Allora passava le serate con i piccoli Marco e Francesco sulle ginocchia imitando cavalli e macchine a vapore.
Al lavoro, poi, era rispettato da tutti. Era una persona che aveva intrapreso la carriera di avvocato con dedizione e impegno.
Ogni giorno, al ritorno a casa, egli sedeva sulla poltrona e, dopo essersi acceso una pipa, iniziava con le interminabili telefonate che il suo mestiere richiedeva.
Ed un giorno, tutto ad un tratto, non si presentò a lavoro e venne trovato al parco che chiedeva a chiunque incontrasse la stessa domanda:
“Chi sei?”
E quando quello gli rispondeva con il proprio nome, l'avvocato scuoteva la testa e si rivolgeva ad un'altra persona.
Da quel giorno passava le giornate in quella maniera ed anche a lavoro continuava a molestare i clienti con domande assurde.
Ramingo frequentatore del mondo che porgeva a chiunque il proprio quesito, la propria domanda.
Così come fa il saggio che sa di non sapere, anche Raimondo Verri cercava di lenire le sue lacune e la sua ignoranza cercando la risposta a quell'unico quesito.
Alla povera vedova Costantini, che era andata all'ufficio per fare domanda per la cremazione del defunto marito, le chiese se lei sapesse chi fosse il marito. E per quanto fosse indignata lo divenne ancor di più quando Verri disse che non conosceva il marito come non ne avrebbe riconosciuto le eventuali ceneri.
Oramai la gente dava per scontato che fosse impazzito.
Era evidente che qualcosa, un giorno, fosse andato storto nei meccanismi del suo cervello. Forse il caldo o forse il malocchio erano state la causa.
Un uomo dabbene come Verri non diveniva folle senza motivo, era ovvio che qualcuno che gli voleva male aveva agito contro la sua sanità mentale.
O forse una malattia alla testa. Ce ne sono tante in giro...
A prescindere da quale fu la causa ben presto Verri perse il rispetto delle persone che lo conoscevano e con cui lavorava.
Ma lui non se ne curava e continuava con la sua domanda quasi fosse stato Cristo in persona ad affidargli tale missione.
E' lecito chiedersi allora come una persona amata e rispettata sia potuto diventare quella parvenza di uomo seduta sul bus.
Ebbene ebbi modo di chiederglielo.
Come ogni giorno consegnavo il latte sotto la veranda di Raimondo quando lo vidi in giardino mentre osservava un pino secolare.
“Buongiorno Avvocato” dissi richiamando la sua attenzione sventolando il candido cappello.
“Salve, giovanotto!” mi disse con sguardo tremulo.
“Che cosa fa a quest'ora del mattino?”
“Stavo chiedendo all'albero chi fosse, ovviamente”
“E l'albero le risponde?” chiesi accigliato.
“Certo! E dice cose più interessanti della maggior parte delle persone”
“Capisco... buona giornata avvocato”.
Stavo per volgermi verso la mia camionetta quando Raimondo Verri richiamò la mia attenzione.
“Aspetti... perché non me lo chiede?”
“Cosa dovrei chiederle, avvocato?”
“Quelli che tutti vi state domandando da tempo. Nessuna domanda dovrebbe rimanere senza
risposta, eccetto una ovviamente...”
“Va bene.. perché si comporta in tale maniera? Perché non si comporta più come si addice ad un uomo del suo spessore?”
“E chi dice come uno si deve comportare? Uno che non sa neanche chi sia?”
“Cosa intende con questo?”
E mi rispose.
Mi raccontò di tutta la vicenda che gli aveva aperto gli occhi e stappato le orecchie.
Era successo che, riporto fedelmente, l'avvocato, come suo solito, dopo essersi rilassato nel parco, aveva raggiunto la sua abitazione e dopo aver acceso il tabacco della pipa aveva iniziato una delle molteplici telefonate quotidiane che era solito fare.
E' questo il giorno in cui, come Verri sostiene, l'avvocato è stato liberato. Non avrebbe avuto più i paraocchi dopo quella serata.
Si posizionò, come era solito fare, sulla scura poltrona ed alzò la cornetta del telefono.
I giri del della tastiera numerica andavano affollandosi davanti agli occhi stanchi di Raimondo.
Attese mentre il telefono irrispettoso continuava a dargli del “tu”.
“Pronto, chi è?”
L'avvocato aprì la bocca per rispondere e si rese conto di non avere la risposta.
Doveva dire: “Sono Giordano Verri” ma il nome era un fatto casuale deciso dai genitori, e, come tale, non poteva essere una risposta sicura ad una domanda precisa.
Doveva dire: “Sono l'avvocato” ma ce ne sono molti di avvocati al mondo, e comunque l'essere avvocato è una professione che era stata scelta dal lui con una scelta di percorso di studi.
E quindi, incapace di rispondere, era rimasto come un ebete a fissare il vuoto della stanza.
Un vuoto che ad un tratto non fu più vuoto.
Era pieno di possibilità, di scelte.
Era pieno di colori e di note musicali.
Era un vuoto pieno nella suo vuotezza.
Ed era uscito cavalcando una chiave di Sol navigando in un mare di note musicale.
Aveva toccato la Luna ed era andato oltre.
Si era spinto ai confini dell'infinito ed aveva guardato oltre.
E poi era tornato nella cinerea stanza.
Doveva aiutare altri a vedere le meraviglie ai confini del mondo ma, sopratutto doveva trovare la risposta alla domanda, al quesito rivelatore.
Questo era il motivo della sua follia e delle sue domande nel parco.
Questa è stata la spiegazione che è uscita tra una risata e un singulto di gioia dalla bocca dell'avvocato.
Tornai a casa convinto della pazzia di Verri.
Oramai era solo un ombra dell'uomo che avevo conosciuto.
Il tempo passa e passano le stagioni.
Io continuo con il mio mestiere e Verri con la sua missione.
Non ho più parlato con l'avvocato dopo quel giorno.
Non perché lo vedessi come folle o come pericoloso, ma sopratutto perché mi mettevano a disagio le sue domande.
Ciò nonostante continuavo a pensare e ripensare ai discorsi dell'avvocato trovandoci, ogni volta, sempre più senso.
In effetti una domanda semplice che veniva posta ogni giorno era un trabocchetto segreto in grado di far cadere una persona in un botola con l'inganno.
Quante volte, a scuola o a lavoro, una domanda semplice e ovvia aveva celato in realtà un inghippo o un inganno?
E forse proprio perché trovavo del senno nelle affermazione di Verri che non cercai più il dialogo con lui.
Non avrei più parlato con il portatore di insane verità.
O meglio, non ci avrei più parlato fino a ad un mese dopo.
Stavo passando nel parco dopo essermi attardato alla centrale del latte.
Mi ero appena avvicinato all'imponente statua equestre che dominava sul prato verdeggiante quando sento arrivare qualcuno alle mie spalle.
“Buongiorno, ragazzo” prorompe Verri con voce giuliva.
“Buongiorno avvocato, mi spiace se non mi sono fatto vedere spesso” dissi abbassando il capo lievemente.
“Non c'è bisogno di usare gli occhi per vedere una persona, sai?” Ecco uno di quei discorsi che mi mettevano a disagio.
“Beh, certo... possiamo usare i ricordi...”
“Certo... i ricordi presenti, passati e futuri”
“Come può ricordare qualcosa che ancora non è successo?”
“Tu scordi i fatti lontani mentre ciò che è avvenuto da poco te lo ricordi ancora, no?”
“Certo...”
“Come puoi allora aver già scordato qualcosa che è ancor prima di 'appena accaduto'?”
“Ma non c'è senso in queste domande!”
“Non cercare di dare un senso con i sensi... devo farti una domanda.”
“Temo di sapere già la domanda”
“Quel che mi chiedo è: sai già anche la risposta?”
“Ovviamente!”
“Allora ecco la domanda: Chi sei tu?”
Guardai fisso in quegli occhi plumbei e sorridendo risposi:
“Perché non me lo dice lei chi sono?”
“Oh, mio caro. Io non so neanche chi sono io... in effetti è la risposta che cerco da tanto tempo ma che non mi verrà data.”
“Ed allora come può pretendere che glielo dicano le altre persone?”
“Perché io ho veduto la Luna e i satelliti che vagano senza meta attorno ai pianeti. Io sono stato nelle profondità degli oceani e nell'alto dei monti.
Ma ci sarà qualcuno che sarà stato negli avvallamenti tra i colli e sulle spiagge tra i mari e che forse avrà visto o sentito la risposta”
Così dicendo si allontanò saltellando e ridendo con le mani che battevano sui pantaloni polverosi.
Tornai in casa incapace di bloccare la smania che aveva risvegliato il mio corpo dal torpore della giornata.
Non poteva quel vecchietto avere ragione se il resto della società lo considerava folle.
Ed anche ciò che diceva rasentava la follia, anche se basi di verità affioravano dalle risate e dai modi sereni dell'uomo.
E che scopo aveva intraprendere un viaggio ed una ricerca se si fosse rivelata un altro Santo Graal?
Non mi sarei fatto coinvolgere nella pazzia dilagante di quell'uomo.
Non avrei più cercato il colloquio con quel folle.
Così pensando mi volsi verso lo specchio e guardai la mia immagine riflessa.
Ed ecco la domanda.
“Chi sono io, uomo o riflesso?”
Ero la fonte di quel riflesso che mi guardava o lui era l'uomo ed io l'immagine riflessa.
E ad un tratto non fui più bloccato dalle mura di cemento ma volsi lo sguardo verso il Sole che si avvicinava sempre più.
Ne ero certo: il Sole sapeva chi fosse.
Così come ogni singola goccia che cade nel ruscello con tonfo delicato.
Così la pallida Luna che vince la timidezza solo al calar del sole e si mostra per ciò che è in realtà.
Ora sapevo ciò che quell'illuminato andava cercato.
Non i soldi, non la fortuna ma la risposta.
Mi voltai e vidi una persona nello specchio.
Un imitatore menzognero che è convinto di avere la risposta
Sorridendo gli chiesi: “Chi sei Tu?”
Neanche lui conosceva la risposta.
Io non ho le risposte alle domande della Terra.
Io non cerco la fama ne la saggezza.
Io cerco la risposta al quesito.
Così volle che fosse scritto sulla lapide che sovrasta la fossa.
Mi ha lasciato tutto ciò che aveva.
Mi ha lasciato ciò che più mi premeva.
Ha lasciato nelle mie mani la ricerca delle risposta.
Una risposta a mille domande. Mille domande per una risposta.
Dove la potrò trovare? Un altro quesito ma di minor valore e spessore che mi preme nella testa.
E passo le giornate nel parco ad ascoltare il frinire delle foglie d'acero e il tubare delle bianche colombe.
Chiunque io incontri gli porgo la domanda con una speranza sempre accesa.
E se mi prendono per folle, eretico o malato poco importa. Loro non sanno di non sapere.
E' una ricerca nella vera vita. Non una vita fatta di usi, costumi, convenzioni e regole.
Ma la vita reale. Un respiro proveniente dal primordiale.
La domanda è sempre quella e non mi importa quando arriverà la risposta.
Non ora che so quale sia la vera vita.
Il dolce passare delle stagioni scandisce il tempo passato ed il tempo futuro. Ora ricordo tutto. Tutto tranne ciò che desidero.
Desiderio che sarà realizzato.
In fondo... chi sei tu?
Andrea Presenti