Autore Topic: 031 - Pagine dal Diario di un Ragazzo felice - Carmelina  (Letto 715 volte)

victor

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015 1951 15 anni – Carmelina o Carmen

Come ho già scritto tra gli otto e i quattordici anni ho trascorso tutte le mie vacanze estive con mio nonno e con mia zia. Appena finiva la scuola mio padre e mia madre mi accompagnavano da loro e alla fine dell'estate tornavano a riprendermi.

La guerra era finita da poco ed anche se non si viveva in particolari ristrettezze economiche tutto veniva fatto in maniera attenta e misurata.

La guerra aveva danneggiato la casa in cui vivevamo in città e per prima cosa mio padre provvide alla sua sistemazione. Successivamente pensò a ricavare una casa abitabile dai locali rustici che si trovavano nella proprietà di mia madre. Questa casa ristrutturata doveva servire alla famiglia per trascorrere le vacanze estive all'aria aperta in preparazione dell'inverno da passare in città. Così dal 1951 la mia famiglia trascorreva le vacanze in questa campagna e mio padre che restava in città per lavorare veniva a trovarci ogni fine settimana.
Vicino a questo terreno c'erano diverse proprietà di parenti ed amici per cui il nostro cortile che era molto grande ed aveva una “villetta” annessa (oggi sarebbe chiamato un parco giochi) diventava il punto di raccolta e di incontro per dieci o quindici ragazzi, tutti parenti ed amici. In pratica ci riunivamo e scorazzavamo in lungo e in largo per le campagne e per il boschetto vicino. Io ero il più grande ed avevo la responsabilità di tutta quella ciurma. Il mio compito era di tenere sempre tutti riuniti insieme e non sconfinare nelle proprietà di altre persone non parenti o amici. Per il resto ci potevamo muovere in un terreno abbastanza largo (quattro o cinque chilometri). Ci divertivamo a fare di tutto di più.

Del gruppo faceva parte una ragazzina, i genitori la chiamavano Carmelina, ma noi la chiamavamo Carmen, che stava sempre attaccata a me, come la mia ombra. Mi era simpatica, anzi mi piaceva. Spesso me la portavo a cavalcioni sulle spalle, quando ci spostavamo da un posto all'altro. Una volta, avevo rallentato il passo per restare indietro rispetto agli altri e mentre camminavo le infilai una mano sotto le mutandine. La sua testa era accanto alla mia e mi disse all'orecchio “smettila sporcaccione!” Lì per lì ritirai la mano, ma dopo un poco riprovai. Mi ripeté “ti ho detto di smetterla, sporcaccione”. Risposi “non la smetto, se non ti va puoi scendere, mi porterò un'altra ragazza sulle spalle!”. Non scese e si lasciò accarezzare tranquillamente. Anche in altre occasioni si lasciava accarezzare e a me piaceva tanto accarezzarla …

Un giorno, non c'erano altri ragazzi nei dintorni e le dissi “vai da questo lato nella casetta senza porte, quella dietro l'ovile, che io ci vado da quest'altra parte. Ci vediamo là”. Dopo alcuni minuti ci incontrammo nella casetta senza porte e senza finestre, dove ci eravamo dati appuntamento. Il posto era strategico. Da dentro si poteva vedere, senza essere visti, e nel caso si avvicinasse qualcuno ci si poteva allontanare dalla parte opposta senza essere notati.

Dopo quella volta capitò spesso l’occasione, quando non c'erano altri ragazzi in giro per il cortile, di darci appuntamento nella casetta senza porte e senza finestre. Lei non disse mai di no tutte le volte che glie l'ho chiesto. Mi accontentava docilmente. I nostri giochi non erano affatto innocenti e notai che lei maneggiava il mio pisello con mani molto esperte. Un giorno le chiesi “con chi l'hai fatto prima di me?” lei serrò le labbra e non rispose. Non insistetti. Qualche giorno dopo ripetei la domanda. Anche questa volta serrò le labbra. “dai, parla, dimmelo, con chi l'hai fatto ...” insistetti e nel frattempo le mie dita scavavano dentro di lei ... “su dimmelo... non vergognarti ...” le mie dita scavavano con frenesia ... “parla ... ti prego ...”. “Con mio fratello” rispose con un filo di voce. “Ma ...” dissi “non è in seminario ... tutto l'anno?”. Suo fratello, un paio di anni più grande di me stava in seminario tutto l'anno e non tornava a casa neanche durante le vacanze. “Ogni tanto torna a casa ma solo per un paio di giorni ...”. “E giochi con lui, così come giochi con me?”. “No ... veramente ...” si interruppe, la mia mano continuava a scavare con frenesia e non si fermava... “dimmi, raccontami ...” “la notte viene nella mia stanza ... si spoglia ... mi spoglia ... e si mette nel mio letto ...”. “Dai, parla ...” “si mette addosso a me e ... entra dentro di me ...”. “Ma ... non è pericoloso ... correte dei rischi ...”. “No, si mette addosso un cappuccio di gomma ...”. La mia mano si era fermata. Non scavava più. Ci rivestimmo. Uscimmo fuori e ci mettemmo a passeggiare per la campagna. Camminavamo in silenzio, ma in verità avremmo voluto dirci tante cose ... Ogni tanto ci fermavamo uno di fronte all'altra, ma nessuno osava parlare. Durante una di queste fermate fu lei a rompere il silenzio. “Lui dice che ne ha bisogno ... è grande e non può stare senza farlo ... se non lo fa, scoppia ...”. Riprendemmo a camminare. Ci fermammo nuovamente e chiesi “a te piace?”. Abbassò gli occhi a terra e riprese a camminare. Camminammo ancora un poco in silenzio e poi tornammo a casa.

L'indomani ero imbarazzato. Non sapevo cosa pensava, come avrebbe reagito. Invece il suo comportamento fu assolutamente indifferente. Continuò ad essere la mia ombra. Per un po' di tempo non andammo più nella casetta senza porte e senza finestre. Invece facemmo più spesso passeggiate per le “rasole” (vialetti) della vigna ... Avevamo l'accortezza di passeggiare sempre in luoghi aperti dove tutti potessero tranquillamente vederci ... Qualche volta parlavamo. Il più spesso stavamo in silenzio. Mi raccontò tutto ... la prima volta avvenne mentre erano soli in casa ... le altre volte ... quando tornava a casa per qualche giorno veniva da lei tutte le notti ... i cappucci li tenevano nascosti ...

Una volta mentre passeggiavamo mi diressi verso la casetta. Lei mi seguì docile. Ritornammo a fare i nostri giochi.

Nella nostra campagna come ho detto c'era una villetta, con delle rose, delle aiuole e degli alberi. In particolare c'erano quattro cipressi. Due, affiancati, dal lato dell'ingresso e due, anch'essi affiancati, sul fondo. Sui due cipressi dal lato dell'ingresso c'era, attaccata su una trave poggiata di traverso tra i rami, un'altalena e spesso noi ragazzi giocavamo a chi andava più in alto, vincevo sempre io, che ero il più grande. Ma anche Carmen andava molto bene sull'altalena, forse era la più brava tra le ragazze. Quando andava avanti e in dietro sempre più in alto, restando in piedi sulla tavola, mostrava le gambe e le mutandine sotto la gonna, aveva delle belle gambette e gli altri ragazzini la guardavano. Io ero geloso di quegli sguardi, ma contemporaneamente ero molto contento per il fatto che lei era molto brava ad andare sull'altalena ...

P.S – Anche questo scritto era stato già pubblicato nella Sezione "Erotico". Lo ho trasferito qui affinché tutta la narrazione fosse raggruppata.

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor

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Re:031 - Pagine dal Diario di un Ragazzo felice - Carmelina
« Risposta #1 il: Marzo 01, 2012, 04:59:43 »

Post Scriptum – sabato 31 ottobre 2009

Ieri sera mia moglie mi fece una proposta “se domani andiamo a R, al cimitero? È diversi anni che non ci andiamo!” “Va bene” risposi ”se ti fa piacere...”.

Così siamo andati a R, al cimitero. Abbiamo fatto visita ai defunti antenati di mia madre che sono raccolti nella cappella di famiglia. Ad un certo punto tirò fuori la macchina fotografica e mi fece fotografare le lapidi dei miei antenati. Poi, a casa mi fece leggere alcune osservazioni che, se me le passerà le aggiungerò a queste mie note.

A pranzo siamo andati al ristorante del colonnello, un lontano parente che conosco, e lì oltre a pranzare siamo rimasti fino alle cinque a chiacchierare di parenti e conoscenti. La moglie del colonnello era una delle ragazzine che al tempo dei ricordi su menzionati faceva parte del gruppo con cui si giocava assieme. Io non la ricordo in quanto lei ha dieci anni meno di me, pertanto quando io avevo quindici anni lei ne aveva appena cinque, ma lei si ricorda perfettamente di me e di tutti quei luoghi.

Ci incamminammo sulla strada del ritorno. Ad un certo punto presi una deviazione che portava proprio nella campagna che una volta era di mia madre. In prossimità del cancello notai un cartellone con la scritta Agriturismo. “Vuoi vedere che l'hanno trasformato in un agriturismo?” dissi a mia moglie. Ci avvicinammo di più: era proprio così. Il cancello era aperto ed entrai. Rivedevo i luoghi dove avevo passato la mia infanzia. La scala che aveva costruito mio padre per dare accesso alla casa che aveva sistemato. I magazzini, la cisterna su cui salivo per montare sul cavallo dello zio e portarlo a spasso, il palmento dove si pigiava l'uva, il cancello che immetteva nel vigneto. I ricordi affioravano nella mia mente.

Scesi dalla macchina. Un signore mi venne incontro. “buonasera” dissi “vedo che c'è un agriturismo...” “buonasera” rispose. Mi presentai “C.”. Mi guardò sorpreso “Ma... non è per caso parente del dottore C.?” “Si” gli risposi “mio padre!”. “Suo padre ha venduto questa azienda a mio padre!” “si, nel 1959” confermai io. “Si, esatto, nel 1959...” “si accomodi, la prego... che piacere...”.

Mi fece vedere come era sistemato l'agriturismo, ma a me interessava rivivere i luoghi della mia infanzia. In effetti la ristrutturazione fatta aveva conservato le caratteristiche e lo stile originario. Guardavo tutto con interesse e con piacere. Gli chiesi di potere rivedere il vigneto e l'uliveto. Mi guidò. Vidi che qui, invece, le trasformazioni erano state più radicali per migliorare l'efficienza e la produzione. Le viti erano tutte a spalliera, mentre ai tempi di mio padre ne era stata sistemata solo una piccola parte in via sperimentale. Mi portò nell'uliveto. Mi disse che le piante ora erano milletrecento. Originariamente erano quattrocento.

Percorrendo il vialetto che fiancheggiava l'ovile, sulla sinistra notai la casetta senza porte né finestre. Ora però era molto più malandata ed era anche senza tetto. Vidi i rami degli ulivi che si piegavano sotto il peso del frutto, grosso e che cominciava a maturare. Mi raccontava tutte le trasformazioni e i miglioramenti che aveva attuato. Mi disse che tutta l'azienda era biologica e certificata. Non smetteva di parlare. Per fortuna stava già facendo buio per cui tornammo in casa. Mi fece gustare del vino prodotto nella sua azienda. Era ottimo. Sono sempre più convinto che questa è la migliore zona per la produzione di vino attorno all'Etna.
Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor