Autore Topic: Dal mio romanzo "La rosa nera" (seconda parte)  (Letto 1202 volte)

Steven Joseph

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Dal mio romanzo "La rosa nera" (seconda parte)
« il: Marzo 11, 2012, 14:42:09 »
Prima di farvi leggere la seconda parte, premetto che questo è un romanzo e che i topic che pubblico non sono altro che capitoli, o parti di essi. La storia è lasciata in sospeso, in quanto la vicenda si sviluppa in tutto il romanzo.
Ancora una cosa: per evitare che non capiate alcune parole, vi illustro alcuni punti.
Coravia è il nome del regno governato dal re Arthur e suo figlio Steven Zodishing. Gardenia è la capitale del regno, dove si svolge la vicenda. Unione è l'unione di stati di cui fa parte Coravia e che può essere paragonata ad un continente. Seraphine è la principessa, figlia di Arthur e Robert è il suo fidanzato, i due sono prossimi al matrimonio. Penso di avervi detto tutto. Buonma lettura :)


Il giorno seguente, il principe Steven si recò alla Grande Biblioteca del Sapere di Gardenia. La Biblioteca era la più ricca di tutta Coravia ed era meta di visitatori e studiosi da ogni parte dell’Unione. Una leggenda narra che la Biblioteca sia stata costruita ancora prima di Gardenia e che attorno ad essa sia stata edificata la città, infatti la “Fonte del Sapere”, come viene chiamata, si trova proprio nel centro di Gardenia.
La biblioteca ospita oltre novantamila volumi che andavano dagli argomenti più vari. Dai libri di cucina, a quelli di storia, da quelli sulle creature magiche a quelli sugli spiriti dell’oltretomba. Ogni libro racchiudeva in sé informazioni dettagliate sull’argomento e molte illustrazioni. Steven era nella sezione degli archivi del regno e stava cercando gli annali, dove venivano annottati i fatti più significativi accaduti a Gardenia e che erano aggiornati ogni anno. Era avvolto nel suo immenso mantello rosso e portava la corona degli Zodishing, la stessa che suo padre aveva al ballo del fidanzamento di Seraphine, solo meno appariscente di quella del re.
Steven era intento a cercare l’annale che risaliva a trent’anni prima. Finalmente lo trovò. Era molto leggero in confronto agli altri annali ed era molto impolverato. Il principe lo pulì passandogli sopra la mano. Sulla copertina verdognola era scritto “Annale dell’anno 1636”.
“E’ lui!” disse fra sé.
Lo aprì con delicatezza, sfogliò le pagine consumate dal tempo e si fermò sulla pagina del sedicesimo giorno del Mese della Luna. Il principe passò l’indice sopra alle parole, scorrendole, una ad una, in cerca di ciò che lui sperava fosse stato annotato nel Mese della Luna di trent’anni prima. Con l’altro dito accarezzava i bordi del libro rivestiti in oro. Lo faceva spesso, mentre leggeva; era, un qualcosa che faceva senza accorgersene. Il principe aggrottò la fronte. Qualcosa non quadrava.
“Non può essere!”
Steven, allora, sfogliò le pagine, andando avanti nei giorni, senza risultati. Tornò quindi al sedicesimo giorno. Lo ricontrollò velocemente in caso si fosse sbagliato. Niente. Tornò quindi nelle pagine precedenti e neanche lì trovò ciò che cercava.
“Non troverai ciò che cerchi tra quelle pagine consunte.” Disse una voce familiare e severa.
Era il re. Steven si chinò leggermente abbassando la testa, in segno di rispetto.
“E’ stato mio padre a ordinare che non venisse scritto niente sugli annali riguardo a questo!” la sua voce era rigida, abbattuta. Si vedeva che il re stava soffrendo, ma per cosa?
“Usciamo di qui, figlio mio, devo dirti una cosa che non ti farà piacere.”
Steven era troppo curioso e avrebbe preferito che il padre parlasse all’istante, ma preferì esaudire il suo desiderio e i due si diressero verso l’uscita. 
Una volta fuori dall’edificio, Steven si rivolse al re con innata curiosità.
“Che cosa è accaduto, padre?”
Il re lo guardò impassibile e Steven si fece serio.
“La rosa. E’ apparsa nuovamente.” Disse improvvisamente il re.
Bastarono queste parole a far sobbalzare il principe, che , nell’udirle, spalancò gli occhi fissando il padre.
 “D...Dove si trova?” chiese infine.
“Vieni, te la mostro.”
I due arrivarono in un campo all’immediata periferia di Gardenia.
“Eccola! E’ lì!” disse il re indicando una rosa. La stranezza di questa non stava tanto nella forma, quanto nel colore. Era nera. Di un nero intenso, quasi irreale; un nero che risaltava ancora di più l’assenza del colore e che rappresenta il vuoto e l’infinito, ma anche l’angoscia e la sofferenza.
Steven la fissò. In quella rosa vedeva un mistero, un enigma, poiché non era preoccupato per la rosa in sé, quanto per ciò che essa significava.
Il principe alzò lo sguardo e fissò il padre.
“Quindi...la Selva è tornata!” disse infine.
Il padre annuì. In quel brusco movimento del capo, il re aveva esternato i suoi più profondi rancori e le sue paure che credeva ormai sepolte per sempre nelle remote profondità del suo cuore.
“Cosa avete intenzione di fare?” esordì Steven interrompendo i suoi pensieri e riportandolo alla realtà.
“Non lo so.” Dichiarò il re con un tono di voce molto basso, sintomo, forse, di un profondo dolore che stava riemergendo, di un’antica paura che stava bussando alle porte della realtà, di un qualche terrore arcano che giaceva nel cuore del re, tormentandolo e rendendolo fragile.

Verso sera i due si ritrovarono alla Vecchia Taverna, dove , con indosso un cappuccio per non farsi riconoscere, si sedettero ad un tavolo ordinando da bere.
I due stavano parlando della rosa nera trovata quel giorno.
“Proporrei, padre, di schierare delle truppe a nord e ad est, lasciando la parte a sud alle... Padre! Mi ascoltate?” si interruppe Steven.
“Sì...Sì continua pure. Ti.. Ti ascolto.” Balbettò il padre distratto, o, forse, spaventato da ciò che sarebbe potuto accaduto da lì a qualche giorno.
Sul viso del re si potevano notare i segni indissolubili della paura, della sofferenza e del dolore che stava provando. Era spaventato, quella situazione stava diventando troppo pesante per lui e non sapeva se sarebbe riuscito a superarla.
Si rigirava tra le mani il boccale di birra mezzo vuoto, tormentato e agitato da quel senso di impotenza che lo stava imprigionando in una gabbia invisibile e impenetrabile, formata da paura e disperazione.
Steven percepiva il dolore del padre nel rievocare quel triste e macabro ricordo che era stato impresso nella sua mente allora fanciulla.
In quel momento entrarono nella taverna due volti noti: Seraphine e il suo promesso, Robert.
 Al loro ingresso tutti i presenti si inchinarono e Seraphine ricambiò a sua volta chinandosi leggermente e sorridendo.
Robert rimase impassibile e si limitò a sorridere.
Il taverniere prese un sacchetto contenente, probabilmente dei soldi e li porse alla principessa chinando il capo.
La reale lo prese e sorrise nuovamente al taverniere.
“Seraphine!” bisbigliò Steven facendole segno con la mano di avvicinarsi. Lei si diresse al tavolo del fratello seguita da Robert.
“Sono Steven!” disse abbassandosi il cappuccio.
 Seraphine si stupì ma non lo mostrò, perchè sapeva che Steven odiava essere riconosciuto quando era in un luogo pubblico per affari privati, come, ad esempio, quando era alla taverna.
“Ragazzi! Cosa fate qui?” chiese il principe.
“Affari personali!” rispose Robert. “Tu, piuttosto, cosa fai qui? Non dovresti…”
“Seraphine! Robert!” lo interruppe il re. “Devo parlarvi.”
Steven lo guardò capendo l’intenzione del padre e disapprovando in pieno.
“ Non vi ho mai rivelato questo perchè ti conoscevo, figlia mia. Ti conoscevo troppo bene.”
“Non capisco, padre! Cosa volete dire?” rispose perplessa la principessa.
“Trent’anni or sono accadde un fatto incredibile, che piegò in due Coravia.”
Allora regnava mio padre e io ero appena quindicenne.
Una setta di guerrieri che si faceva chiamare “La Selva” si era unita per opera di un... di un mostro che tutti chiamavano “Animanera”. Quella.... Quella cosa era tutto fuorché un umano. Aveva un lunga tunica con un cappuccio nero. La faccia sembrava non esistere e....”
“Padre, vado avanti io.” Lo interruppe il figlio capendo che il re stava cominciando ad agitarsi.
“Questo essere aveva radunato i migliori spadaccini del mondo che si sarebbero alleati con lui in cambio di una parte del potere che sarebbe derivato dalla loro opera.”
“Quale opera?” chiese Robert.
“La Selva fu creata per uccidere ogni membro della famiglia Zodishing. Non sappiamo perché, ma Animanera sembrava determinato a liberarsi di chiunque avesse quel cognome. Così pensò che, se avesse ceduto i territori di Coravia agli adepti,  loro lo avrebbero aiutato a sbarazzarsi degli Zodishing.”
“Quindi a lui non interessa il potere!” disse Robert.
“Esattamente!”
Seraphine rimase immobile con gli occhi umidi, data la sua fragile personalità.
“E come andò a finire?” chiese Robert.
Steven si rasserenò.
 “Per combattere La Selva si riunì un’alleanza di cinque guerrieri che avevano ricevuto in dono delle armi divine che  solo loro riuscivano a padroneggiare.
Quest’alleanza si chiamava La Compagnia degli Angeli Terrestri, non tanto per le doti straordinarie dei suoi componenti, quanto per le armi che sapevano utilizzare e che contrastarono i guerrieri della Selva.”
“Quindi questa compagnia sconfisse la Selva definitivamente?” chiese Robert incuriosito, mentre la sua promessa ascoltava ciò che il fratello non le aveva mai rivelato con uno sguardo terrorizzato e profondamente vulnerabile.
“Già! Gli Angeli Terrestri la sconfissero uccidendo gran parte dei suoi adepti. Quando Animanera venne trafitto dalla spada di un Angelo Terrestre, proferì queste indimenticabili parole prima di dissolversi come polvere: “Tornerò! Tornerò e mi vendicherò. Il mio arrivo verrà annunciato da una rosa nera. Nera come l’infinito...”
“Come la tempesta e come la notte più buia. Tra trent’anni tornerò, nell’anno del diavolo e allora ogni Zodishing morirà e Coravia cadrà.” Lo interruppe il padre continuando la frase.
“L’anno del diavolo?” chiese Robert con del terrore che si poteva percepire dalla sua voce.
“Secondo la tradizione, ripetendo tre volte il numero sei, si fa riferimento al diavolo e, perciò l’anno in corso, il 1666, è considerato l’anno del diavolo.” disse Steven.
“Dovete sapere, inoltre, che la Selva… beh…” Steven si fermò per un attimo, come se stesse raccogliendo il coraggio per dire ciò che seguiva alla sorella. “I genitori di nostro padre… vennero uccisi dalla Selva.”
Gli occhi di Seraphine si spalancarono e Robert abbassò lo sguardo. La ragazza scoppiò in un pianto fragoroso che non riuscì a trattenere.
“Nostro padre venne salvato un attimo prima da un servo che lo accudì fino a che non fu in età per governare, anche se ciò che gli era successo gli aveva lacerato l’animo, gli aveva strappato quella poca felicità presente nel suo cuore, quella stessa felicità che con il tempo aveva riacquistato e che oggi ha perduto nuovamente in un solo attimo alla vista di quel fiore malvagio. La rosa nera è riapparsa. A giorni la Selva ritornerà, più forte di prima e verrà per uccidere noi.” Seguì un attimo di silenzio che sembrava non potesse avere fine.
“Perciò è questo che mi nascondevate! I nostri avi non morirono per cause naturali, ma furono uccisi crudelmente.” disse Seraphine versando lacrime amare come la morte.
Steven annuì e poi guardò il padre, il quale non riusciva a trattenere le lacrime che gli scendevano lungo gli zigomi.
 Robert diede un occhiata alla finestra accanto a loro. In essa vide il cielo e in essa anche la libertà.
Invidiava la luna che non aveva pensieri, se non quello di risplendere nel cielo sterminato. Invidiava un uccello che non vide quella sera, ma che immaginava libero e spensierato, capace di raggiungere i posti più segreti, più nascosti e più misteriosi, capace di volare nel cielo e di scappare da ogni pericolo o preoccupazione. Loro, però, non potevano farlo, anche se lo desideravano con tutto il cuore.
I locali stavano chiudendo e le persone si ritiravano in casa, per assaporare il calore della famiglia e dell’affetto fra familiari, ignari di quel che stava per accadere, di quello che li avrebbe fatti piangere e sperare, pregare quegli Dei a cui si rivolgono quotidianamente per qualcosa di insignificante e puramente egoistico, che riguarda un loro vizio o un loro capriccio, senza chiedere loro la cosa più importante di tutte, la salute.
Il re vide che il taverniere stava per chiudere il locale e decise di andare.
“Coraggio! Andiamo! Si sta facendo buio!” disse con una voce indifferente.
Prese dalla tasca delle monete e le diede al taverniere, ma lui si inchinò leggermente per far intendere che non pretendeva denaro dal proprio re.
Il sovrano chinò la testa a sua volta e uscì insieme ai suoi figli e a Robert.
Il cielo era nero e non vi erano stelle in esso.
La luna risplendeva mostrando incontrastata la propria lucentezza in quel firmamento così scuro e cupo che non lasciava speranze alla gente, che rendeva triste chiunque osasse alzare gli occhi.
Non vi era gente in strada e non ve ne sarebbe stata fino all’indomani, quando la città si sarebbe svegliata e avrebbe ripreso a vivere.
Il re aveva la mente appannata da quel suo terrore profondo e, fino ad allora, nascosto. Quel terrore che lo percuoteva e che lo rendeva fragile e insicuro.
Da quella sera vedeva tutto come se lo facesse per l’ultima volta, come se tra poco non ci sarebbe stato più, come se tutto fosse svanito.
Avrebbe voluto dire a tutti di godere di quegli ultimi istanti di gioia che non sarebbero tornati mai più.
Steven ripensò alla rosa, la vera responsabile di tutto ciò, ma che, in realtà, non lo era affatto. Non è una sua colpa il fatto di essere spuntata in quel periodo, di essere diversa. Non è una sua colpa il fatto di anticipare l’arrivo della Selva. Non è stata lei a deciderlo e, probabilmente, non lo avrebbe voluto.
I quattro camminavano per le strade di Gardenia recandosi al castello. Era come se non avessero una meta, come se non sapessero dove andare. Non parlavano, contribuendo a formare un silenzio interrotto solo da un alito di vento leggero.
La principessa si fermò ad osservare una casa, dalla cui finestra si vedevano delle facce sorridenti e dei volti felici. Seraphine stette a guardarli per parecchio tempo, cercando di immaginarsi in quella casa con loro, a gioire dell’allegria di una famiglia felice e senza problemi. Lei una famiglia la aveva, ma non si sentiva felice perchè, da quella sera, tutto era cambiato, tutto era diventato bigio e tetro.
Ogni secondo, ogni attimo poteva essere l’ultimo della loro vita. La paura li immobilizzava e li rendeva vulnerabili.
Il terrore li stava uccidendo lentamente, mentre la luna risplendeva spensierata e luminosa nel dolce e calmo firmamento senza stelle.
Robert le mise una mano sulla spalla per chiederle di proseguire il cammino.
Seraphine diede un’ultima occhiata a quello squarcio di felicità nella notte buia e spaventosa.
La famiglia tornò al castello dove, probabilmente, avrebbe trovato maggiore conforto e sicurezza, dove si sarebbe sentita protetta e al sicuro. Difesi da quelle mura avrebbero potuto dormire beatamente, lasciando i cattivi pensieri e le malvagità al di fuori e riuscendo a trovare la pace.
Quando i reali si misero a dormire, non cercarono di trovare un rimedio a quello che stava accadendo, ma si strinsero attorno le coperte, cercando un po’ di serenità e di protezione, cercando di evadere da quella realtà che li stava uccidendo a poco a poco.
La notte si stava rivelando in tutto il suo splendore, mentre i pensieri e le paure, divoravano le menti dei reali, mentre la pace era estranea alle loro anime.
Le tenebre avevano preso il sopravvento, lasciando la gente all’oscuro di quello che il domani avrebbe riservato loro.

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera" (seconda parte)
« Risposta #1 il: Marzo 26, 2012, 15:12:24 »
Veramrnte bello, bravo!