I MAIALI
Uno dei maiali che veniva allevato nella stalla, in uno stabulario tutto per sé, era di mio nonno. Gli altri appartenevano al pecoraio ed anche ad altre persone che abitavano nelle vicinanze e lavoravano per mio nonno alle quali lui concedeva la possibilità di tenerli ed allevarli nell’ovile. Il maiale di mio nonno la sera riceveva anche lui la sua razione di siero, ma la mattina, assieme alle galline mangiava il suo pastone di crusca e durante il giorno gli avanzi del cibo della casa, gli scarti rimasti della lavorazione della frutta e della verdura e inoltre determinati ortaggi e frutti che venivano coltivati nell’orto appositamente per la sua alimentazione. Era un maiale nero dei Nebrodi. A quei tempi tutti i maiali appartenevano a questa razza. Una volta l’anno veniva macellato. Il giorno era stabilito con molto anticipo e tutta la famiglia si preparava all’evento preparando ed organizzando tutto l’occorrente sia in casa, che nel cortile grande, dove avveniva la macellazione. Di buon mattino arrivava il macellaio, con tutti i suoi attrezzi. Il maiale veniva prelevato dallo stabulario e portato nel cortile. Ricordo che un anno un maiale molto grosso riuscì a scappare più volte, prima di essere posto sul banco dove doveva essere macellato. Appena sgozzato, il sangue veniva raccolto in un recipiente e veniva fatto bere ai bambini pallidi e anemici. Mio nonno lo faceva bere ai figli delle persone che lavoravano per lui. Anche io l’ho bevuto. Non so perché, ma il ricordo della lavorazione del maiale è piuttosto vago nella mia mente. Non è così chiaro come la lavorazione del formaggio. Probabilmente perché vi ho assistito solo poche volte. La sua lavorazione in casa durava più giorni e del maiale si conservava di tutto. Le costate tagliate in parte venivano consumate in casa e in parte utilizzate per fare salciccia e salumi da conservare (tanti e di tutti i tipi). Si faceva il “capicollo”, la “sapissata”. Si faceva il lardo e la pancetta arrotolata, si conservava la cotenna, che si aggiungeva ai legumi durante la cottura, si scioglieva la sugna con la quale si riempivano delle vesciche di capra per tenerla conservata al riparo dell’aria altrimenti diventava rancida. Insomma del maiale non si sprecava nulla.
Ogni tanto si ammazzava qualche capra o qualche pecora. La cosa più strana che ricordo era il meccanismo con cui veniva scuoiata e recuperata la pelle. Una volta ucciso l’animale, ancora caldo, si infiggeva una canna all’estremità di una gamba e ci si soffiava dentro. Quest’aria immessa con forza penetrava in tutto il tessuto sottocutaneo separando la pelle dalla carne sottostante. L’animale si rigonfiava come un pallone ed alla fine veniva scuoiato.