Alla faccia del portatile ho trovato il modo di scrivere
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Guardavo con invidia il piccolo gruppo di uomini alla mia sinistra. Ordinatamente entravano, restavano per qualche manciata di secondi, ed uscivano.
La fila al bagno delle donne, invece, era interminabile. E pensare che noi ne avevamo nove, di bagni, e loro tre.
«Signurì, m tnit o cappott?» - domandò un'anziana signora ad una ragazza della mia età. Si parlava tra di noi come in attesa di chissà cosa - e in effetti raggiungere il tanto desiderato bagno era un evento - quando decisi di dire qualcosa anch'io in mezzo alla massa di sconosciute.
«Dove si può vedere Samuele?» chiesi un po' a tutte.
«E' qui, dove c'è questo gruppetto» rispose una signora.
Non so perchè mi interessasse tanto, ma arrivai al punto di lasciare il sudato posto in fila. Luisa mi seguì.
Forse mi ero incollata al resto della gente, perchè tutto ad un tratto importava a chiunque. Una folla lo investì, mentre cercavo di non perderlo e guardarlo.
Samuele alto, con i capelli biondo miele, gli occhiali dalla montatura semplice. Samuele con quegli occhi azzurri e profondi, sinceri, puliti.
Tutti gli chiedevano qualcosa, lui con garbo ne sceglieva uno, e gli rispondeva con poche semplici parole. Non poteva aver sentito le domande, troppa confusione, ma ogni persona sorrideva come se avesse risposto esattamente a ciò che aveva detto. In quello schiamazzo sentii solo «uomini veri».
Eppure la sua voce mi catturò, sembrava provenire da un'altro mondo, calma, composta, ma rassicurante e dolce.
Guardami, pensavo. Avrei voluto che i nostri occhi s'incontrassero, avrei voluto farmi leggere dentro come faceva con i fortunati più vicini.
Samuele, avrei voluto dire. Ma avevo paura di non chiedergli nulla.
Mi sentivo come un apostolo. Avrei dovuto osare, parlare, chiamare, ma non l'ho fatto. Ciò non vuol dire che non ci riproverò.