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Anch'io Scrivo narrativa! / Favola sulla luna
« il: Ottobre 30, 2017, 10:14:05 »
Era la nonna che ogni sera lo portava a letto e gli raccontava una favola finché non si addormentasse.
La cameretta del bambino aveva una gran finestra e dal letto si vedeva il cielo stellato e la luna che, da un po’, vedeva crescere oltre il vetro della finestra. Il bambino cominciava a innamorarsene di quella luna come non mai prima. Era ancora una falce quando la nonna gli raccontò che quella falce era molto affilata, e che Selene, regina della luna, ogni anno la prestava a un mietitore di suo gradimento. E il mietitore da solo riusciva con questa falce a fare il lavoro di cento mietitori.
Si addormentò presto il bambino colpito dall’immagine della falce, e nel sogno la vide luminosa tra le mani di un grande mietitore in un campo di grano alto e dorato che ondulava come un mare. Il mietitore la manovrava veloce; raccoglieva e legava grandi quantità di covoni, e quando vide il bambino, gli si avvicinò sorridente; staccò la più grassa spiga; la frantumò con le sue grosse dita e con una gran soffiata eliminò la pula, quindi gli riempì le mani a coppa di tanti chicchi di grano che erano di vero oro zecchino, brillanti al sole.
Cresceva la luna, di sera in sera, oltre il vetro della finestra, finché fu luna piena, sempre più bella, ferma e con il faccione di Marcoffio sorridente. Prima di cena al bambino venne voglia di uscire per guardare la luna da altra prospettiva e volle correre con lei cercando di raggiungerla; correva a perdifiato avvolto nel profumo delle cimici verdi calpestate senza intenzione (ce n’erano tante sulla strada sterrata), immerso in una nube di stelle e lucciole. La luna correva di lato e precedeva sempre il bambino: era irraggiungibile. Allora il bambino affannato rinunciò alla corsa e catturò alcune lucciole, e anche qualche stella, e se le strisciò in fronte e sulle guance. Raccolse anche una penna di gallina e se la fissò fra i capelli.
Era un indiano; era cavallo pazzo, e cavalcava una scopa:
“A noi, generale Custer!!”
Quando la nonna lo portò a letto, la luna era ferma di là, immobile, e la notte era limpida, ma la nonna non poté raccontargli nulla quella sera perché ansiosa alla ricerca delle chiavi perdute.
Si scusò col bambino:
“Non trovo più le mie chiavi… saranno finite sulla luna”.
“Perché?”
“ Perché tutto ciò che si perde qui e non si trova più, finisce lassù… anche il senno perduto dagli uomini se ne va sulla luna, e ogni giorno, di questi tempi, se ne va tanto”.
“Anche il mio grande cerchio di legno, quello che ho perduto è finito lassù?… e la macchinina di latta con la corda… e l’orsacchiotto di peluche?”.
“Sì, sono tutti la su!”.
Era stanco il bambino, e dopo poco tempo trascorso proteso a catturare scie luminose di stelle cadenti dal cielo, si addormentò.
Non era passato molto tempo quando udì un rumore come di zoccoli oltre la soglia della cameretta, e la porta d’un tratto fu spalancata e vi entrò un radioso cavallo alato che gli disse:
“ Sono qui per farti raggiungere la luna, e me l’ha ordinato Selene in persona, la regina; apri la finestra e saltami in groppa”.
Il bambino ubbidì e il cavallo alato si lanciò oltre la finestra volando in alto oltre le stelle in uno strabiliante viaggio verso la luna.
La terra si allontanava e diveniva una palla multicolore, bellissima, almeno quanto la luna, ma poi non si poté più vederla quando il cavallo entrò nella nebulosa. Qui la nebbia era fitta, ma non umida di goccioline di vapore come sulla terra; era, invece, formata da microscopiche particelle luminose, erano polvere di stelle che si appiccicavano addosso e rendevano i viaggiatori luminosi, come fossero fosforescenti.
Usciti dalla nebulosa, entrarono nella Via Lattea, che non è una vera via, ma un lungo, largo, e tortuoso fiume di latte dove il cavallo si dissetò abbondantemente, e anche il bambino bevve un nettare di latte fresco, dolce come mai il bambino aveva assaporato.
E poi, dopo la Via Lattea, tantissime stelle pulsanti di ogni dimensione illuminarono discretamente il cammino dei due esseri fluorescenti.
E la luna fu raggiunta, e c’era Marcoffio ad accoglierli, sorridente.
Il bambino accarezzò il faccione roseo e soffice di “Marcoffio” che doveva condurlo in visita alla luna.
Lungo vaste aree il bambino vide tutti gli oggetti perduti nella vita sulla terra e finite lassù: un enorme ammasso di oggetti, e anche mucchi impalpabili che Marcoffio descrisse: sono i sogni; la fama sognata; le preghiere inappagate; il tempo perduto; il senno rubato; un amore finito… e tutto proveniente dalla terra. Insomma era vero che tutto ciò che era perduto sulla terra finiva quassù.
E poi su una vasta radura vide i Seleniti di Münchausen; e l’esercito del re Endimione che combattevano guerre con armi di verzura: enormi carote come giavellotti e scudi fatti di teste di funghi.
I guerrieri cavalcavano insetti giganteschi e ippogrifi, e c’erano gli “erbalati”, che cavalcavano uccelli grandissimi i quali, invece che di penne erano ricoperti di foglie con ali simili a foglie di lattuga; inoltre c’erano i guerrieri “Pulciarcieri”, che cavalcavano pulci grandi ciascuna quanto dodici elefanti; e i fantaccini “corriventi”, che volavano senza ali facendosi gonfiare dal vento le loro lunghe gonnelle.
Le guerre erano incruente poiché i Seleniti sono esseri con senno e non hanno armi lesive; sono pacifici, anche se naturalmente lunatici, così che quando le discussioni si fanno più accese vanno a scontrarsi dividendosi in due eserciti: l’uno comandato da Endimione, che fu pastore di incomparabile bellezza sulla terra, e fu rapito da Selene, la regina, che lo portò sulla luna e lo nominò re; l’altro esercito era comandato dal barone di Münchausen, che sembra sia giunto sulla luna a cavallo di una palla di cannone.
Le battaglie si prolungano di solito fino a stanchezza, e i Seleniti, ritornano tranquilli e assennati nella loro città che è interamente costruita nel più grande cratere lunare, protetta dalle intemperie e sempre illuminata dal suolo di bianca luce lunare.
Ha naturalmente forma circolare, la città, ed è divisa in quattro spicchi da due lunghe strade che s’incrociano al centro. Ogni spicchio è governato da quattro sindaci diversi in gara fra loro per rendere la città sempre più bella e accogliente. Ed è compito degli uccelli “erbalati” che portano giornalmente il senno in città recuperandolo e imbrattandosene sul monte del senno perduto. Quindi volano sulla città e vi scaricano polvere di senno a beneficio dei Seleniti, che sono esseri alti e magri, sempre sorridenti su una larga dentatura bianca di luna.
Il viaggio e la visita sono stati lunghi e il bambino comincia a vacillare per il sonno. Allora Marcoffio gli fa preparare un letto soffice e caldo sul quale il bambino sprofonda nel sonno più profondo.
Dormì profondo, e quando fu sveglio, era nella sua stanza e la finestra era spalancata.
Ai piedi del letto rivide il grande cerchio perduto, la macchinina di latta a corda, l’orsacchiotto spelacchiato della sua prima infanzia, e anche le chiavi della nonna., e sul comodino c’era un piccolo sacchetto colmo di chicchi di grano in oro zecchino.
La cameretta del bambino aveva una gran finestra e dal letto si vedeva il cielo stellato e la luna che, da un po’, vedeva crescere oltre il vetro della finestra. Il bambino cominciava a innamorarsene di quella luna come non mai prima. Era ancora una falce quando la nonna gli raccontò che quella falce era molto affilata, e che Selene, regina della luna, ogni anno la prestava a un mietitore di suo gradimento. E il mietitore da solo riusciva con questa falce a fare il lavoro di cento mietitori.
Si addormentò presto il bambino colpito dall’immagine della falce, e nel sogno la vide luminosa tra le mani di un grande mietitore in un campo di grano alto e dorato che ondulava come un mare. Il mietitore la manovrava veloce; raccoglieva e legava grandi quantità di covoni, e quando vide il bambino, gli si avvicinò sorridente; staccò la più grassa spiga; la frantumò con le sue grosse dita e con una gran soffiata eliminò la pula, quindi gli riempì le mani a coppa di tanti chicchi di grano che erano di vero oro zecchino, brillanti al sole.
Cresceva la luna, di sera in sera, oltre il vetro della finestra, finché fu luna piena, sempre più bella, ferma e con il faccione di Marcoffio sorridente. Prima di cena al bambino venne voglia di uscire per guardare la luna da altra prospettiva e volle correre con lei cercando di raggiungerla; correva a perdifiato avvolto nel profumo delle cimici verdi calpestate senza intenzione (ce n’erano tante sulla strada sterrata), immerso in una nube di stelle e lucciole. La luna correva di lato e precedeva sempre il bambino: era irraggiungibile. Allora il bambino affannato rinunciò alla corsa e catturò alcune lucciole, e anche qualche stella, e se le strisciò in fronte e sulle guance. Raccolse anche una penna di gallina e se la fissò fra i capelli.
Era un indiano; era cavallo pazzo, e cavalcava una scopa:
“A noi, generale Custer!!”
Quando la nonna lo portò a letto, la luna era ferma di là, immobile, e la notte era limpida, ma la nonna non poté raccontargli nulla quella sera perché ansiosa alla ricerca delle chiavi perdute.
Si scusò col bambino:
“Non trovo più le mie chiavi… saranno finite sulla luna”.
“Perché?”
“ Perché tutto ciò che si perde qui e non si trova più, finisce lassù… anche il senno perduto dagli uomini se ne va sulla luna, e ogni giorno, di questi tempi, se ne va tanto”.
“Anche il mio grande cerchio di legno, quello che ho perduto è finito lassù?… e la macchinina di latta con la corda… e l’orsacchiotto di peluche?”.
“Sì, sono tutti la su!”.
Era stanco il bambino, e dopo poco tempo trascorso proteso a catturare scie luminose di stelle cadenti dal cielo, si addormentò.
Non era passato molto tempo quando udì un rumore come di zoccoli oltre la soglia della cameretta, e la porta d’un tratto fu spalancata e vi entrò un radioso cavallo alato che gli disse:
“ Sono qui per farti raggiungere la luna, e me l’ha ordinato Selene in persona, la regina; apri la finestra e saltami in groppa”.
Il bambino ubbidì e il cavallo alato si lanciò oltre la finestra volando in alto oltre le stelle in uno strabiliante viaggio verso la luna.
La terra si allontanava e diveniva una palla multicolore, bellissima, almeno quanto la luna, ma poi non si poté più vederla quando il cavallo entrò nella nebulosa. Qui la nebbia era fitta, ma non umida di goccioline di vapore come sulla terra; era, invece, formata da microscopiche particelle luminose, erano polvere di stelle che si appiccicavano addosso e rendevano i viaggiatori luminosi, come fossero fosforescenti.
Usciti dalla nebulosa, entrarono nella Via Lattea, che non è una vera via, ma un lungo, largo, e tortuoso fiume di latte dove il cavallo si dissetò abbondantemente, e anche il bambino bevve un nettare di latte fresco, dolce come mai il bambino aveva assaporato.
E poi, dopo la Via Lattea, tantissime stelle pulsanti di ogni dimensione illuminarono discretamente il cammino dei due esseri fluorescenti.
E la luna fu raggiunta, e c’era Marcoffio ad accoglierli, sorridente.
Il bambino accarezzò il faccione roseo e soffice di “Marcoffio” che doveva condurlo in visita alla luna.
Lungo vaste aree il bambino vide tutti gli oggetti perduti nella vita sulla terra e finite lassù: un enorme ammasso di oggetti, e anche mucchi impalpabili che Marcoffio descrisse: sono i sogni; la fama sognata; le preghiere inappagate; il tempo perduto; il senno rubato; un amore finito… e tutto proveniente dalla terra. Insomma era vero che tutto ciò che era perduto sulla terra finiva quassù.
E poi su una vasta radura vide i Seleniti di Münchausen; e l’esercito del re Endimione che combattevano guerre con armi di verzura: enormi carote come giavellotti e scudi fatti di teste di funghi.
I guerrieri cavalcavano insetti giganteschi e ippogrifi, e c’erano gli “erbalati”, che cavalcavano uccelli grandissimi i quali, invece che di penne erano ricoperti di foglie con ali simili a foglie di lattuga; inoltre c’erano i guerrieri “Pulciarcieri”, che cavalcavano pulci grandi ciascuna quanto dodici elefanti; e i fantaccini “corriventi”, che volavano senza ali facendosi gonfiare dal vento le loro lunghe gonnelle.
Le guerre erano incruente poiché i Seleniti sono esseri con senno e non hanno armi lesive; sono pacifici, anche se naturalmente lunatici, così che quando le discussioni si fanno più accese vanno a scontrarsi dividendosi in due eserciti: l’uno comandato da Endimione, che fu pastore di incomparabile bellezza sulla terra, e fu rapito da Selene, la regina, che lo portò sulla luna e lo nominò re; l’altro esercito era comandato dal barone di Münchausen, che sembra sia giunto sulla luna a cavallo di una palla di cannone.
Le battaglie si prolungano di solito fino a stanchezza, e i Seleniti, ritornano tranquilli e assennati nella loro città che è interamente costruita nel più grande cratere lunare, protetta dalle intemperie e sempre illuminata dal suolo di bianca luce lunare.
Ha naturalmente forma circolare, la città, ed è divisa in quattro spicchi da due lunghe strade che s’incrociano al centro. Ogni spicchio è governato da quattro sindaci diversi in gara fra loro per rendere la città sempre più bella e accogliente. Ed è compito degli uccelli “erbalati” che portano giornalmente il senno in città recuperandolo e imbrattandosene sul monte del senno perduto. Quindi volano sulla città e vi scaricano polvere di senno a beneficio dei Seleniti, che sono esseri alti e magri, sempre sorridenti su una larga dentatura bianca di luna.
Il viaggio e la visita sono stati lunghi e il bambino comincia a vacillare per il sonno. Allora Marcoffio gli fa preparare un letto soffice e caldo sul quale il bambino sprofonda nel sonno più profondo.
Dormì profondo, e quando fu sveglio, era nella sua stanza e la finestra era spalancata.
Ai piedi del letto rivide il grande cerchio perduto, la macchinina di latta a corda, l’orsacchiotto spelacchiato della sua prima infanzia, e anche le chiavi della nonna., e sul comodino c’era un piccolo sacchetto colmo di chicchi di grano in oro zecchino.