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« il: Febbraio 14, 2012, 17:20:23 »
IKO IL GLADIATORE
CAPITOLO 3
Di Andrea Contenti
Anno: 1184 a.C.
Luce. Non era altro che un vortice di luce. Sospeso nell'aria, in un vuoto sconfinato. Un turbinio di luci, che circondava il suo corpo sospeso nel nulla. Nessun suono. Nessuna sensazione fisica. Ma il tormento che sentiva, nel profondo del suo animo, quello era reale. Lo permeava, quasi soffocandolo. Poi, all'improvviso, una voce. In quel vuoto misterioso, dominato da quella luce che lo avvolgeva, percepì una voce. Una domanda.
Chi sei?
Si sforzò di dire qualcosa, ma fu tutto vano. Non riusciva a percepire il suo corpo fisico. E quindi nemmeno una bocca da cui far uscire delle parole. Poi quella voce si ripeté.
Chi sei?
La luce aumentò d'intensità, avvolgendolo ancora di più, fino a quando non vide altro che un immenso bagliore.
Quando Iko riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu una luce tremolante dinnanzi a lui. La vista era appannata, forme e colori indistinguibili. Ma non era la stessa luce di prima. Ora poteva percepire il suo corpo, i dolori provenire dalle ferite di battaglia non ancora pienamente cicatrizzate. Sentiva il calore su di lui e un torpore in tutto quanto il corpo.
Sognavo?
Poi la vista gli tornò. Quella luce e quel colore provenivano da un piccolo bracere, poco dinnanzi a lui, sul terreno. Vi era della legna e un fuoco. Iko si guardò attorno: era notte, con il cielo cosparso di stelle. Si trovava in quella che doveva essere la cima di una piccola collina. Attorno a lui vi erano dei grandi blocchi di pietra, alti quasi tre metri, che formavano una struttura circolare, del diametro di circa venti metri. Era evidente che erano stati disposti in quel modo volutamente, per opera dell'uomo. Soffiava una leggera brezza di vento, di un freddo pungente, ma il fuoco era quanto bastava per scaldarlo un po'. Si accorse poi che sulle spalle aveva un mantello, adornato con della lana di pecora, di quelli che erano soliti usare i pastori. Non ricordava come fosse arrivato lì: l'ultima sua memoria era quella di stare camminando, assieme a due persone. Poi più niente, il buio totale.
Iko era immerso in mille domande quando gli sembrò di sentire un rumore. Dei passi. All'improvviso, una figura umana fece capolino da dietro uno di quei grandi massi. Vide così comparire dinnanzi a sé un vecchio, canuto e con una folta barba bianca. Doveva avere più di settant'anni. Indossava una tunica di color rosso porpora, finemente lavorata, di quelle che a Troia erano soliti portare solamente i sacerdoti. Era però logora, sporca, in alcuni punti si notava che era stata ripetutamente rammendata. Sulla testa il vecchio portava uno strano diadema, una catenina dorata che sulla fronte si congiungeva a quella che gli sembrò una pietra preziosa, di color rosso sangue.
"Chi sei?" gli chiese, con la voce ancora tremolante. Il vecchio continuò a guardarlo per alcuni istanti, con un'espressione tranquilla e rilassata. I suoi occhi, tuttavia, non nascondevano una certa curiosità verso la sua persona. L'anziano fece qualche altro passo, avvicinandosi al fuoco, e mentre si metteva seduto su un lastrone di roccia, gli rispose.
"Chi sei tu?"
"Perché sono qui?" chiese ancora Iko, frustrato.
"Perché sei nato." rispose l'anziano, con enigmatica naturalezza.Iko distolse lo sguardo, irritato da quelle risposte. Gettò gli occhi sul fuoco, stringendo ancora di più la coperta, nel tentativo di riscaldarsi. In quel momento, infatti, si era sollevato un vento freddo e il gelo era tornato all'assalto del suo corpo. Tornò poi con gli occhi a fissare quello strano individuo, che nel frattempo non aveva mai smesso di guardarlo.
"Perché sono vivo?" chiese questa volta.
L'anziano sorrise, poi fece: "Beh... questa è la domanda, non è vero?"
Iko si sentiva preso in giro.
"Ti dispiace se condivido il fuoco con te?" chiese il vecchio, avvicinando le mani alle fiamme che scaturivano dal piccolo falò. Iko non rispose, si limitò ad guardarlo mentre si sedeva su un lastrone di roccia vicino al fuoco.
"Stavi sognando." fece il vecchio.
"Sì."
"Che cosa?" chiese il vecchio.
Come prima, Iko non rispose. Nella sua mente vi era un caos di ricordi, al quale cercava invano di dare un ordine.
"Stai ancora pensando ad un modo per andartene, non è così?" proseguì il vecchio, ignorando il fatto di non aver ricevuto una risposta alla sua domanda precedente. "Non lo fare. Non c'è modo di fuggire da se stessi. Arrenditi e basta. Come ho fatto io, tanti anni fa."
A questo punto Iko, pur non avendo alcuna idea di chi fosse quella persona, tirò fuori un po' della rabbia che covava dentro di sé e si sfogò apertamente.
"Sono prigioniero delle mie responsabilità. La mia patria è perduta, e condivido questa colpa con tutti coloro che sono sopravvissuti. Sarei dovuto morire a Troia, con tutti gli altri. E invece no... gli dèi hanno voluto che Iko restasse in vita, prigioniero delle sue colpe. Dalle quali tenta di fuggire."
Il vecchio non si scompose. Anzi, sembrò apprezzare quell'improvviso impeto che aveva dimostrato Iko.
"E così... se si è prigionieri dell'amore, si deve fuggire nella solitudine? Se si è prigionieri della gioia, si deve fuggire nella tristezza?"
A quel punto Iko tentò di alzarsi in piedi, ma sentì subito il dolore prendere possesso delle sue ginocchia. Si rimise subito a sedere, senza nascondere la rabbia e la frustrazione.
"Vedo che sei ancora irritato dal fatto che non voglio dirti il mio nome." proseguì il vecchio. "Ma che differenza fa? Se ti dicessi che mi chiamo Nerion, cosa te ne verrebbe? Non ti direbbe nulla di me, ma mi metterebbe in svantaggio. Le parole sono importanti. E i nomi sono potenti."
Quello strano uomo alzò improvvisamente la mano destra verso il cielo, puntando i suoi occhi verso le stelle. Poi continuò.
"C'è chi dice che il mondo iniziò con una parola, lo sai? Ma cosa è venuto prima, la parola o il pensiero che ha generato la parola? Non si può creare un linguaggio senza il pensiero. E non si può concepire un pensiero senza il linguaggio. Per cui, chi fu a creare l'altro e così facendo, a creare il mondo?"
"Cosa sei, vecchio?" chiese Iko. "Uno di quei filosofi pazzi che vivono nei boschi, farneticando sciocchezze sulla natura delle cose?"
"Può darsi." si limitò a rispondere Nerion, sorridendo. "Fin da quando ero bambino, io ho osservato il cielo notturno. Da sempre, ho seguito il movimento degli astri. Cercando di capirlo, di comprenderlo. A tutte le domande che mi son posto nella mia vita, ho cercato di dare risposta semplicemente alzando lo sguardo. Le stelle rivelano cose che pure gli dèi ignorano."
"Secondo me, vecchio, tu hai sprecato una vita guardando il cielo, senza tener conto di quello accadeva nel mondo. Io ho vent'anni, e non ho mai guardato le stelle, ma ho imparato a guardare sempre gli occhi dei miei nemici. Ho imparato fin da bambino a combattere e brandire spada e lancia. Ho servito sotto il grande Ettore di Troia. Ma questo ormai è il passato: ora sono senza patria, senza più amici, senza più nemici."
"Io ho servito alla corte di Menesteo per undici anni." disse l'anziano, con gli occhi ancora puntati al cielo.
"Menesteo? Il re di Atene?" fece Iko, sorpreso. E non poteva non esserlo: Menesteo era uno dei sovrani greci che aveva partecipato alla guerra di Menelao, re di Sparta, contro Troia.
"Colui che hai servito per così tanto tempo è fra coloro che hanno partecipato al saccheggio e alla distruzione della mia città. E fra gli Achei stessi è noto per la sua vigliaccheria."
"Ho detto di aver servito alla sua corte, non di ammirarlo." rispose, con voce calma e pacata, l'anziano esegeta.
"Si dice che un giorno, mentre Agamennone ispezionava le truppe, lo trovò nascosto e tremante nelle file più indietro. Aveva paura di combattere noi Troiani." continuò Iko, condendo le sue parole con rabbia e vergogna. "Eppure anche lui era nel cavallo di legno che ingannò il nostro re Priamo. La presenza di un vile fra coloro che hanno bruciato la mia città getta ancor più disonore sulla nostra sconfitta!"
"No..." fece Nerion, "tutto questo è superfluo. Vedo che sei fin troppo avvolto dalla tua domanda, come ora ti avvolgi in quella coperta, per considerare i veri problemi."
"Quale domanda?"
"Chi sei?"
"Di che cosa blateri, vecchio..."
"E' una domanda pericolosa, vero? Nessuna risposta è mai veramente giusta. Credo sia quello lo scopo. Ora, che cosa sei tu, invece... questa è una domanda a cui posso rispondere nel tuo caso, almeno. Tu sei morto."
"Smettila!"
"Da quanto ti trovi qui?"
"Non lo so... un giorno, forse due?"
"Il sole è sorto e tramontato nove volte. Non hai mai mangiato, eppure non ti vedo affamato. Hai fame? Sete? Il sangue scorre ancora nelle tue vene? Lo fa?"
Iko sbarrò gli occhi, prima di portarsi la mano alla gola, cercando il pulsare della giugolare. Ma non sentì nulla. In un attimo raggelò.
"Non sento niente!"
"Perché, mio riluttante amico... tu sei alquanto... morto... eppure cammini ancora tra i vivi... voglio dire, questo non mi sembra l'Ade, o mi sbaglio? E il cielo, questa notte, è chiaro in quello che mi dice. Le stelle indicano un cammino ben chiaro, per te."
Gli occhi di Iko si riempirono di paura e sgomento. La confusione e il turbamento, nella sua testa, avevano raggiunto un livello ormai intollerabile.
"Qual è l'ultima cosa che ti ricordi prima di svegliarti qui?" chiese Nerion.
"Stavo cadendo. Sono caduto... a lungo. Sembrava non finire mai. Poi forse delle persone, che mi parlavano. Un uomo e una donna. Ma altro non ricordo. La sensazione più forte, nella mia memoria, è quella di cadere."
"Nulla va avanti all'infinito. Né le cadute, né io, né te... né l'amore, né la vita. L'entropia consuma ogni cosa. Tutti noi tocchiamo il fondo, prima o poi. E tu... hai toccato il fondo?"
"Io... non ricordo..."
"Ci sono solo due possibilità: se tu Iko hai toccato il fondo, allora sei morto. Se non hai toccato il fondo... allora stai ancora cadendo, e tutto questo è un sogno. A meno che... tu non ti trova nel mezzo."
"Nel mezzo di cosa?"
"Tra i due momenti. Quando nasciamo ci vengono assegnati un numero finito di secondi. Ogni sorgere del sole taglia via una parte di noi. Un giorno. E una possibile gioia se ne va. Un altro giorno. E una parola sbagliata chiude una via o ne apre un'altra. Giorno dopo giorno. Sempre in lotta con il tempo. E il tuo non è ancora finito. Tu sei nel mezzo dei momenti, perso tra le infinite possibilità dei giorni che verranno."
A quel punto Iko perse la pazienza, fece un improvviso scatto in avanti e afferrò Nerion per il collo, con violenza, fissandolo dritto negli occhi.
"Chi mi dice che non ci sei tu dietro a tutto questo? Dove sono le persone che mi hanno portato qui? Chi sei tu?"
Il sorriso che fino ad allora aveva accompagnato le parole del vecchio scomparve, sostituito da uno sguardo severo e imperturbabile. Fissò dritto negli occhi di Iko, il quale si sentì penetrare a fondo nella sua anima. In un istante, ebbe un flash nella sua mente. Rivide quella luce, quella luce intensa che lo avvolgeva poco prima, quando ancora stava dormendo. E sentì di nuovo, dentro di sé, quella voce, quella voce immensa, e quella domanda.
Chi sei?
Turbato da tutto ciò, lasciò la presa dal collo del vecchio, portandosi le mani sul volto, come se fosse pervaso da un forte dolore. Nerion, perfettamente tranquillo, si rimise a sedere sul lastrone di roccia.
"E' più vicino ora, vero?" si limitò a dirgli. "Sì, lo vedo. Ma più vicino alla vita o più vicino alla morte? Questo io non lo so. Solo il tempo lo dirà. E tu, che sei sospeso tra i due momenti, hai tutto il tempo del mondo."
"C'è stata una guerra, là fuori! Migliaia di uomini, donne e bambini sono morti! Non te ne importa nulla, vecchio?"
"Certo che me ne importa. E' una cosa terribile quando i bambini si uccidono fra di loro."
"I bambini?"
"Provai ad avvisare Menesteo, di non partecipare a questa futile guerra, quando essa iniziò, ormai dieci anni fa. Ma fui cacciato da Atene, e lui partì con cinquanta navi, rispondendo all'appello di Agamennone e Menelao. Bambini. Bambini che si uccidono fra loro per un giocattolo rubato. E io venni qui, in questa terra di Tracia, per trascorrere i miei ultimi anni in compagnia di quelle stelle che da sempre, fin da infante, ho avuto il piacere di seguire."
Iko tornò a sedersi vicino al fuoco, ancora tremante e sgomento. Si appoggiò alla roccia e si avvolse nel mantello, come a cercare un conforto. Passarano alcuni minuti, che sembrarono secoli. Poi Nerion riprese la parola, alzandosi in piedi.
"La guerra di Troia è finita. Tutto quel che ne resta è un ricordo, che vivrà nelle generazioni future. Per sempre." concluse Nerion. "Ma la tua guerra, Iko, quella non è ancora terminata."
"Sono stanco del tuo blaterare, vecchio." fece Iko, con arroganza. "Sono sempre le tue stelle a dirtelo?"
"No, Iko. Non sono le stelle. Sono i tuoi occhi. Gli occhi di un uomo sono come le stelle. Indicano un percorso, un cammino. Ed è ora che tu segua il tuo. Non potrai restare sospeso fra i due momenti per sempre."
Queste ultime parole giunsero più tenui alle orecchie di Iko. Si sentì improvvisamente pervaso da una sensazione di torpore, come quando si era svegliato, poco prima. Gli occhi divennero pesanti, le forze iniziarono ad abbandonarlo. Cercò di resistere, invano. La vista tornò sfuocata, la figura di Nerion, dinnanzi a lui, divenne una forma vaga e indefinita. Si stava addormentando di nuovo. Poi tutto il tuo essere cadde nuovamente nelle tenebre.
Passarono alcuni secondi. O almeno così gli sembrò. Quando riaprì gli occhi, fu quasi accecato da una nuova luce. Ma questa volta capì subito che non era nulla di strano: era il sole, alzatosi alto nel cielo. Era giorno. Poteva sentire i versi degli uccelli fra gli alberi, il vento accarezzargli il volto. Il fuoco nel bracere si era spento: di Nerion, il vecchio, non ve ne era alcuna traccia. Era stato un altro sogno? Si era immaginato tutto? Si stava ancora ponendo queste domande, quando sentì improvvisamente una voce femminile dietro di lui, non molto lontana. Mentre si voltava, sentì le parole che accompagnavano quella voce.
"Come stai?"
Ora sono Io che scrivo lestart74 cerco altri scrittori per continuare la storia vediamo dove si arriva forza con la fantasia
Saluti da Luciano