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Post - ferru

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Grazie, troppe cose da fare, accidenti... vorrei esserci di più :-)

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Grazie Jennaro:-)

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Horror / Re:Un posto da gourmet
« il: Febbraio 26, 2012, 14:49:15 »

Oh, Ferru! Il tuo racconto mi ha fatto immediatamente tornare alla mente i miei ricordi da ragazzo … e poi anche da adulto …

Sto pubblicando nella sezione “Altro” i miei ricordi (vedi “Pagine dal diario di un ragazzo felice”) e, in alcuni capitoli, tra l’altro, parlo delle vacanze passate da ragazzo in casa di mio nonno.

Ma le immagini che la lettura del tuo racconto mi ha fatto tornare alla mente non le avevo ancora descritte. Sei stato tu a risvegliarne il ricordo. E ti ringrazio.

È stata una luce che si è accesa e, come un lampo improvviso, o una lanterna magica, mi ha fatto rivedere e rivivere, d’un tratto, un mondo, che non c’è più, ma che si è risvegliato ed è ricomparso in me … nei miei ricordi …

Un mondo che spazia in lungo e in largo nel tempo …

E che grazie al tuo input tenterò di descrivere …

grazie mille Victor

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Fantastico / Re:Una sera in albergo
« il: Febbraio 20, 2012, 10:31:07 »
Originalissimo,bravo, rimani sempre in equilibrio tra la domanda e la risposta. Ecco dove si crea la suspance! :prtr:

Grazie mille pure a te Nihil

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Fantastico / Re:Una sera in albergo
« il: Febbraio 20, 2012, 10:30:39 »

Ciao, Ferru,

Certo che riesci a sbalordire …

Victor

Grazie Victor

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Fantastico / Una sera in albergo
« il: Febbraio 07, 2012, 09:32:32 »
Era lì, solo, nella penombra della hall. Oscar lo notò appena uscì dalla sala da pranzo. Il ragazzo era stravaccato su una poltrona in pelle di fronte all’entrata. Indossava una maglietta bianca e aveva i piedi allungati sotto il tavolino: osservava il quadro dei comandi elettrici posto sopra il banco della reception.
Oscar pensò che fosse in trance. Lo scrutò incuriosito e non si accorse quando Lella sopraggiunse alle sue spalle.
«Perché lo stai guardando?» chiese la ragazza.
«Così, è strano.»
Lella alzò le spalle.
«Dici di no?»
«Dài lascialo perdere, andiamo di sopra che è tardi.»
Salirono in camera. Oscar si lavò i denti, mentre Lella si cambiò per uscire: indossò una gonna cortissima, un top giallo e si profumò con gocce di Chanel n° 5. Era sexy e attraente e non passava inosservata. Subito dopo scesero nella hall.
Il ragazzo non si era mosso, pareva una statua adesso. Oscar pensò che somigliasse a un tiratore pronto per prepararsi a sparare davanti a un poligono. Sembrava sempre immerso in un mondo tutto suo e non badò a Lella quando le passò vicino per mettere le chiavi della stanza nel bussolotto sul banco. Non si accorse neppure quando prese per mano Oscar e lo condusse verso la porta d’uscita l’albergo. Niente, non staccò lo sguardo dal quadro. Lella scosse il capo allora, sorrise, poi con Oscar uscì.
Mano nella mano imboccarono la strada che conduceva in centro a San Giuliano. Proseguirono finché si trovarono in una piazza. Da lì in avanti, lungo i viottoli pedonali, era tutta una serie di locali, ristoranti e night club. La musica ad alto volume si confondeva con le voci dei turisti.
Trovarono un disco pub che faceva per loro, con musica piacevole e folla contenuta. Si sedettero. Lella bevve un Mojito e Oscar una birra media. Risero e si guardarono negli occhi. Poi risero di nuovo. Alla fine il colore del top e la scollatura della ragazza fecero il resto.
«Torniamo in albergo» Oscar propose.
Lella arrossì. «Ora?»
«Ti prego!»
Lo trovarono ancora lì: stessa poltrona e stessa espressione sulla faccia. Lo sguardo sempre fisso verso il quadro elettrico.
«Certo che il mondo è pieno di tipi balordi» disse Lella, «io avvertirei qualcuno, è davvero strano.»

Oscar non rispose, aveva altro in mente. Ritirò le chiavi e si diresse verso l’ascensore eccitato. Quasi sfondò la porta della camera, trascinando la ragazza che rideva. La spinse sopra il letto al buio e fu in quell’istante che si accesero le luci d’emergenza.
«Cosa succede?» chiese Lella.
«Non ho fatto nulla» Oscar borbottò.
Si fermarono, prima che potessero iniziare a spogliarsi. Non capirono il motivo del blackout, ma Oscar avrebbe continuato a giocare con la donna. Lella, però, si alzò e lo obbligò a scendere nella hall per chiedere informazioni.
Da basso Oscar scoprì che si trattava soltanto di un problema dovuto a un calo di energia, qualcosa che riguardava il contatore elettrico generale. Nulla di preoccupante, presto gli addetti dell'albergo avrebbero trovato la soluzione. Allora si rilassò e pensò che sarebbe stato delizioso tornare in camera e fare l’amore al chiarore delle luci d’emergenza. Quando, però, vide il ragazzo in piedi nella penombra, la rilassatezza si trasformò in stupore.
Benché ci fosse poca luce, Oscar vide che sorrideva. Il ragazzo sembrava soddisfatto e, appena si accorse di essere osservato, sogghignò quasi con fierezza. Poi il ghigno sul viso si trasformò di nuovo in una maschera seria. Studiò Oscar per qualche istante, quindi si girò di nuovo a fissare il quadro elettrico.
Subito dopo, come per incanto, la luce ritornò.

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Horror / Re:Un posto da gourmet
« il: Febbraio 04, 2012, 15:53:25 »
Grazie Nihil:-*)

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Horror / Un posto da gourmet
« il: Gennaio 30, 2012, 08:19:06 »
Tra noi c’era sempre chi propendeva per un altro posto. Non riuscivamo mai a metterci d’accordo. Se per caso uno proponeva il bianco, l’altro suggeriva il nero. Se uno consigliava un rifugio in montagna, potete essere sicuri che un altro avrebbe indicato, subito dopo, un localino in riva al mare. Potevamo discutere per ore e ore prima di decidere. E quasi mai trovavamo la soluzione. Neanche a pagare.
Questo, però, avveniva se lui mancava. Già, perché quando lui era presente la situazione era del tutto diversa. Allora i problemi non esistevano. Se lui era lì con noi non avevamo dubbi sulla scelta del luogo dove recarci a cena. Non racconto storie. Lui era il boss, il grande capo, la guida vivente dei ristoranti, e un personaggio del genere sapeva sempre – come il comandante di una nave – quale fosse il posto migliore per noi. Non saprei dirvi come faceva, visto che non era ricco e neppure un genio. Magari dipendeva dalla professione che svolgeva (commercializzava coltelli e altri oggetti da cucina). Posso sbagliarmi.
In ogni caso conosceva i posti più singolari del mondo. Aveva sempre un tavolo libero in qualche locale e non soltanto in quelli contrassegnati da tre forchette sulle riviste gastronomiche. Frequentava i ristoranti più deliziosi della terra e ne aveva uno da segnalarti per ogni centro abitato presente sulle cartine geografiche. Perciò, se per qualche motivo dovevi recarti a Roma, potevi essere certo che lui ti avrebbe infilato nelle tasche della giacca una lista con le migliori trattorie dove andare a cena. Era informato sulle locande di Berlino e pure su quelle di Parigi. Senza citare i consigli che poteva darti su Venezia o Barcellona. Sapeva tutto straordinariamente e di certi locali conosceva i menù e le cantine meglio della sua biografia.
D’altronde io lo avevo sperimentato e sapevo che non mentiva. Una volta ero stato a Praga e vi giuro che non scorderò mai l’osteria in Piazza Malastrana dove mi aveva dirottato a pranzare.
«Cucinano un maialino al forno che è fenomenale» mi aveva detto prima di partire.
«E dove becco Piazza Malastrana?» avevo chiesto, solo per cercare di defilarmi.
«Non faticherai a trovarla» aveva ribattuto. «Si tratta di una delle piazze più importanti di Praga. Parti dalla Città Vecchia, oltrepassi la Moldava sul Ponte Carlo, prosegui diritto per qualche centinaio di metri e trovi la piazza sulla destra. Il ristorante e lì, sotto i portici. Ti assicuro che non puoi sbagliare.»
Non avevo sbagliato.
Insomma, non vorrei apparire di parte, ma sono sicuro che avrebbe potuto scrivere un libro al riguardo. Tuttavia, del ristorante dove aveva intenzione di portarci quella sera, non ci aveva mai fatto menzione. Doveva trattarsi di un segreto; come se fosse un posto riservato agli affiliati di qualche loggia massonica. Anzi, ho la netta sensazione che, in condizioni normali, non ce ne avrebbe mai parlato. Ma quel giorno, capitando dentro il bar, dove noi stavamo assaporando il consueto e corroborante aperitivo prefestivo, si accorse che stavamo quasi arrivando alle mani per la scelta di un locale e suppongo sia quello il motivo che lo spinse a esclamare, in pompa magna, quella frase: «Smettetela! So io dove portarvi!»
Neanche ci avesse ipnotizzato con un trucco da illusionista: ci tranquillizzammo immediatamente, come se non stessimo aspettando altro.
«Grazie a Dio!» disse uno di noi. «Qualche minuto di ritardo e sarebbero spuntati i coltelli.»
Lui si mise a ridere. «Esagerati, non posso mai lasciarvi soli» disse.
«Cosa hai in mente?» gli chiesi.
Lui mi strappò, con forza, il bicchiere di vino bianco che avevo in mano. Dapprima guardò la struttura e il colore controluce, poi fiutò il contenuto un paio di volte. Ma non bevve. Non posò nemmeno le labbra sul calice. Si limitò a mettersi in posa come un dandy. «Amico mio!» disse tenendo il bicchiere in mano; ora lo roteava neanche fosse un sommelier provetto. «Stasera, penserai di cenare in paradiso… Ci venite tutti?»
Come è logico supporre nessuno si tirò indietro. Ma era del tutto prevedibile questa reazione. Non credo sia facile trovare degli ingordi come noi in giro per il mondo.«Mi raccomando» continuò lui. «Non mangiate troppo a pranzo e portate soldi a sufficienza.»

In quattro e quattro otto, con due semplici telefonate, mettemmo insieme la serata. Decidemmo di affittare pure un pulmino. Sapevamo come finivano certe notti: dopo la cena, ci sarebbe stato una visita al night e quindi non era il caso di prendere la faccenda sottogamba. Metà di noi sarebbe ritornata all’alba stravolta marcia, e siccome, tra andata e ritorno, c’erano da fare quattro ore di strada, convenimmo che non era certamente una cosa saggia farsi fregare – da qualche volante della polizia – alla guida di una macchina privata. Studiammo per bene un piano dunque e alla fine concordammo di rivederci al bar verso le cinque.
A casa, per pranzo, non mangiai quasi nulla. Me la cavai con un paio di pesche. Poi trascorsi il resto del pomeriggio pensando a cosa mettermi per fare colpo. Era parecchio tempo che non facevamo un’uscita simile ed ero assai fiducioso sulla serata che si prospettava. Non so bene per quale motivo, ma presagivo che mi sarei divertito davvero, e preparai i vestiti migliori che avevo. Possedevo un abito firmato che di solito indossavo ai matrimoni e pensai che fosse la sera giusta per metterlo. Gli feci prendere un po’ d’aria sul balcone. Poi, prima di indossarlo, mi rasai, mi profumai e mi impomatai di gel i capelli. Insomma mi misi realmente in ghingheri e uscii di casa con la certezza che gli amici sarebbero schiattati dall’invidia – ma dopotutto lo sapete pure voi che gli uomini, quando lo vogliono, sono peggio delle donne.
Però, quando, verso le cinque, incontrai gli altri, mi resi conto che avevamo fatto le stesse considerazioni. Non ce n’era uno in jeans. Portavamo tutti gli abiti della festa e ce n’erano un paio, addirittura, con il papillon al collo.
Il boss si mise a ridere. Facevamo sempre la figura dei deficienti con lui. Indossava una polo e neanche troppo bella. «Dove credete di andare?» chiese.
Noi ci guardammo l’un l’altro sperando che qualcuno avesse il coraggio di ribattere. Ma nessuno parlò.
«Pensate che abbia intenzione di condurvi a una cena dopo una Prima alla Scala?» domandò di nuovo lui, serio questa volta.
«No ma…» bofonchiò uno.
«Allora?» mugugnò il boss. «Sapete spiegarmi questa pagliacciata?»
Ci guardammo stupiti, ma nessuno rispose e alla fine lui scoppiò a ridere. Ci stava prendendo in giro. In un modo o nell’altro, riusciva sempre a farlo.
Non disse dove stavamo andando, ma durante il viaggio non si levò dalla faccia quel ghigno ironico. Era logico che avesse ordito qualche tiro. Lo conoscevo e sapevo come si comportava di solito. Probabilmente aveva architettato qualche sorpresa. In fondo si divertiva così. Più di una volta, ci aveva fatto trovare ragazze e altre cose piccanti e ora mi sentivo un pochino come Pinocchio in viaggio verso il paese dei balocchi.
Fu un viaggio piacevole, comunque, sebbene non sia in grado di dirvi con esattezza che strada facemmo una volta usciti da Milano. L’autista del pulmino guidava bene e ci permise addirittura di bere e di fumare all’interno della vettura. Facemmo tutto ciò che volemmo; in fondo, gli avevamo riempito le tasche di soldi e non so proprio come poteva fare a vietarci qualcosa. Si limitò a guidare tranquillo verso una valle delle Orobie.
Intanto l’euforia aumentava. Sembravamo un nugolo di pazzi. Pensavo di essere tornato ai tempi del servizio militare, quando – durante le ore di libera uscita – non si desiderava altro che fare disastri. Non sembravamo per niente uomini vicini alla trentina. Sghignazzavamo, come tanti idioti, alla minima battuta e quando parcheggiammo, nello spiazzo tra i pini davanti al locale previsto, un paio di noi erano già ubriachi.
Il posto, in realtà, mi fece una brutta impressione sul momento. Doveva essere una specie di agriturismo, ma visto dall’esterno sembrava tanto la casa di un fantasma, o meglio ancora di una strega. Inoltre, intorno, c’era un tanfo talmente forte di caproni in calore che ti veniva quasi da vomitare. Lo giuro! Pareva uno di quei luoghi che, se ci cadi dentro, non dormi più per un mese di fila.
Però, dopo essere entrati, dopo essere stati accolti con cortesia da uno dei proprietari; dopo esserci seduti nella sala da pranzo attorno a un tavolo tondo, e dopo essere stati soggiogati da un fenomenale pianista che suonava Chopin, cambiai opinione.
Ti veniva appetito solo a stare seduto e gli altri clienti presenti erano precisi come l’impaginazione di un best seller. Tra loro riconobbi persino un attore famoso. Sembrava tutta gente piena di soldi e perbene. Quindi era naturale che il locale fosse a modo. C’erano un paio di ragazze che avrebbero risuscitato un cadavere. Senza escludere le caratteristiche della sala.
Era davvero elegante, tutta dipinta di bianco, con una parete ricoperta da un enorme rastrelliera piena di bottiglie di marca. C’erano le bottiglie di vino migliori del mondo e si passava da quelle toscane, alle piemontesi, alle pugliesi… senza escludere le bottiglie straniere. Una meraviglia della natura in definitiva e credo che avremmo baciato tutti il boss dalla contentezza. Anche la cucina doveva essere squisita perché girava un profumo che inebriava. Però non c’era una carta sulla quale erano elencati i piatti da scegliere. Bisognava accettare quello che proponeva la casa, volta per volta. Era una delle caratteristiche del locale. Così, quando giunse l’altro proprietario, quello che si occupava della cucina e del servizio ai tavoli a domandare cosa desideravamo, lasciammo la decisione al boss senza fare obiezioni. Lui non disse niente, aspettò che il gestore finisse di elencare i piatti, poi ci guardò uno a uno, felice come una Pasqua per averci portati lì. Alla fine trasse un sospiro e indirizzò lo sguardo verso il gestore che aspettava, lo guardò negli occhi. «A dire il vero siamo qui per la vera specialità della casa» gli spiegò.
«La conoscete?» chiese il tipo sorridendo. Era secco come un’acciuga e indossava un abito gessato all’ultima moda.
«Per loro è la prima volta» gli disse il boss dopo averci indicato con lo sguardo. «Ma sono d’accordo» aggiunse. Poi gli fece un cenno d’assenso alzando il pollice della mano destra. Il gestore non disse una parola che fosse una, rimase impassibile per qualche istante, poi sparì in cucina.
Che serata dopo!

Adesso ho dimenticato tutti i dettagli della cena. È impossibile ricordarli. Probabilmente bevvi un bel po’ di vino come al solito, ma non ricordo a che ora lasciammo il locale per andare in discoteca. Ho proprio dimenticato questi particolari. So, però, e molto bene, che spesi un pacco di soldi. Questo sì che ho bene impresso nella memoria. Anzi, spendemmo tutti un pacco di soldi. Ma vi giuro che si tratta del denaro che ho sperperato meglio in vita mia. Sono pronto a rifarlo, perché mangiai davvero e davvero bene.
Non posso dirvi cosa ovviamente. Correrei grossi guai nel farlo. È chiaro che so bene cosa avevo nel piatto, ma non posso scriverlo. Non voglio finire in galera, o peggio ancora mandarci qualcuno con le mie ruffianate. Meglio che sia qualcun altro a prendersi una responsabilità del genere. D’altra parte, non credo sia difficile immaginarlo se avete letto questo resoconto. Se invece così non è (lo dubito), nessun problema: sono sicurissimo che, prima o dopo, verrà fuori il menù distintivo di quel locale. Molto presto ci sarà qualcuno che ne descriverà gli aspetti peculiari su qualche blog in Internet e finirà la festa. Finisce sempre in questo modo dopotutto. Ma spero che succeda il più avanti possibile, perché il sottoscritto, prima che succeda, vuole tornarci in quel locale. Voglio ritornare a sedermi attorno a uno di quei tavoli tondi e voglio di nuovo risentire la musica di quel pianista virtuoso. Voglio nuovamente inebriarmi i sensi con quell’aroma e voglio rivedere un’altra volta tutte quelle belle bottiglie di vino di marca parate a festa sulla rastrelliera. Voglio tornarci anche se devo spendere l’intero stipendio.
O forse sono solo obbligato a tornarci. Già! In fondo, deve trattarsi soltanto di un semplice obbligo, perché ho la netta sensazione che, se non ci torno, prima o dopo finirò con ammazzare qualcuno per strada. Mi accorgo di poterlo fare da come guardo la gente che incontro; gli osservo le cosce e le spalle neanche fossero quarti di manzo appesi ai ganci di in macelleria. È più forte di me, e devo sembrare un pazzo mentre li fisso. O magari, a questo punto, c’è dell’altro. Forse ora mi sono trasformato in un povero disadattato assuefatto. Può darsi anche che sia così. Non lo so!
Vi giuro, però, che due pesche per pranzo non mi bastano più.

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Fantastico / Re: Anche gli alieni a volte usano la rete
« il: Ottobre 27, 2011, 12:56:48 »
che bel pezzo, mi era sfuggito! La fine è splendida, povero essere solo e naufragato nell'universo!
 :rose:


oh, grazie:-)

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Fantastico / Re: Anche gli alieni a volte usano la rete
« il: Ottobre 05, 2011, 15:55:57 »

Accipicchia, Ferru!

Che fantasia! …

Non sarei capace di riuscire ad immaginare neanche il 10% di quanto racconti tu …

Complimenti!

E poi, anche scritto molto bene!


Esagerato, grazie:-)
Mi piace la tua prosa!



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Fantastico / Re: Anche gli alieni a volte usano la rete
« il: Ottobre 04, 2011, 17:04:28 »
"Anche gli alieni a volte usano la rete" ... e si è pronti a deluderli! Quando si finirà di prendere in giro gli altri? Perchè non togliersi quella maleddettissima maschera e finalmente andare in giro anche in rete, come si è e per quello che si è?
Coraggio, ci vuol coraggio e si scoprirà che ad esser se stessi, con la propria nudità e nullità ci si guadagna soltanto.

Mi piace il tuo racconto, Ferru.


Già proprio cosi:-)

ah, grazie del tuo mi piace:-)

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Fantastico / Anche gli alieni a volte usano la rete
« il: Ottobre 04, 2011, 15:03:23 »
Avevo acceso il computer così per caso, tanto per fare qualcosa di diverso. Lo avevo fatto per non trascorrere la giornata di festa a osservare le nuvole sospinte dal vento in aria; ma in effetti non mi importava un cavolo fritto. Cercate di capirmi, non era nei miei piani l’ipotesi di passare il tempo come un geek informatico. Però quando, navigando nel web, avevo caricato sul video quella pagina di contatti mi era frullato un’idea nel cervello come la verdura in un mixer.
Accidenti, l’ipotesi di poter entrare in relazione con una miriade di personaggi popolari e la possibilità di essere visualizzabile sui computer di mezzo mondo, senza spendere un Euro, cambiò letteralmente le sorti della mia giornata. Mi eccitai come un bambino dell’asilo la vigilia di Natale.
Comunque pensai bene di non essere banale. D’altra parte chi era quel tonto che si sarebbe fermato davanti a una mia foto o a quelle idiozie riguardanti le affinità zodiacali e gli orientamenti sessuali? Qualcuno forse mi sa rispondere?
Fossi stato un calciatore, probabilmente, avrei avuto una speranza. Magari sarebbe andata meglio se fossi stato un cantante popolare o un attore. Ma io non sapevo fare quasi niente; ero poco più di un fallito e potevo soltanto inventare qualche passatempo.
Così l’idea di truccarmi e camuffarmi il viso; crearmi addosso quella specie di mostro alieno, ritrarmi in foto e digitare tutto in un profilo, assieme a un curriculum che affermava che ero un essere proveniente da Antares, mi parve geniale. Almeno avrei fatto qualcosa di divertente e non sarei entrato in paranoia.
Insomma non mangiai neppure per dare vita al mio progetto – dico sul serio – e lavorai l’intero pomeriggio come un matto. Usai tutte le mie risorse e realizzai una maschera davvero bizzarra, concependo un volto a metà strada tra il muso di un felino e quello di un cobra reale. Mi fu suggerita dal subconscio credo, ma si materializzò in modo splendido, dato che, alla fine, immaginai di poter ingannare chiunque. Ne fui proprio soddisfatto. In fondo, la parte più difficile l’avevo conclusa.
Difatti, compilare in seguito il form di accesso e creare un account utente con le informazioni descritte in precedenza, fu la cosa più semplice del mondo. Ci volle solo qualche decina di minuti per inserire i dati necessari e accettare la normativa. Al termine, non dovetti far altro che allegare i files d’immagine e aspettare i risultati.
Il giorno seguente mi arrivò una mail di benvenuto da parte di Tom, il responsabile del servizio. Quindi, poco alla volta, iniziarono a giungermi le richieste di amicizia.
Il primo a supplicarmi di aggiungerlo alla lista di amici fu un venditore di diamanti sudafricano; poi toccò a una rivista, per soli maschi, dal titolo astruso. Ma in seguito, a prendere possesso del mio spazio messaggi, furono le domande assillanti di ragazze del tutto particolari, se capite ciò che intendo dire. Me ne giunsero almeno una ventina, da ogni parte del mondo. Ragazze che solo dal nome dicevano tutto. Perlopiù mi invitavano a chattare o a visitarle su altri portali, ma è logico che l’offerta era più vasta: neppure fossero la reincarnazione delle sirene di Ulisse.
Ovviamente non ci cascai. Sapevo dove sarei andato a finire se avessi accettato. Non sono così fesso. Tuttavia, dopo qualche settimana, tali messaggi mi costrinsero a lasciar perdere il servizio e iniziai a controllare il profilo con più distacco. Non mi ero aspettato, a dire il vero, qualcosa di speciale, però ero un po’ deluso da come si era messa la faccenda.
Non ci pensai più per qualche tempo dunque, finché una sera – rientrando nel profilo per verificare se c’era qualche novità – trovai, nella casella di richieste "amici", una mail piuttosto inconsueta. Non aveva nulla a che spartire con le altre che avevo ricevuto in precedenza. La richiesta, questa volta, non perveniva dal computer di una sirena e non pretendeva nessun add.
Il testo era scritto in inglese, ma si trattava di un inglese pieno di errori. Sembrava il testo digitato da un dislessico; ci vollero ore per decifrarlo completamente e solo grazie a un bel dizionario ne colsi il significato.
Era un messaggio davvero strano. Chi mi scriveva, sosteneva di essere un esponente della mia razza. Scriveva di essere un Antaressiano e quando, su quei semplici strumenti binari in uso tra gli umani, aveva intravisto la mia immagine era rinato. Non poteva credere che dopo la diaspora ci fosse ancora qualcuno come lui tra le stelle. Era convinto di essere l’ultimo della specie. Da centinaia d’anni aveva perso la speranza di trovare un suo simile nell’universo e adesso mi chiedeva dove fossi realmente.
Pensai subito a uno scherzo, ma stetti al gioco. Cosa avevo da perdere in fondo? Chiaramente, dietro, c’era qualche tizio in vena di burle. Era del tutto naturale. Ma siccome avevo fatto trenta, perché non fare trentuno? Perciò gli risposi mandandogli un’immagine scannerizzata con una mappa della zona dove abitavo.
La mail di risposta mi arrivò tre minuti dopo, come se il contatto non stesse aspettando altro; aveva capito dove stavo, ma non gli bastava. Sebbene la mappa fosse chiara gli occorreva qualche dettaglio più preciso per trovarmi. Aveva bisogno di un punto senza ridondanze. Lui sarebbe arrivato con la sua astronave dal cielo, sarebbe arrivato con il buio e gli serviva un qualcosa di univoco che risaltasse nell’area. Non voleva sbagliare per niente. Adesso, delle luci accese in grado di raffigurare la forma di un cuore Antaressiano sarebbero state l’ideale.
 
 
Per farla breve, due sere dopo, visto che il lavoro non me lo aveva permesso prima, usando dei lumicini per defunti realizzai ciò che mi era stato chiesto. Sistemai i lumini sul terrazzo di casa dandogli la forma di un cuore umano – d’altra parte, banalmente, supponevo che quello Antaressiano non fosse molto diverso dal nostro – poi li accesi e mi misi ad aspettare.
Non ero tranquillo, in realtà, riguardo a quello che sarebbe successo. Non so, il sospetto che dietro ci fosse qualcuno intento a divertirsi alle mie spalle ora era una certezza. Magari, il giorno dopo, avrei scoperto che un gesto simile era stato fatto da un altro milione di persone in giro per il mondo e poco dopo, visto che non succedeva nulla, lasciai perdere e andai a letto. Mi sdraiai agitato però e non fu affatto semplice prendere sonno. Mi girai nel letto un bel po’ di volte prima di poter dormire.
Poi successe l’inverosimile. Capisco che sia piuttosto difficile da credere per chiunque non sia stato presente nella mia stanza quella notte. Probabilmente, la penserei allo stesso modo, se la faccenda non fosse toccata al sottoscritto. Ma non racconto storie.
L’Antaressiano arrivò davvero. Non lo vidi subito, ma il tipo di risveglio cui fui sottoposto, qualche ora dopo, non fu per niente naturale. Accidenti! Chiunque avrebbe capito che qualcosa non corrispondeva. La voce che mi trovai nella testa era troppo particolare. Intuii subito che non poteva trattarsi di un sogno. La forza di quella voce, inoltre, era talmente penetrante che in pochi istanti mi costrinse a svegliarmi. Scomparve appena aprii gli occhi, ma non potei nel frattempo non accorgermi della luce fuori.
La luminosità che emetteva passava tra le fessure delle veneziane come l’affilata lama di un coltello. Non riesco a descriverla, poiché va oltre la mia immaginazione. Tuttavia era davvero qualcosa di fuori dalla norma. Era così assurda che a tutta prima pensai di essere morto e valutai sul serio l’ipotesi di essere dentro un’esperienza ultraterrena. Ma il bagliore era così forte, così abbagliante, che doveva per forza essere reale; per questo, dovetti farmi coraggio, scendere dal letto, attraversare la stanza a piedi nudi, aprire il balcone e uscire sul terrazzo.
Fu allora che lo vidi. Era appena qualche metro sopra il mio terrazzo immobile come in una bolla. Si trovava nel bel mezzo di una luce vorticante che lo tratteneva in aria e rumoreggiava allo stesso modo di una zanzara. Però, a essere sincero, di navi spaziali – almeno come io me le immaginavo – non ne scorsi. C’erano solo questa luce impressionante, il ronzio, e lui con il volto uguale alla maschera che avevo creato inconsciamente per il portale sociale.
Non disse nulla. Pensai che forse non sapeva parlare. Ma fissò il sottoscritto entrandomi dentro la testa come una sonda.
Lo guardai a mia volta, naturalmente, emozionato e coinvolto in pieno dalla situazione, e aprii la mente come l’essere chiedeva. Avvertii come un capogiro e mi sentii succhiare i pensieri dolcemente, ma non durò molto il contatto. L’empatia che emanava mi fece capire tutto. Non era necessario che parlasse, era chiaro come il sole.
Intuii che era molto amareggiato; ciò che provava, non richiedeva precisazioni: ora si sentiva tradito in maniera profonda. Il fatto che io fossi un essere umano e non un come lui gli faceva sentire la solitudine più a fondo di quella che lo aveva accompagnato tra le stelle sino al nostro incontro.
Ma non mi fu ostile. Sono certo che, se avesse voluto, avrebbe potuto farmi a pezzi in mezzo secondo. Avrebbe potuto schiacciarmi come una mosca. Non dico eresie! Immagino che gli sarebbe bastato soffiarmi addosso per farlo.
Invece non mostrò atteggiamenti aggressivi. Sebbene fosse un essere raccapricciante, trasbordava di una bontà infinita e sconfinata. Era davvero troppo pietoso e buono per mettermi le mani addosso.
In ogni caso il suo disagio non poté nasconderlo; lo avvertii assai bene e vi giuro che provai veramente dell'imbarazzo quando mi suggerì – con il pensiero – che non in grado di capire cosa ci faceva, nell’universo, una razza che si divertiva con le disgrazie dei disperati. Non lo concepiva per niente un simile comportamento e non dico balle nell’affermare che mi parve quasi di vedergli uscire delle lacrime dagli occhi.
Ma questo accadde un istante prima di vederlo sparire nella notte, così come era apparso. Scomparve in un baleno accidenti e non mi restò altro da fare che rimanere lì a guardare le stelle come un cane bastonato e constatare che di nuovo, come al solito, avevo deluso qualcuno.

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Fantastico / Re: Donne e buoi dei paesi tuoi
« il: Settembre 24, 2011, 19:29:06 »
Si, complimenti, ferru ...
mi hai fatto rivivere a distanza di tanto tempo (avevo otto anni) un lungo distacco dai miei ...
chissà se un giorno lo racconterò ...

Grazie Victor:-)

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Presentazioni / Re: Saluti a tutti
« il: Settembre 19, 2011, 14:25:25 »

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