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« il: Luglio 28, 2012, 15:08:29 »
Mio padre era un uomo arrabbiato e divertente. Quando non beveva faceva la corte a qualche donna non proprio raccomandabile che puzzava di sigaretta e non sempre, per giunta, aveva fortuna. Quando non pensava né al bere né a scopare si trovava immerso in qualche casino con il lavoro. Cambiava spesso impiego, era litigioso, dal carattere irsuto come il pelo di un cagnaccio randagio, con un senso dell'umorismo tutto suo che si esaltava improvvisamente nei momenti più strani. Non usciva quasi mai nulla di buono da una sua nuova occupazione e spesso lo si poteva vedere mentre cercava negli annunci mettendo cerchi in quelli meno qualificati, che erano i più interessanti per lui: aveva più volte fatto il cameriere, il magazziniere, aveva lavorato negli alberghi, nei centri commerciali, in ditte di pulizie. Sembrava farlo apposta ad ubriacarsi nei momenti sbagliati, a fare casino e spesso era costretto a prendere la porta a volte in maniera tutt'altro che dignitosa. Ma aveva dei contatti, alcuni suoi amici che venivano da quella che lui chiamava la sua "vita di prima", lo tenevano in grande considerazione nel campo editoriale. Gli mandavano manoscritti da leggere, da commentare, da perfezionare, faceva sinossi, scartava materiale, spesso si era trovato a decretare l'uscita di un autore che nessuno conosceva. Il più delle volte se lo vedevate seduto di fronte al suo tavolino con una bottiglia di vodka a portata di mano, faceva una faccia sofferente e sembrava invecchiare di vent'anni tutto di colpo colpo. Odiava quegli scatoloni che sembravano perseguitarlo ovunque andasse, ma era l'unica cosa che lo teneva lontano dalla totale indigenza, quei quattro soldi che alcuni incravattati dirigenti e creatori di collane editoriali gli davano per fare il lavoro al posto loro. Molti facevano affidamento sul suo talento e alcuni gli pagavano regolarmente piccoli anticipi per un romanzo che, si diceva stesse scrivendo. Faceva anche traduzione in Spagnolo e inglese. Aveva il suo bel da fare, ma nessuna fretta di farlo. Era capitato che, nel suo spostarsi, potasse con sé una quantità di averi nella media di una persona comune. In altre occasioni i suoi averi si contenevano comodamente in una valigia sola. Ma con lui, che fosse ai limiti della vita da strada o attraversasse un periodo buono aveva sempre qualche busta, qualche scatola o un plico portadocumenti, con del lavoro da fare per "quei maiali", come li chiamava lui. In molti mi hanno detto che era bravo nel suo lavoro ma io non saprei che dire in merito. Di certo non era un bravo padre, non di quelli che potevano dirsi pronti al ruolo. Non era del tutto colpa sua comunque, la sua strada, come quella di tutti, del resto, era stata una continua peregrinazioni di scelte obbligate, sbagliate o giuste. Anche se il confine tra il giusto e sbagliato è notoriamente inesistente e alla fine tutto ciò che ci rimane sono le conseguenze del tutto casuali di ciò che ci accade.
Sono nata il giorno della festa della donna del 1993, già allora, da piccola, il colore dei miei capelli era rosso quasi come quelli di mia madre che li aveva solo un po' più tendenti al biondo, un docile rosso miele che sembrava un fuoco di quelli buoni, tranquilli, che non fanno danni. Ma di danni, mia madre non aveva mai smesso di farne. Prima di finire il liceo si era messa a convivere con un uomo molto più grande di lei. Lui era uno che aveva i soldi, gli piaceva vivere bene, ma era un tipo tranquillo tutto sommato. Non aveva proprio l'aria del pappone. Solo che pare, almeno questo mi hanno raccontato, che fosse un po' maniaco a letto. Insomma, gli piaceva il gioco pesante ed aveva quasi cinquant'anni. Cominciava ad avere una età in cui si suppone che la gente vera dovrebbe avere già una famiglia, una casa, una vita regolata. A lui i soldi per la casa e la vita regolata non gli mancavano di certo, e ne aveva così tanti di soldi che, si scoprì in seguito, di famiglie non aveva né una né due, ma contando l'idillio avuto con mia madre si arrivava a tre, perché aveva la moglie, l'amante ufficiale con tanto di figli al seguito e anche la giovanissima mantenuta, che era mia madre. E in un certo senso, mia madre, che aveva appena compiuto diciotto anni, era la sua donna ideale. In realtà era stata la donna ideale di tanti e i suoi famigliari, mia nonna in testa, mi hanno chiuso la porta in faccia quando ho cercato di sapere qualcosa sul suo conto. Semplicemente non se la vogliono ricordare. Quella vecchiaccia mi ha guardato dallo spioncino della porta per tutto il tempo e ho avuto ben il tempo di dirgli che ero sua nipote, ma niente. Anzi, poco prima di chiudere la porta mi aveva lasciato uno sguardo come se rivedesse in me un fantasma schifoso. Un po' esagerata la stregaccia di merda non credete? La casa di mia madre era grande, sembrava di quelle delle famiglie per bene, mi hanno detto che mio nonno che era morto tempo prima aveva un negozio di abbigliamento ma presto ne aveva aperti altri tre, diventando un marchio molto importante nella nostra provincia. Aveva formato una famiglia grande, quattro figli in tutto, tra cui, la più piccola, mia madre, era il loro gioiello. Finché non ha ritenuto in maniera del tutto arbitraria di darla via, il tutto contro il parare dei suoi genitori e fratelli, che ben presto la screditarono in famiglia. A quel tempo aveva quindici anni appena da fare, e già era stata pizzicata più di una volta in garage di casa sua, in un aula appartata della scuola, nei bagni di una discoteca pomeridiana da i suoi parenti che la seguivano sempre. Una volta era la madre a beccarla, per esempio, nel bagno della stanza degli ospiti con un ragazzo di diciassette anni che scappò via rapidissimo e mia nonna gli disse solo "ma non hai un po' di dignità?". Altre volte era il fratello, nel giardino davanti alla scuola, nel garage invece la beccò il padre che cercò di tenere la cosa nascosta per un po'. Ma sua madre lo venne a sapere, e furono altri silenzi, altri sguardi di disapprovazione. Perché pare che mia nonna fosse così, non sgridava, non diceva nulla. Eppure lasciava sguardi che serpeggiavano freddi e crudeli, lasciava quelli e una sentenza secca. Come quello sguardo che aveva lasciato a me che avevo solo la colpa di somigliare fisicamente a mia madre. Ebbene questa famiglia si concentrò morbosamente sulla sua biografia sessuale, anche se lei pare non dicesse nulla a nessuno o quasi. In realtà una sua amica, l'unica che ha accettato di parlarmi, mi ha detto che lei con i ragazzi ci andava ma non a letto. Giocava. Penso che a quell'età lo facciano tutte, solo che lei era più convinta delle altre che non ci fosse nulla di male. Insomma, cresceva con il marchio della mignotta e alla fine, quando cominciò ad avvicinarsi ai diciotto deve aver pensato: dite che sono mignotta? e allora che mignotta sia. E lì, non l'ha più fermata nessuno. Ma i genitori adesso facevano finta di non sapere niente. Pensavano si potesse recuperare e comunque temevano di muovere troppo le acque per paura che lei facesse una scenata. Solo mio nonno pare dicesse in giro cose tipo "mia figlia è una ragazza che piace" per difenderla "vorrei vedere se voi foste giovani e belli come lei cosa fareste". Ma lo diceva sempre lontano da mia nonna, altrimenti sarebbe stata la fine. Poi un giorno, la videro tornare da scuola con un macchinone, accompagnata da un signore molto più grande di lei, che di anni ne aveva fatti da poco diciotto. Lui era evidentemente sopra i quaranta. Scandalo tremendo in casa, mia nonna prese la decisione di cacciarla. Meglio di così per il tizio non gli poteva andare. Stava per arrivare l'estate e mia madre andò a vivere da lui, che la portava a Ponza in barca e la riempiva di soldi. Quella fu il periodo più bello della vita di quell'uomo, mentre per mia madre sembrava tutto normale, perché la sua bellezza giustificava tutto, secondo lei. Non gli importava niente che la gente la guardasse e gli leggesse mantenuta scritto in faccia ovunque andassero. La famiglia gli aveva dato della mignotta sempre, ormai era abituata. Era bella, eccome. Erano felici, lui la portava in giro, gli fece girare l'Europa e andarono anche negli Stati Uniti. Naturalmente in gran segreto perché lui era sposatissimo, perché la moglie e l'amante ufficiale erano gelose. Lei riceveva tutto con quella tipica indolenza delle mantenute belle e intelligenti, ma sapeva anche apprezzare il contributo che lui dava per la sua formazione. Pagava per lei il fior fiore delle università private. Aveva disposto un conto per la sua formazione di prestigio. Aveva anche un appartamento a disposizione a Roma. Tutto questo durò un anno, mia madre e il suo amante ci stavano dando dentro in un camera d'albergo a Venezia, dove spesso passavano lussuosi fine settimana tutto buona cucina, bei paesaggi e scopate. Lui, ve lo dicevo prima, era uno di quelli che non si accontentavano del sesso normale, doveva sempre fare di più. Mia madre era legata al letto, costretta in posizione prona con il culo all'aria e lui ci dava dentro da dietro, e beveva e ci dava dentro e l'atmosfera non poteva essere delle migliori. All'improvviso lui ha tirato la testa all'indietro, ha allungato un braccio come se volesse prendere qualcosa sul tetto e poi è stramazzato a terra senza un rumore in più. Lei, in qualche modo, riuscì a liberarsi dalle corde e lo raggiunse. Lui disse solo "non chiamare nessuno, sono morto".
Pare poi che sia riuscito a dire solo un'ultima cosa. Disse "povera piccola". E morì sul pavimento dell'albergo, nudo come era nato. Se fosse buono o cattivo quell'uomo non lo giudico. So solo che alla sua morte i suoi soldi sembrarono svanire del tutto. A quanto pare era cosciente del fatto di essere malato di cuore, si era fatto liquidare di nascosto un sacco di proprietà, e si era goduto la vita, quegli ultimi anni pazzi. Di certo aveva usato le persone, mia madre compresa, ma aveva anche pagato per tutto. Forse riteneva di non avere avuto il tempo di essere una persona migliore. Appena lui morì le due donne stabilmente nella vita di quell'uomo (la moglie e la prima amante) cercarono di prendere tutto quel che c'era, ma era come raccattare le monetine al volo. Il suo patrimonio era disposto in mille rivoli di spese da saldare, spuntavano debiti, tutto era in disordine. Aveva lasciato solo dei soldi da parte per i figli di primo e di secondo letto. Mia madre viveva ancora in quell'appartamento di Roma dove si ritrovò sola, con quelle due che gli mandavano lettere di minaccia, cartoline di avvocati, la aspettavano sotto casa. Una delle due gli mandò anche un tizio che la riempì di botte. Quella sera si contò i lividi in faccia, il dente scheggiato, gli occhi anneriti dall'ematoma e prese al decisione: doveva andarsene.
Anni dopo mia madre era nel pieno di un tracollo, la sua famiglia non la voleva, era impossibile che si conservasse qualsiasi lavoro, smise di studiare, ma quello in fondo non aveva mai cominciato a farlo per cui poco male. Non era una persona autosufficiente, non lo era mai stata. Un giorno, anni dopo un tizio prese a seguirla. Erano stati insieme per un po', lei si era stancata, aveva altro per la testa. Ma questo tizio continuava a seguirla, a dirgli che se non fosse tornata con lui l'avrebbe uccisa, che se la vedeva con un altro la strozzava e tutto il campionario dello stronzo maniaco. Lei era terrorizzata, non osava uscire di casa neanche per fare la spesa con tutte quelle storie di donne che venivano ammazzate davanti agli occhi della famiglia e lei invece era sola come un cane, ma non poteva rimanere in casa pero sempre. Era sola, non aveva un lavoro, nona aveva di che pagare l'affitto per giunta questo simpaticone si era messo a pedinarla. Se lo trovava di fronte nei momenti più strani. All'inizio era gentile, diceva che si erano incontrati per caso, le chiedeva come stava. Ma poi i loro incontri casuali furono troppo frequenti e lei mangiò la foglia. Gli incontri successivi furono sempre più violenti, finché lui non cominciò a minacciarla di brutto. Insomma, c'era di cui avere paura. Prese una corriera e andò dalla sua famiglia per cercare aiuto solo dopo che la polizia gli fece capire che non potevano fare molto per aiutarla. La scena me l'ha raccontata uno dei miei zii, fratello maggiore di mia madre, l'unico che abbia accettato di parlarmi. Lei era arrivata di sera, in casa c'era una specie di ricevimento. Si festeggiava l'apertura di un nuovo punto vendita e un altro di questi miei zii avrebbe approfittato della serata con amici e parenti per annunciare il suo fidanzamento ufficiale con conseguente matrimonio. In casa non c'erano più foto di mia madre. Lei era presente in molti quadretti fotografici, cornici piccole e grandi e aveva anche un suo ritratto. Ma questo fu prima della sua partenza. Da allora, la sua cameretta era stata svuotata, molte isole di immagini poco significanti costellavano le pareti di casa dove tutto invece sembrava aver avuto una sua armonia. Le foto di famiglia, quelle di prima erano come sparite. Mia nonna aveva avuto un culto per le immagini di famiglia, ci teneva tanto, ce n'erano anche alcune in negozio, addirittura. Ma per la sua figlia puttana non ci fu più posto. Scomparve il grande ritratto di famiglia che la mostrava, insieme ai suoi fratelli splendida diciottenne. Via le foto da bambina, il ritratto, finì in soffitta solo perché a dipingerlo fu un pittore bravo guai a buttare via qualcosa di valore. Mia madre aveva solo 22 anni, e già era uno spettro come quelli delle case infestate, con un quadro in soffitta immalinconito dalla polvere e dall'oscurità. In quella serata nessuno avrebbe menzionato il suo nome, come accadeva da tempo sotto lo sguardo severo della nonna che tutto vedeva. (...dovrebbe continuare)