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« il: Febbraio 03, 2016, 17:13:16 »
Forse è una cosa inutile, forse tra poco la rileggerò e deciderò di cancellarla, come ho cancellato quasi tutto ciò che ho scritto in questi ultimi mesi.
Perchè questa è una lettera che non avrà mai un francobollo, e nemmeno uno di quegli indirizzi con la chiocciolina, di quelle che fai un click ed è già arrivata al destinatario.
Questa è una lettera a me stesso, ma non a quello che pensionato, nei ritagli di tempo concessi dai quattro nipotini, se ne sta mezzo sdraiato sul divano a battere i tasti del suo portatile, mentre le note della celtica “Annachi Gordon” riempiono la stanza.
Io scrivo al me stesso di tanti anni fa, quello che ho ritrovato bambino col ciuffetto a banana in una foto vecchia di sessantotto anni, custodita gelosamente nella cerniera di una vecchia borsa di mia madre.
Facciamo il punto, bimbo mio, ora che hai doppiato le colonne d’Ercole. Quelle che ti fanno lasciare alle spalle il mare tempestoso della gioventù e poi quello tranquillo della mezza età, ora che vedi le onde infide dell’oceano della vecchiaia gonfiarsi davanti a te. Lì, come nelle antiche illustrazioni, ci sono i mostri, pronti a trascinarti negli abissi ad ogni istante. Anzi, uno di loro ti ha già messo i tentacoli addosso ma, come Gilliat ne “I lavoratori del mare”, tu stai lottando col mostro e lo farai sin quando avrai forza.
L'ultimo legame col bambino dal ciuffetto è stato reciso quando sei entrato in quella stanza d’ospedale dove t’aspettavi di trovare tua madre sofferente; la trovasti già oltre il sonno, partita così silenziosamente per il suo ultimo viaggio che neppure un dottore, o un'infermiera, o l'inserviente delle pulizie, se n’era accorto; l’allarme lo hai dato tu e questo fatto non ha accresciuto la tua fiducia negli ospedali della tua città.
Dunque, bimbo dal ciuffo a banana, dimmi: cosa hai combinato dopo essere cresciuto?
Certo hai studiato, forse non tanto come avresti voluto, con quei sogni da ingegnere messi nel cassetto per tanti buoni motivi.
Ti ricordi come ti divertivi a costruire i tuoi accrocchi elettronici?
Radio, amplificatori, persino un tentativo di televisore e alcune trasmittenti, rigorosamente illegali.
C’erano le valvole allora, e tu andavi in una discarica dove i militari della base Nato gettavano di tutto, comprese delle meraviglie di valvole militari introvabili e perfettamente funzionanti. Una volta registrasti sul Gelosino a bobine un messaggio di buon compleanno di tua madre a tuo padre e la sera, a tavola, riuscisti a trasmetterlo dalla tua stanza alla radio accesa in cucina, facendo piangere di commozione entrambi, che ti già ti vedevano un gradino più in alto di Marconi.
Come dici? Non ti diverti più con quelle cose e i monumenti a Marconi possono stare tranquilli che nessuno li soppianterà? Allora forse hai fatto altro, i tuoi interessi erano tanti e a volte spericolati.
Avevi un cugino più grande, e con lui costruisti addirittura un piccolo missile, che poi s’innalzò di alcune decine di metri sul prato per ricadere, sibilando ed esplodendo, a pochi metri da una ragazza che, in bicicletta, percorreva il sentiero vicino. Sai che la poveretta si è portata nella tomba la convinzione che da giovane era stata attaccata da un UFO pieno di marziani malvagi? Invece il cugino decise che era meglio studiare sul serio prima di riprovarci. Infatti oggi basta cercare il suo nome su internet e viene fuori un fisico di fama internazionale, che non lancia missili ma applica la fisica alla medicina.
Tu invece a testa bassa a lavorare. Perdesti presto tuo padre, uomo dolce e totalmente inadatto alla vita attuale, legato com’era a valori obsoleti quale onestà, altruismo, onore. Ma lui non per nulla era un gentiluomo del sud, nato nel 1899, incredibile a dirsi ma si parla di due secoli fa, di quelli che la parola Patria l’intendevano in un certo modo. Già, un valore oramai caduto in disuso, pagato di persona sul Grappa e sull’Isonzo, medaglie e croci di guerra, titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto, il tutto perduto in qualche cassetto e sopravvissuto a tanti traslochi.
Ma torniamo a te, giovanotto senza più la banana in testa, sostituita da una pettinatura con la riga che porti ancora oggi, grazie ai capelli abbondanti che, a differenza di tanti tuoi sogni, non ti hanno abbandonato.
Tu dici che hai lavorato duramente e onestamente, che dopo oltre quarant'anni di competizione stressante, le multinazionali è noto che non regalano nulla, ti godi la meritata pensione. Hai dei figli, e pure dei nipotini, insomma non ti manca nulla e su quell'oceano di cui parlavo prima puoi navigare tranquillo sino a quando Dio, per chi ha la fortuna di credere, o il Fato, lo vorrà.
Strani modi ha di manifestarsi, il Fato.
Può prendere la forma di un fulmine, o di un piccolo grumo di sangue in qualche arteria vitale, cose che ti ucciderebbero all’istante ma ti risparmierebbero ulteriori lunghe sofferenze.
Oppure, come nel tuo caso, può essere un foglio di carta, ricco di grafici, numeri e parole incomprensibili tranne l’ultima, chiarissima, col nome di un signore inglese che si prese il disturbo di studiare una malattia ai suoi tempi senza nome e senza causa.
Ecco, ora davvero non ti manca nulla, hai persino la visione del percorso in ripido declino che ti attende..
Non ti manca nulla. Ma ne sei proprio certo?
E allora, perchè scrivi?.
Perchè hai ancora tanti sogni?
Perchè ti aggrappi ancora alle tue illusioni che piano piano, una alla volta, abbandonano la tua nave come piccole scialuppe abitate da gnomi, folletti e fatine incantatrici e spariscono tra un'onda e l'altra?
E perchè tu, mentre le saluti con un gesto stanco della mano, hai gli occhi che si riempiono di acqua salata?
Sono soltanto gli spruzzi dell'oceano, dici.
Addio, bambino dai capelli buffi, oggi è il tuo compleanno...
"... ma la tua festa ch'anco tardi a venir non ti sia grave".